| Il fumo denso si alzava dal piccolo cerchio di pietre, nel folto di un innevato bosco delle Valli. Molti tipi di cibo bruciavano all’interno di esso mentre, accanto, giacevano una piccola fiasca di acqua limpida e un pugno di terra prelevata dal giardino di una fattoria di Shadowdale. Se anche un solo spirito avesse abitato quel luogo, di sicuro avrebbe accolto l’offerta.
Namiir, seduto su una pietra, avvolto nel suo caldo manto raffigurante un lupo, osservava malinconico il paesaggio in cui era immerso; splendidi e antichi alberi carichi di neve, creavano infiniti giochi di luce, carezzati dal freddo sole mattutino, lasciando scorgere intricati sentieri che attendevano solo di essere percorsi. Tali rituali solitamente venivano svolti all’interno del Bosco delle Ceneri, per assicurarsi i favori degli spiriti durante la caccia, ma non importava. Aveva trovato una seconda casa, lì nelle Valli, e degli amici; dei veri amici. Da quando aveva appreso del suo destino, da qualche giorno, il guerriero pareva pensieroso, triste. La treccia, fatta da suo padre il giorno prima della partenza, era molto cresciuta. Aveva forse paura di tale fato? Non riusciva ad ammettere di essersi legato troppo a quelle persone che tanto lo avevano aiutato? Sarebbe riuscito a separarsi, e fare finalmente ritorno, nella sua terra, come un vero uomo?
Aprì la boccetta e versò l’acqua contenuta sul mucchietto di terra, accanto al focolare. Presto sarebbe tornato, avrebbe riabbracciato i suoi genitori, i suoi amici. L’inverno, che durava molto a lungo nel Rashemen, l’avrebbe passato a partecipare alle molte corse nella neve, a bere jhuild, il vino di fuoco, e mangiare sjorl, il pesante formaggio affumicato, nella sua Loggia a Taporan, in compagnia di risate e amici. Avrebbe raccontato ai suoi fratelli le terre lontane visitate, le creature sconfitte e quelle fatte amiche; la folla di Waterdeep, immensa città sul mare; la tranquillità di Shadowdale, abitata da persone semplici e bendisposte; le case sugli alberi di Elventree, dove quelle magnifiche creature, gli elfi, abitavano in armonia con la natura; le nere armate di metallo della Nera Città, così scura e senza scrupoli. Avrebbe spiegato di come la gente all’ovest nei grandi centri combatta in pesanti armature di ferro, di come si può diventare eroe in poco tempo, e morire il giorno dopo. Importanti informazioni sarebbero giunte con lui, utili per il commercio e per imparare qualcosa di più, su quel peculiare mondo, così vasto, che si estendeva oltre i confini del suo Paese. E avrebbe raccontato dei suoi amici, quelli che stava per lasciare, per salutare, di come era stato fortunato a conoscerli; di come si riteneva orgoglioso ad avere combattuto al loro fianco.
Un uomo, questo sarebbe diventato. Un vero guerriero, con i suoi diritti, un berserker rispettato perché capace di infuriarsi di fronte al nemico. Avrebbe combattuto a cavallo di resistenti pony, sarebbe entrato a far parte di una delle Zanne, le unità di guerrieri Rashemi che difendevano la loro cara terra dagli attacchi dei nemici, tra i quali, i Maghi Rossi di Thay. La sua vita da guerriero del Rashemen stava dunque per cominciare solo ora, ma mai avrebbe dimenticato quel viaggio, quel percorso, che lo ha reso più forte, più saggio, più sicuro di se; una lunga avventura che gli aveva insegnato a padroneggiare la sua furia combattiva, a sentirsi più legato alla Natura e agli innumerevoli Spiriti che la abitano.
“Mi è permesso fare ritorno nella mia terra, nonostante il mio dajemma non sia ancora concluso, potente Strega?” La domanda fu posta con tutto il rispetto possibile, a capo chino, inginocchiato davanti all’Hatran.
“Quando finirà, il tuo dajemma?”
“Quando avrò giurato fedeltà ad una Strega, o quando avrò compiuto una grande impresa per la nostra terra.”
“Ti sei risposto da solo. Il tuo cammino ti porta nel Rashemen, guerriero della Loggia del Lupo; là il tuo destino ti sarà più chiaro.”
Le parole dell’ Hatran non consentivano d’essere equivocate. Fra pochi giorni, il suo destino si sarebbe compiuto; un’ultima grande prova lo attendeva: l’avrebbe affrontata, per la sua terra, a testa alta. Il suo cammino era giunto al termine, il suo dajemma era finito.
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