| Era notte fonda quando il primo fiocco di neve, dell’ormai morta giornata, nacque dalle nubi planando dolcemente fino a terra. Come al solito i primi ad accorgersene furono i bambini, quelli di loro ancora svegli a quell’ora; affacciati alle finestre a scrutare il cielo nero, aspettando gli altri fiocchi di neve che avrebbero seguito il primo: araldo di una bianchissima invasione. A intervalli più o meno regolari nevicava da settimane ormai. Bambini e ragazzini, troppo giovani per essere impiegati come garzoni o bottegai, scorrazzavano di giorno per le vie e i viottoli di Zhentil Keep, raccogliendo la neve non ancora lordata dagli stivali dei passanti e scagliandosela tra di loro tra risa e imprecazioni, suscitando le ire di qualche mendicante preso troppo di mira o di qualche calzolaio eccessivamente infastidito dagli schiamazzi dei ragazzini. Quando sopraggiungeva la notte e cittadini e viaggiatori cessavano di percorrere, indaffarati o annoiati, le strade della città, tanta era la neve che incessante continuava a cadere, che si era creatoun candido manto su strade e tetti. Quasi uno scherzo, una burla. Il gioco di una qualche divinità, divertita dal ricoprire di neve bianca la “nera” città. Un mano avvolta da uno stretto guanto di pelle blu scuro afferrò un mucchio di neve, con l’altra mano, ugualmente avvolta nello stesso materiale, la modellò in una forma sferica. La mano soppesò bene la sfera, la alzò e poi la scagliò con forza e decisione verso una figura lontana. Un ubriacone che si appoggiava malamente ad un muro venne preso in piena faccia e la sue reazioni furono un espressione di paura e una precipitosa fuga sulla strada alle sue spalle, sputacchiando la neve che gli era entrata in gola. Alla vista della precipitosa fuga dell'ubriacone la figura che aveva scagliato la palla di neve rise sommessamente. “Era proprio necessario Lauro?” La voce del compagno risuono cordiale nel freddo tagliente della notte. “Si signore, impossibile resistere.” “Ma non ti avevo detto che ti era impedito ridere recluta?” Il tono era sempre cordiale ma con una sfumatura più fredda di prima. “Infatti signore; ma non stavo ridendo, starnutivo, mi deve essere entrata della neve nel naso…” “Cosi impari a comportarti da idiota…” Il tono era tornato cordiale ed era passato ad un suono più divertito. Erano in due, incedevano a passo sicuro lungo la strada, nonostante la solitudine, il freddo e il buio che li circondava. Erano entrambe due figure che sembravano avvolte dalla tenebra e dalla notte, entrambe scure, ma con una palpabile differenza. La prima era ammantata di un nero più profondo rispetto a quell'altro, come a sottolineare un animo più rigido e inflessibile, la seconda era ammantata di un nero altrettanto scuro ma che virava verso un blu profondissimo, come se il buio delle sue vesti non potesse nascondere completamente il fremere caotico e frenetico dell'anima di chi vi era celato. Il primo era un umano, chiuso in un armatura in ferro scuro e avvolto da uno spesso mantello di un profondo color nero; il secondo era un elfo, ma irriconoscibile per quello che era. Un'armatura di pelle blu scuro lo avvolgeva e lo stringeva completamente celando ogni parte del corpo. Poi, se il corpo era completamente celato dall'armatura, non lo era di meno il viso: una maschera di stoffa tirata su fino agli occhi e un pesante cappuccio calato sul volto ne mascheravano perfettamente i lineamenti. Infine era la stessa corporatura, alta e robusta e del tutto insolita per la sua razza, che ne impediva il riconoscimento per l'elfo che era. Era stato l’elfo incappucciato a raccogliere e scagliare la palla di neve e l’uomo, naturalmente, a rimproverarlo. Le due figure continuarono a camminare senza fretta, passando sotto finestre buie e vicoli deserti. Attraversarono la zona del porto dirigendosi verso i quartieri più ricchi della città, dove si ergevano le sontuose case in pietra di maghi, gioiellieri e sacerdoti. Percorsero cortili, portici, si fermarono per rispondere al “chi va la” di qualche pattuglia e infine imboccarono una via più larga delle altre. Le finestre che si affacciavano sui lati della strada erano tutte buie. Tutte tranne quelle di una singola casa, sulla cui porta erano incise strane rune e glifi. “Siamo arrivati.” Fu l’uomo a parlare fermandosi davanti il portone di una grande casa in pietra, accanto alla casa dalle finestre ancora illuminate. Darkivaron spazzò irritato il nevischio che si era depositato sul batacchio e sulla serratura e inserì la chiave nella toppa aprendo la porta. “Prego entra pure, questa è la mia casa” Lauro non indugiò un momento ed entrò incuriosito, sciogliendo i fermagli che tenevano la maschera e abbassando il cappuccio. Sapeva che lo Zhentilar aveva recentemente comprato una casa, casa acquistata con i risparmi accumulati dopo anni di fatica e di privazioni, ma non l’aveva ancora vista. Davanti a lui si ergeva una grande sala; mentre Darkivaron era entrato a sua volta e si apprestava ad accendere le torce affisse ai muri, l'elfo mandò lo sguardo all'ambiente che lo circondava, alla scala che si dipartiva verso il primo piano e all'altra che, sotto di quella, scendeva verso quella che presumibilmente era la cantina. Ma oltre a quello c'era poco altro da notare: la sala era vuota, se non per un vecchio camino, un tavolo e pochi altri mobili. Quasi come si fosse accorto di cosa stesse pensando l’elfo, Darkivaron spiegò, finendo di accendere l'ultima torcia, che non l’aveva ancora potuta arredare. “Non si nota assolutamente” Fu la replica serissima dell’elfo. Darkivaron non rispose ma si incamminò verso la scala che scendeva nella cantina facendo cenno all’elfo di seguirlo. La cantina era anch’essa quasi del tutto spoglia, la arredavano un piccolo braciere, una piccola libreria in legno del nerfall, un baule e due sedie. I passi risuonarono gravi quando uomo ed elfo scesero lungo le scale di pietra. Lauro percepì il chiaro odore di umidità, muffa e acqua salmastra che filtrava dalle pareti. Erano molto vicini al mare e li sotto si sentiva. “Di cosa mi volevi parlare Recluta?” Esordì Darkivaron indicandogli una piccola sedia di legno, e sedendosi sull'altra posta di fronte. Lauro si accomodò, l'argomento era spinoso, confuso e potenzialmente pericoloso, erano informazioni che passavano di molto le sue competenze. “Volevo chiedere informazioni sugli elfi scuri; sui drow signore.” A Lauro non piaceva questa storia di dare del “lei” a Darkivaron ne di chiamarlo signore. Ma non per spirito di insubordinazione, tutt'altro. Lauro stimava e apprezzava molto lo Zhentilar, Darkivaron era una delle poche persone che conosceva che poteva definire amico; erano stati compagni di molte scorribande, indagini e avventure. Rivolgersi a lui come “signore” gli dava fastidio dal momento che Lauro si rivolgeva così solo agli idioti che riteneva troppo pomposi, o con dei superiori fastidiosi, così come dava del “voi” a gente di eguale risma. Parlare in quel modo ad un suo amico lo faceva sentire lievemente ipocrita e in qualche strana maniera irrispettoso, ma sapeva che Darkivaron lo faceva con buone intenzioni; del resto se l’elfo era ancora vivo lo doveva solo a lui e questo era un piccolo prezzo da pagare fintanto che fosse rimasto una recluta. Ma a Lauro riusciva lo stesso difficile. Parlarono per un po’ delle idee che l’elfo si era fatto sugli elfi scuri e sulla situazione dei barbari Uthgartdh. Parlò con cautela, dei suoi dubbi e delle sue supposizioni, stupendo Darkivaron sulle conoscenze che era riuscito a mettere insieme sul ruolo degli elfi scuri nella vicenda, ma ad un certo punto lo Zhentilar fu irremovibile, disse che il discorso andava subito troncato, che gli ordini imponevano la massima segretezza su quella questione, specie se si considerava il fatto che loro due non avrebbero dovuto e potuto sapere nulla a riguardo. “Allora quando ti ho chiesto di parlarne perché hai accettato?” Lauro era in piedi, il discorso sui barbari e sui drow aveva lievemente esasperato l’elfo, che evidentemente non condivideva o non riusciva a cogliere la preoccupazione dei suoi superiori, tanto da farlo passare dal “lei” al “tu” nei confronti di Darkivaron. “Ho accettato appunto per avvertirti di tenere la bocca chiusa, ma soprattutto perché avevo bisogno di parlarti.” “Parlarmi? A proposito di che cosa?” “Ho incontrato Deril Keos” Deril Keos era un nome che aveva la capacità di accendere immediatamente l'attenzione dell'elfo. Era il nome di un pirata e contrabbandiere e tagliagole e criminale generico, che pochi giorni addietro aveva tentato di contattare Darkivaron per un oscura faccenda dai risvolti ancora più misteriosi. La faccenda incuriosiva enormente Lauro e infatti la sua reazione fu immediata: dimenticò all'istante i problemi sui barbari e la guerra, gli occhi si illuminarono di curiosità, e il volto si concentrò in completa attenzione. Lauro si risedette immediatamente davanti a Darkivaron. “Racconti tutto” “Se ben ricordi la nostra ultima chiacchierata ti avevo detto di avere una vaga idea di chi fosse Deril Keos…” “Si un pirata con cui avevi avuto a che fare ma…” Darkivaron faceva segno di no con un dito sorridendo. “Non di un pirata si tratta, ma di qualcuno di molto più pericoloso credo. Mi ero sbagliato, non era la persona che credevo che fosse.” “E quindi sarebbe?” “Non ne ho un idea precisa, ma pare sia un malavitoso di Calimport. Qualcuno con molto potere nella città, ma farò meglio a raccontarti tutto dal principio.” L’elfo non fiatò aspettando che l’amico iniziasse. “Come ti avevo detto, pochi giorni dopo averti parlato mi sono diretto alla volta di Calimport, dopo interminabili giorni di viaggio sono arrivato in quella detestabile città. Ho alloggiato per diversi giorni in una sordida bettola, molestato dagli insetti, dal caldo e dagli idioti abitanti di quella fogna, il tutto senza nessun risultato. Nessuno mi si era avvicinato. Nessuno era venuto a cercarmi. Niente di niente. Quindi passata una settimana decisi di andarmene.” Darkivaron si interruppe un attimo e poi proseguì. “Ero deciso a partire di notte, evitando che il caldo asfissiante arroventasse la mia armatura arrostendomi dentro come un povero maiale in un forno. Così al tramonto sellai il cavallo e mi apprestai alla partenza." Darkivaron si fermò di nuovo, si divertiva a cuocere a fuoco lento il suo amico elfo. "Ma quando stavo per andarmene chi mi cercava si fece vivo. Dal folto dei boschi sono spuntate due persone e una delle due si è presentata come Deril Keos. Ero appena fuori città e mi misi a parlare con loro.” Lauro imprecò “Cosa c’è?” “Due persone e tu da solo? C’è che dovevo esserci anche io! Hai rischiato troppo a recarti in una città da solo, avrei dovuto essere con te per aiutarti! E’ stata una mossa imprudente.” “Ho sempre un modo per svincolarmi e tenevo d’occhio la situazione” Darkivaron sorrise poi proseguì. “Infatti sono riuscito a far continuare il discorso rientrando nella città, ci siamo diretti verso una locanda nel quartiere del Pashà e li abbiamo iniziato a parlare seriamente. A quanto pare qualcuno con la lingua troppo lunga ha parlato molto eloquentemente e molto bene dei miei trascorsi come mercenario al Gate e questo ha attirato l’attenzioni di Deril che a quanto sembra ha deciso di ingaggiarmi.” “Ingaggiarti per cosa?” Lauro era seduto in punta sulla sedia, teso in avanti ad ascoltare attento. “Devi sapere che tempo fa a Suzuail c’era un uomo di nome Vemos, uno scrittore. La cui ultima opera consisteva nella redazione di uno scritto, uno scritto che interessava Deril ancor prima che fosse finito, una pergamena. Pergamena di cui Deril voleva impossessarsi assolutamente." Un altra pausa, poi l'uomo riprese immediatamente. “Immagino tu ti stia chiedendo perché volesse cosi tanto quello scritto” “Credo che la domanda più importante sia che cosa ci fosse scritto” “Una buona domanda, ma sull’argomento è rimasto sempre evasivo - "Incapace" fu il commento di Lauro verso Deril - Mi ha infatti raccontato che ingaggiò nove banditi per pedinare lo scrittore e sottrargli il libro, ma qualcosa andò per il verso sbagliato e nonostante lo scritto venne recuperato l’autore morì.” Altra pausa, Lauro annui lievemente e l’uomo proseguì. “A quel punto i banditi si misero in testa che il loro compenso era troppo basso, quindi divisero lo scritto, divisero la pergamena quindi, in nove parti, nove frammenti che si spartirono. Poi mandarono il più sprovveduto - e sacrificabile - del gruppo a mercanteggiare. Deril fu paziente, ascoltò il rappresentante dei banditi e una volta che ebbero finito di mercanteggiare..." “…Deril divise a sua volta il bandito in nove parti e le rispedì ai suoi compari.” Lo interruppe l’elfo. L'uomo si fermò e sul volto di Darkivaron si dipinse un espressione di sincero stupore: “Come lo sai?” “So come ragionano in certi ambienti, ma continua” “Sì,” Riprese lo Zhentilar ”Uccise il bandito e lo smembrò in nove parti, pezzi che spedì ai restanti banditi, che al quel punto decisero di dileguarsi. In mano a Deril era rimasto il frammento finale della pergamena, inservibile a suo dire; spese le sue energie nel tentativo di rintracciare i pezzi mancanti, ma con fallimentari risultati. Sembrò che la storia fosse destinata a finire li e che la faccenda si fosse dovuta concludere con un nulla di fatto, ma tutto questo era vero solo fino a qualche tempo fa. Pare, infatti, che il nostro intraprendente pirata sia riuscito a rintracciare i frammenti restanti, le pergamene andate perdute e chissà perché ha pensato che io fossi l’uomo adatto per recuperarle e mi ha affidato questo incarico.” Lauro mentre ascoltava le parole di Darkivaron si era alzato dalla sedia e aveva preso a passeggiare su e giù per la stanza, la mente assorta sui propri pensieri incentrati al racconto che stava ascoltando. Darkivaron non si scompose, pretendere che l’elfo rimanesse quieto per troppo tempo (a meno che non si trattasse di appostamenti) era praticamente impossibile quindi senza badare troppo al comportamento di Lauro continuò: “Pare che fra qualche giorno nella Baronia delle Terre di Pietra si terrà un asta e indovina cosa c’è tra gli oggetti offerti?” “Una pregevole teiera d’argento orchesca?” Commentò ironico l’elfo continuando a camminare. “Forse, ma penso tu possa immaginare cos’altro” “I frammenti della pergamena naturalmente” “Naturalmente” Annui Darkivaron. “Quindi sono stato incaricato di recuperarli, e io ho accettato” L’elfo si fermò in mezzo alla stanza fissando Darkivaron che replicò al suo sguardo. “Se, come dici tu Lauro, conosci certi ambienti capirai che rifiutare un incarico del genere dopo che ti è stato detto tutto…” “Non sarebbe sano” Concluse per lui l’elfo. “Esatto. Ho informato Lord Velkar e si è dimostrato compiaciuto della mia decisione dandomi il suo appoggio, ritenendo opportuno che prima di consegnare le pergamene lui le possa consultare per poi deciderne cosa farne. Questo è quanto, mi sono recato nella Baronia e come ho detto avvicinare gli oggetti prima dell’asta è impossibile, quindi la cosa migliore sarà aspettare che qualcuno li compri – se non riesco ad acquistarli io – e poi sottrarglieli” Darkivaron tacque, Lauro si era spostato verso il fondo della cantina, si era seduto sul baule, i gomiti appoggiati alle ginocchia, la faccia appoggiata alle mani chiuse a coppa e si era messo a riflettere. “Ci sono un paio di cose che non mi tornano” “Dimmele e vediamo se sono gli stessi dubbi miei” Darkivaron rimase ad ascoltare. “Senza offesa signore ritengo che un incarico del genere sia più adatto a me che non a lei. Mi spiego. Questo è un lavoro da tagliagole, da feccia, feccia discretamente abile è vero, ma sempre feccia rimane, non si affida un incarico del genere ad uno Zhentilar della Città Nera con un trascorso da soldato e da ex mercenario.” Darkivaron si limitò ad annuire attento. “E non è strano che questo Deril sia un tale cosi sprovveduto da non compiere delle ricerche sulle persone che assolda?” Le mani dell’elfo si chiusero a pungo, sempre reggendo il capo assorto nei suoi pensieri. “Sono gli stessi dubbi che sono venuti a me,” Annui Darkivaron. “ma come hai ben detto tu l’altra volta, difficilmente un malavitoso abbandona il suo territorio troppo a lungo, specie se detiene un grande potere. Forse Deril non era, e non è, in grado di allontanarsi da Calimport per troppo tempo considerando che a Zhentil non avrebbe nessun potere.” “Quindi” Lauro continuò per lui “Probabilmente ti ha visto a Calimport, sapeva del tuo passato di mercenario e ha colto l’occasione. Magari cercava proprio un uomo che venisse fuori da Calimport” “Un uomo che non possa essere collegato a lui in nessun modo” Concluse Darkivaron. Lauro annui, rimase fermo a riflettere per qualche minuto poi si alzò. Gli stivali frusciarono accarezzando il pavimento di pietra polverosa della cantina. “Dovrai vederti con lui prima dell’asta?” “No non avremo più contatti fino a lavoro ultimato” “E se tu dovessi parlargli?” “Ha detto che sarebbe apparso quando c’è ne sarebbe stata necessità” “Dilettante…” Fu, di nuovo, il commento annoiato di Lauro, poi proseguì: “Mi interessa perché volevo chiederti come la prenderà quando saprà che io sarò con te, perché è assolutamente ovvio che io non ti lascerò fare il lavoro da solo” Darkivaron sorrise divertito. “Mi ha lasciato carta bianca su mezzi e uomini, tanto il prezzo concordato è sempre quello, quindi non creerà problemi. Ma perché ti interessa tanto?” “Scherzi? Se ti dovesse succedere qualcosa rischierei di perdere queste splendide chiacchierate” Lauro replicò con voce divertita. “Soprattutto perché non troveresti più nessuno disposto a starti sentire” Sorrise lo Zhentilar. “Appunto, quindi mi aspetterebbero noia e apatia. Orrore!” Darkivaron rise e fece finta di non accorgersi del sorriso di Lauro. Parlarono della cosa ancora un poco poi lentamente i discorsi scivolarono su storie e decifrazioni di vecchie mappe, rotte commerciali e vino del Calishman. Fuori la casa, oltre i vetri freddi e gelati, sopra la nerà città, sotto un cielo ancora più nero, turbinavano incessanti i fiocchi di neve…
Edited by Laurelion - 10/3/2007, 01:04
|