<ho speso gran parte dei miei sogni per donne alcool e cose futili. Il resto l'ho sperperato>Un Saggio Calimshita, incontrato in una fumosa bettola del porto cittadino
Ne era passata di acqua sotto i ponti da quando aveva deciso di riempire la sede principale dell'antro polveroso d'oro. Doveva essere un faro in una città cupa e tetra, dove solo i soldi ed il potere potevano garantire una sopravvivenza duratura. La vita valeva poco e niente se non si sapeva come muoversi e quando farlo. Tutto doveva essere fatto alla perfezione, con la perfetta tempistica di un meraviglioso e complesso meccanismo. Un capolavoro della tecnica era vivere in una città cosi distante da i propri valori, e dal modo di vedere il mondo di un aspirante fabbro partito da casa con un sogno e pochi spicci, e finito cosi lontano per seguire un amore.
L'amore lo aveva perso, ma aveva trovato dei soci, e con essi fondato un impero. La prima bottega era una catapecchia, poi i soci aumentarono, ed i capitali crebbero a dismisura, e con essa i contratti. I clienti iniziavano a fare la fila ed a bussare alla porta furono anche loro. Lo fecero con i guanti bianchi, e con essi continuarono a trattarli. Il rapporto di fiducia fu lungo e duraturo.
Venne un nuovo amore, uno di quelli folli da far battere il cuore all'impazzata e da fermarlo all'improvviso. Con una lama ad essere precisi. Un taglio netto sotto la gola ed il buio.
Delle voci intorno a lui squarciarono il velo, apri gli occhi e trovò degli sconosciuti a guardarlo. Sentiva il rumore di dadi su un tavolo poco vicino, uno strano inferno personale.
Un uomo con appesi un paio di dadi d'oro su una massiccia catena d'oro gli disse che la signora aveva deciso che aveva ancora una mano da giocare, e per quello era ancora li.
Aggiunse poi che "il miracolo era stato già pagato da tu puoi immaginare chi".
Una strana città, sul serio.
il volto di lei però era una immagine impressa nella sua mente. La vedeva in ogni donna incontrata per strada, in ogni ritratto. Iniziò a perdere interesse per il lavoro ed il cibo. Sentiva dentro di se crescere un vuoto. Provò a riempirlo con altre donne, ma fu inutile. La voragine cresceva trascinando tutto dietro di se. Il bere gli fece venire il tremore alle mani, e diventò impossibile per lui intagliare una gemma. Trovò rifugio in alcune droghe comprate al mercato nero. Vennero le notti passate a smaltire qualche strano intruglio in un vicolo del quartiere comune.
Sentiva di meritarsi una punizione, e sperava in cuor suo di trovarla li. Eppure nessuno gli torse mai un capello. Magari si ricordarono di quando lui aiutava i bisognosi pagando molto oltre il costo di mercato le merci acquistate dai mercanti locali.
I soci iniziarono ad emarginarlo, ed anche loro iniziarono a volgergli le spalle. I suoi vestiti erano stracci, e di inciampare non gli interessava più.
L'ultimo brandello di dignità lo usò per vendere i suoi ultimi beni ed imbarcarsi per la città dei pasha.
Li passò diversi anni sopravvivendo fra le fumerie di oppio e qualche lavoretto saltuario.
Un giorno seduto su una duna circondato soltanto da sabbia, immerso nel più totale nulla imparò forse la più grande lezione della sua vita.
Solo un sognatore poteva creare il tutto dal niente. Ed era il tempo di tornare a farlo.
Perchè quando tutto va a rotoli, altro non resta che tornare all'inizio del viaggio.
Le familiari voci dei marinai della costa della spada, lo accolsero dandogli un rude bentornato.
Era tempo di cominciare da capo. Nuovamente.
Poi alla fine venne quell'uomo vestito di nero con una proposta...
La vita non andrebbe mai presa troppo sul serio...