(Gambetto della Regina: nota mossa di apertura degli scacchi)
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Non tenevano il conto di quanti avversari avevano affrontato sino a quel momento, sarebbe stato inutile.
Ogni angolo nascondeva una nuova insidia, e il buio la faceva da padrone, trovando un ostacolo solo nel senso d'orientamento dei nani del gruppo.
Sapevano cosa cercavano, ma non sapevano con sicurezza che aspetto potesse avere o dove si trovasse.
Le ore passavano, e la disperazione li corteggiava a ogni passo.
La disperazione aveva un nome: Aurgloroasa.
Ogni volta che ricevevano o infliggevano un colpo, ogni volta che inalavano l'aria polverosa di quella città morta, era come un dialogare con Lei.
Voleva farli pentire di essere nati.
Thunderholme era diventata come una gigantesca scacchiera, usata per giocare una partita sleale dove c'erano più pezzi neri che bianchi.
L'Ombra Sibilante muoveva le proprie pedine, implacabili nel perseguire gli intrusi.
Creature dannate li seguivano guidate dalle poche di loro che avevano ancora abbastanza coscienza di sé da poter pensare e dare ordini alle altre.
Tentavano di sbarrar loro la strada, di rallentarli in modo che tutte le orde della città si chiudessero su di loro, intrappolandoli in un abbraccio mortale.
Poi una speranza, sotto la più strana e improbabile delle forme.
Il fantasma di un nano uscì da una locanda in rovina, simulando uno stato di ubriachezza molesta e non badando a loro, come ignaro del fatto di essere ormai morto da secoli, concentrato su una vuota imitazione delle sue abitudini terrene.
Uno spettacolo che poteva suscitare in alcuni divertimento e in altri pietà, ma che nel loro caso significava qualcosa di molto concreto.
L'essere non li cercava, quindi non era sotto il controllo diretto dell'Ombra, o almeno aveva bisogno di ricevere ordini diretti, ordini che non aveva ricevuto.
E probabilmente non era un caso isolato.
Aurgloroasa poteva anche aver dannato tutta la città e averla resa sua schiava, ma i suoi poteri avevano dei limiti.
Proprio come ogni necromante poteva controllare solo un certo numero di non morti alla volta, che a loro volta ne controllavano altri, più stupidi, deboli e lenti.
I viventi, in pochi e veloci, potevano approfittare dei difetti e della lentezza della catena di comando per evitare di rimanere incastrati nel grosso delle truppe.
Muovendosi in continuazione, avrebbero guadagnato tempo.
Tempo per la loro mossa.
Loro, i pezzi del Drago Purpureo, potevano non sapere esattamente dove andare, ma era logico pensare che l'Anima di Azoun fosse ben difesa.
Se come era quasi certo avevano a che fare con un drago, la avrebbe tenuta come trofeo, come parte del suo tesoro.
Il loro obiettivo era esplorare gli edifici più imponenti della città, almeno quelli abbastanza spaziosi da ospitare la tana di un essere del genere, e non erano molti.
Scoprirono quanto era possibile avere tanto ragione e torto allo stesso tempo, quando entrando in uno di essi fecero la conoscenza dei due Alfieri di Aurgloroasa.
Le sagome delle creature draconiche, ridotte a ossa e carne decomposta, si delinearono senza preavviso nelle loro menti ancor prima che i loro occhi riuscissero a metterle a fuoco.
Le loro labbra si mossero da sole, senza emettere suoni, nel tentativo di pronunciare il loro nome, per poi urlarlo.
Dracolich.
Pur non potendo rivaleggiare con Nalavara, non troppo tempo prima un dracolich di quelle dimensioni aveva tramutato Philip in pietra e dato del filo da torcere a Reclef.
E ora erano in due.
Kaia indietreggiò rapidamente, risalendo le scale, intenzionata a guadagnare il tempo necessario a evocare una creatura che li aiutasse.
Con suo stupore, non fu necessario.
Vide la "prima linea" reggere l'impatto in maniera più che dignitosa, sottoponendo le due bestie a un'ondata di colpi, sino a frantumarne completamente le ossa.
Sollevata, constatò ancora una volta quello in cui aveva imparato a credere: il valore dei suoi compagni.
Purtroppo sapevano che la prossima mossa della Regina di Thunderholme, sarebbe potuta essere la loro fine.
Non si trattava solo dei nemici richiamati dal rumore dell'ultimo scontro, o di quelli che avrebbero incrociato nelle ore successive.
La temibile mossa, la più temibile di tutte, sarebbe stata soltanto....Aspettare.
Dove i morti giocavano in casa, essere vivi era una penalità.
Vagavano da troppo, e la stanchezza ormai era qualcosa di reale.
Riposarsi e fermarsi mentre tutta la città li cercava li avrebbe resi un pasto per le pedine dell'Ombra, e se non lo avessero fatto sarebbero diventati troppo deboli per proseguire, ottenendo lo stesso risultato.
Ma la partita tra l'Ombra Sibilante e il Drago Purpureo era ben lungi dall'esser terminata.
Anche se loro non avevano pezzi sulla scacchiera, ma erano loro stessi i pezzi del Drago purpureo, c'era una fondamentale differenza nello stile di gioco delle due parti.
I pezzi dell'Ombra erano senz'anima, creature asservite alla sua tirannia.
I pezzi che il Fato aveva messo dalla parte del Drago Purpureo erano diversi: poteva indirizzarli, ma non determinava la direzione in cui si sarebbero mossi.
Poteva cercare di indovinare le loro scelte, ma non le poteva prevedere con esattezza.
E lo stesso valeva per il suo avversario, incapace di capire che i suoi pezzi, eran molto più che pedine.
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Un pezzo somigliante a una donna dai capelli rossi si mosse di sua iniziativa.
Kaia prese da una custodia la pergamena preparata in previsione di quell'occasione, iniziando a recitare l'incanto scritto su di essa.
Mentre le parole arcane venivano pronunciate, scomparendo dalla pergamena, un punto nello spazio di fronte a lei, della grandezza di una porta, acquistò un aspetto innaturale, diventando traslucido.
"Cosa è quello?" chiese Katho con diffidenza.
"Fidatevi di me.", furono le ultime parole della maga invitandoli a seguirla, prima di entrare nell'area dai contorni indistinti, sparendo nel nulla.
Quella magia aveva regalato loro la cosa più preziosa del mondo, là sotto come altrove.
Thunderholme, il palazzo dello scontro con i dracolich
Vagava per il salone ormai deserto, bramando di strappare ad altri quello che da tempo aveva perso: la vita.
Poterla di nuovo assaggiare, anche solo per un momento, era tutto ciò che la mandava avanti.
Anche se sapeva che sarebbe tornata quasi subito a sentirsi vuota e senza un posto nel mondo.
Sentiva le sue prede vicine, eppure non erano lì.
Lei e altre anime perdute avrebbero dovuto cercare altrove il modo di soddisfare il loro disperato bisogno.
Lo spirito emise un suono carico di angoscia.
Carnefice, ma allo stesso tempo vittima, la creatura suscitava pietà, anche se lei non ne avrebbe mostrata alcuna.
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Thunderholme, ma non Thunderholme. Stesso posto, diverso luogo. Ovvero, uno Spazio Extradimensionale creato dall'incanto noto come "Reggia Meravigliosa di Mordenkainen".
"Benvenuti nella Mia umile dimora", furono le parole pronunciate da Kaia appena giunti nella reggia, con una teatralità e una frivolezza che non ostentava da diverso tempo.
In quei giorni passati lontano dal sole, la tensione e paranoia erano state compagne di viaggio molto più assidue.
Eppure, varcando la soglia qualcosa era cambiato.
Qualcuno degli altri, forse aveva imparato a conoscerla abbastanza bene da intuire cosa significasse quella fastidiosa affabilità.
Erano al sicuro.
Almeno per un pò.
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L'incantesimo aveva creato uno spazio al margine del mondo Materiale, collegato ad esso eppur separato, irraggiungibile con mezzi normali.
La sua creatrice sapeva che non era che una soluzione temporanea, e che difficilmente avrebbe funzionato più di una volta.
Qualcuno con le risorse dei loro nemici, avrebbe potuto espugnare la loro piccola "fortezza", ma prima che si rendessero conto dello stratagemma, o che individuassero il punto esatto in cui l'incanto era stato utilizzato e riuscissero a spezzarlo, sarebbe passato abbastanza tempo da concedere loro di riprendere le forze.
Tempo per pensare.
Alle mosse successive, e ad altro.
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Il "Non luogo" non era male.
Dal grande salone dove si trovavano, arricchito da una tavola imbandita di cibo per almeno una ventina di persone, si diramavano alcuni corridoi che conducevano a diverse stanze, abbastanza grandi da offrire le comodità di un piccolo castello.
La ciliegina sulla torta erano tuttavia, i servitori: figure trasparenti che sembravano fatte d'aria e vestite da camerieri, pronti a obbedire a qualsiasi richiesta.
Il tutto era abbastanza innaturale da suscitare la comprensibile diffidenza di chi vi si avventurava per la prima volta, e nel caso dei nani forse la seconda, la terza e via di seguito (se mai vi fossero state), ma rispetto a quel che si erano lasciati alle spalle e che presto avrebbero rivisto, era un paradiso.
Qualsiasi ritrosia avessero ad approfittare di quel che gli veniva offerto, capitolò di fronte alla fame e alla stanchezza.
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Eccoli lì, i suoi compagni, in tutta la loro gloria.
Aveva già in mente un piano riguardo a come muoversi una volta fuori dalla reggia, quindi non le rimaneva niente di meglio da fare che osservarli.
Brevi istanti che sembravano durare un'eternità.
Forse era quel luogo, o forse tutto quel che aveva passato, ma si sentiva quasi come quegli spettri vaganti che in quel momento probabilmente gli stavano dando la caccia.
Cercava la loro compagnia, per poter assaporare una vita che non gli apparteneva.
Se fosse sopravvissuta, la vita che la attendeva sarebbe stata molto diversa da una al loro fianco.
Sarebbe tornata quella di una volta.
Si soffermò ulteriormente sul pensiero, correggendo se stessa.
No, Bambina mia....Tu non tornerai mai più quella di una volta.
Era meraviglioso come certe volte riuscisse a essere altezzosa persino con se stessa, nella sua testa.
Si riteneva sempre come niente di meno che una persona fredda e spietata, e la considerava una cosa positiva, indispensabile per la sua sopravvivenza.
Per questo, nonostante la relazione con Phil, aveva pensato a qualcosa prima della partenza alla ricerca della pietra runica.
Aveva valutato quali vantaggi avrebbe ottenuto dal rubare l'anima di Azoun, quando la avessero recuperata, e come sfruttarla per conquistarsi una posizione di rilievo nel Thay.
Non se lo sarebbe forse meritato? Le spettava.
Aveva affrontato la riflessione mettendo da parte qualsiasi scrupolo morale, cercando di ignorare l'umano disagio che provava all'idea di contrapporsi agli attuali compagni, per una questione di principio.
Aveva immaginato di combatterli, tradirli, e anche ucciderli.
Poi aveva scartato l'idea come una idiozia piena di falle.
Il risultato del gesto poteva essere non solo insoddisfacente, ma addirittura nocivo.
Non avrebbe avuto nessuna sicurezza sul tipo di ricompensa, avrebbero potuto tirarle un osso come si fa coi cani, tenendosi la "polpa", o eliminarla come un testimone scomodo: del resto, non agiva ufficialmente per ordine di nessuno.
Chiunque in patria e oltre avrebbe potuto disfarsi di lei e derubarla a sua volta per prendersi il merito.
Aveva inoltre la certezza di diventare un bersaglio del Culto del Drago, del Cormyr e tutti i suoi alleati, e persino di qualche fazione dei Maghi Rossi, senza in cambio avere garanzie di protezione da parte di nessuno.
Sempre che le persone che tradiva non la uccidessero, ipotesi tutt'altro che remota.
Persino un demone dell'Abisso avrebbe dovuto riconoscere che non ne valeva la pena.
Sarebbe andata avanti con il piano originario.
Lucida, fredda, dritta al punto, moralità non pervenuta.
Si, da questo punto di vista, se non da altri, lei era la stessa di anni prima...ma c'era qualcosa di diverso.
L'impossibilità di trarre vantaggi maggiori avrebbe dovuto indispettirla.
E invece aveva provato distintamente tutt'altro.
Sollievo. Soddisfazione.
Perché nonostante tutto non era ancora in contrasto con quella parte disumana di lei che la aveva tenuta viva: la sua più cara amica.
E Perché trovava l'idea di ferire Reclef e gli altri, non solo Phil, sorprendentemente sgradevole: non Voleva farlo.
E la sua Volontà e l'affermazione di sé erano tutto, l'unico spartiacque tra il giusto e lo sbagliato, almeno per quanto la riguardava, sopratutto dopo gli eventi che la avevano condotta sino a Nalavara.
Avrebbe solo dovuto fare i conti, quando e se ne avesse avuto il tempo, su cosa ciò esattamente significasse in questo caso, e a lungo termine.
La sagoma spettrale di Baerauble li raggiunse proprio mentre stavano per mettere piede dentro il tempio di Null, accompagnata da spaventosi ruggiti e densissime ombre che la inseguivano a non troppa distanza.
Sembrava più trasparente dell'ultima volta, come se stesse per svanire, e teneva in mano un oggetto.
Osservandolo, tutto fu chiaro.
L'antico mago dalla barba rossa li aveva preceduti, attuando quello che doveva essere stato il suo piano sin dall'inizio: recuperare di nascosto la gemma contenente l'anima del Azoun, consegnarla loro, e rimanere indietro a trattenere Aurgloroasa.
Per questo chiese loro di fuggire.
Per questo chiese loro di non combattere, almeno per quella volta.
La missione non era mai stata sconfiggere l'Ombra Sibilante, ma salvare Azoun V.
Lo ascoltarono, sia chi di loro sarebbe voluto rimanere a combattere che chi non avrebbe esitato a lasciarlo indietro, e presero la decisione che avrebbe influenzato il Cormyr negli anni a venire.
Aurgloroasa non sarebbe stata distrutta definitivamente, anche se la avessero sconfitta.
Nel tentativo di trovare il suo filatterio, avrebbero dovuto sempre affrontare l'intera città, mettendo a rischio tutto quello per cui avevano lottato.
Non avrebbe avuto importanza se qualcuno in futuro li avesse chiamati eroi o codardi.
Quel giorno, i codardi non sarebbero serviti, ma gli eroi non sarebbero bastati.
Con la loro scelta, e con il passaggio di mano della gemma, pur senza volerlo o rendersene conto, fecero un altro passo verso il diventare qualcosa che Baerauble e molti altri erano stati prima di loro...
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...GUARDIANI DEL CORMYR. LA FINE DI UN LUNGO VIAGGIO.
Il loro viaggio sembrava finire lì, proprio a poca distanza dalle porte di Thunderholme, l'entrata che in passato tanto avevano faticato a trovare, diventate ora l'uscita che faticavano a raggiungere.
Tugrok era stato abbattuto, e combattevano circondati da non morti e da serpi fatte di pura ombra, che ostacolavano i loro movimenti trattenendoli e impedendogli di aiutarsi a vicenda.
Erano riusciti a dividerli, costringendo ognuno di loro a fare i conti con le proprie debolezze.
Alcuni dei non morti erano esseri incorporei capaci di usare magie mortali, e uno di essi si posizionò in modo che quasi nessuno dei "viventi" fosse in grado di raggiungerlo in tempo per evitare che i suoi sortilegi facessero vittime.
L'unica abbastanza vicina era la maga dai capelli rossi, i cui incantesimi sino a quel momento si erano rivelati completamente inefficaci, il che le aveva valso il "vantaggio" di venire ignorata.
In realtà, le rimaneva un ultima carta da giocare, ma facendolo sarebbe diventata lei il bersaglio primario, e stavolta non ci sarebbe stato nessuno a farle da scudo, nè era sicura che le preghiere di Dwinbar contro gli incantesimi necromantici avessero ancora effetto.
Eppure doveva farlo.
I suoi compagni erano lì, che combattevano, attuando il piano sul quale tutti erano stati sempre d'accordo: ognuno avrebbe fatto del suo meglio, ognuno avrebbe fatto la sua parte perché tutti potessero uscirne insieme.
Quel piano, era anche il suo, e ci aveva creduto al punto di affidargli la propria vita.
E anche se non era la "parte" che aveva programmato, ci credeva ancora.
Era vero, nessuno poteva farle da scudo.
Per una volta, lo Scudo sarebbe stata lei.
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Il servo dell'Ombra Sibilante, al primo colpo subito dal bastone incantato della donna rivolse il suo potere contro di lei.
Un potere in grado di rubare la vita, folgorare ed essiccare la carne, che si trovò però davanti ad un ostacolo inaspettato.
La donna era magicamente diventata di ferro, tanto nel corpo che nello spirito, e continuava a colpirlo subendo i suoi malefici senza vacillare minimamente.
La forma del mago non morto si fece sempre meno distinguibile, fino a scomparire nel nulla, per sempre.
In breve tempo, il gruppo riuscì a sbaragliare i suoi oppositori, e dopo aver recuperato il corpo di Tugrok, si lasciarono alle spalle la soglia di Thunderholme, diretti verso il mondo esterno.
A inseguirli, rimasero solo le promesse di vendetta dell'Ombra Sibilante, riecheggianti per i tunnel, e il mistero su quale fine potesse aver fatto Baerauble.
**************** Ci erano riusciti.
Era l'alba, l'alba delle loro nuove vite, perché niente sarebbe più stato come prima.
Nei giorni seguenti, consegnata l'anima del giovane Azoun V a Laspeera e Caladnei affinchè restituissero al Cormyr il suo legittimo erede al trono, i primi sopravvissuti a Thunderholme dopo secoli ebbero finalmente modo di riposarsi senza dover pensare a minacce di morte (o non-morte) incombenti.
Oltre alla pelle, avevano riportato dal loro straordinario viaggio diversi manufatti arcani, che Ralas e Kaia analizzarono per comprenderne le proprietà prima di riunire tutto il gruppo e deciderne la sorte.
Non ci fu dubbio che l'armatura appartenuta al Re dei nani dovesse tornare ad Adbar.
Per la tunica una volta appartenuta a Dagan il lich, invece la scelta rischiava di essere più problematica.
Nera e coperta di sagome di teschi, capace di riadattarsi a chi la indossava, era intrisa di malvagità tanto quanto di potere, molto potere.
Kaia sapeva che le sarebbe tornata utile, come sapeva di essere l'unica che l'incantesimo che proteggeva la veste non avrebbe respinto.
Avrebbe potuto nasconderne la natura a tutti i suoi compagni dato che era stata lei a studiarla, e invece, con assoluta tranquillità, disse: "....Il potere sacrilego di questa veste probabilmente impedirebbe a voi teneri di cuore di sfruttarla, ma di certo non a me..."
Mentre parlava lo sguardo apprensivo di alcuni di loro, sopratutto Reclef e Katho il paladino, si fissò su di lei.
"...ma sapete che vi dico? Sarebbe un insulto alla Mia Estetica."
Davanti agli occhi esterrefatti di tutti, con la stessa leggerezza con la quale avrebbe svuotato un piatto dei suoi avanzi, Kaia polverizzò con un incantesimo l'inestimabile tunica dell'arcimago.
Il paladino la fissò un altro pò, con aria sommamente perplessa, quasi ci fosse rimasto male.
Poi osò chiederglielo.
"Estetica? La hai distrutta SOLO per estetica? Non perchè erano malv..." " E che altro motivo avrei mai potuto avere? Voglio dire, mi ci vedi ad andare in giro vestita di nero, coperta di teschi, come un beccamorto?", rispose la Rossa teatralmente e con tono scandalizzato, come fosse una cosa assolutamente normale.
Borbottii in nanico dalla natura incomprensibile seguirono, ma tutti furono felici del gesto: era per atti del genere che si fidavano di lei, e anche se non aveva mai fatto nulla per nascondere di non essere uno stinco di santo, il tutto si riduceva alla convinzione che fosse solo eccentrica.
E lei lo sapeva.
In un colpo solo, si era ancora una volta conquistata la loro fiducia, aveva placato la sua paranoia sul fatto che l'oggetto potesse consentire a Dagan di rintracciarla con più facilità, e naturalmente... ...si, la faccenda dell'estetica non era una finta e non aveva nemmeno pesato poco nella decisione.
Del resto, era forse così debole da dover ridursi a indossare una veste usata da un nano putrefatto per secoli, per sentirsi "protetta"? Nemmeno a parlarne, era perfetta così come era.
Il suo autocompiacimento però durò poco, sostituito dal rammarico provocato da altri pensieri.
I suoi giorni nel Cormyr stavano per terminare, e non avrebbe rivisto più nessuno di quei pazzi che la ritenevano loro amica.
A meno che...no, non osava.
Essere sentimentale non era un buon motivo per vivere per sempre con un bersaglio dietro la schiena.
Ma sarebbero accadute cose che andavano oltre tutto quello che aveva previsto, cose che avrebbero rimescolato le carte del destino.
Di nuovo.
*********************************** *IL POPOLO HA BISOGNO DI EROI.* *Suzail, Corte Reale. 1386 C.V.*
Nobili.
Cavalieri.
Leggende.
Uno dopo l'altro, Alusair Obarskyr li stava elevando al di sopra degli uomini comuni del Regno e oltre, un fatto che avrebbe semplicemente anche evidenziato le loro gesta, più grandi del loro titolo.
Stavano entrando nella Storia,e la gratitudine degli Obarskyr per aver salvato la loro dinastia e il paese si stava palesando davanti agli occhi di tutta la nobiltà e il popolo riuniti.
Nonostante la consueta spavalderia, anche per Kaia era difficile nascondere l'emozione, o lo stupore.
Giunse il suo turno, e Alusair parlò. "Mai nessuna incantatrice straniera aveva fatto tanto per il nostro regno come voi, Kaia di..." "...Masember."
Si riprese di colpo dall'emozione, contrariata.
Aveva sbagliato il suo nome? Il suo nome falso, ma che importava?
Con quel nome aveva rischiato tutto.
Senza fare una piega, si mise a correggere la "Reggente di Ferro" sibilando sottovoce, mentre Philip, uno dei pochi abbastanza vicino da udire, lottava per non far cadere i suoi bulbi oculari fuori dalle orbite.
"Messemprar, Altezza."
Alusair sorrise diplomatica, continuando la cerimonia, che prevedeva che lei si inchinasse per essere investita del titolo di Cavaliere del Regno.
"Non siete originaria del Cormyr, ma sarà per me un onore conferirvi questo titolo, che spero possiate apprezzare."
Fu impressionata positivamente da quelle parole, che esprimevano una riconoscenza non comune.
Non le stava solo conferendo un titolo, si sentiva onorata di farlo, e lo affermava davanti a tutta la nobiltà.
"E' un onore, vostra altezza." "Non sono solita inchinarmi, ma suppongo per questa volta, di poter fare uno strappo alla regola." disse con assoluta tranquillità, marcando con quelle parole e quel gesto una serie di concetti nelle menti di tutti i presenti.
Poteva essersi inchinata, ma era ancora in piedi.
Poteva essere una suddita e un'alleata, ma mai una serva.
Poteva essere "un cavaliere", non il più alto dei titoli nobiliari, e c'erano cavalieri a centinaia, ma UNA sola Kaia di Messemprar.
Del resto avrebbe presto abbandonato quell'identità, anche se sarebbe rimasta nei libri di storia.
L'ultimo atto di riconoscenza che poteva farle, era non uscire dal personaggio negli ultimi atti della recita.
Era tempo di festeggiare.
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Statue.
Avrebbero persino avuto delle statue in eterno ricordo, come eroi nazionali.
L'ego della Rossa, un suo punto debole, traboccava come il vino nella sua coppa.
L'atmosfera delle celebrazioni nei giardini reali, famosi per ospitare i festini più sfarzosi di un regno a sua volta famoso per la grandiosità delle sue feste, e la vicinanza dei suoi compari, rendevano tutto perfetto.
Davvero voleva lasciarsi alle spalle tutta quella meraviglia?
Ma del resto che scelta aveva?
Se fosse rimasta sarebbe diventata un bersaglio dei nemici che si era fatta...e come avrebbe risolto le cose con i Maghi Rossi, specie ora che era diventata la forse prima maga rossa del mondo a essere anche una nobile cormyreana?
Sarebbe stata ricattabile, avrebbero potuto chiederle qualsiasi cosa in cambio di non rivelare la sua vera identità.
Il suo inchino alla reggente, poteva aver aperto nuove porte, ma aveva anche reso tutto molto più complicato.
Il suo prossimo atto sarebbe stato lasciare una lettera d'addio a Philip...e sparire senza lasciare traccia.
Poi arrivò un altro inchino, ancora piu' imprevisto, e non fu il suo.
Philip si mise ai suoi piedi, davanti a tutti i loro compagni e ai nobili, piegato su un ginocchio mentre la guardava dritta negli occhi.
"Resta nel Cormyr, e Sposami, Sir Kaia di Messemprar."
Un turbinio di emozioni la attraversarono, rendendo difficile il pensiero coerente per qualche secondo.
Poi delle parole si formarono nitide nella sua mente, arrivando a destinazione con largo anticipo rispetto ai pensieri romantici:
Di fronte alla proposta di matrimonio di Philip Barden, Kaia di Messemprar sorrise e disse di sì, scatenando l'applauso commosso di nobili, amici e popolani.
Non potevano sapere che lo aveva fatto solo per non umiliarlo pubblicamente, e non perché sarebbe rimasta.
Nei giorni seguenti Aurgloroasa fece la sua mossa, mandando i suoi servitori a recuperare la pietra runica di Thunderholme.
Quasi tutti i membri dell'ambasciata di Adbar, che ne avevano preteso la custodia, vennero trucidati.
Thunderholme era di nuovo impenetrabile, ma l'Ombra Sibilante avrebbe potuto colpire chi aveva osato introdursi nel suo regno, come e quando voleva.
Kaia di Messemprar doveva svanire, affinché Aeisha Kaar rimanesse al sicuro.
******************
*Giorni dopo. Enclave Thayan di Saerloon, Sembia.*
La Maestra Aeisha Kaar era tornata da poche ore, ricevendo le congratulazioni delle sue allieve per i suoi successi, prima di chiudersi nella sue stanza a fissare il soffitto, senza riuscire a prendere sonno.
Tutto avrebbe dovuto essere al suo posto, tranne una cosa.
Lei.
Eppure lei non era Kaia. Non poteva permettersi di esserlo.
Aveva perso la vera Kaia anni prima, e si era rassegnata.
Doveva solo farlo di nuovo.
Rinunciare al nome, alla prospettiva di una vita nel Cormyr, a Philip, a quel bislacco gruppo di amici che si era fatta.
Se avessero saputo chi era la avrebbero abbandonata, no? Quindi doveva abbandonarli per prima.
Doveva rinunciare a essere adorata come un'eroina dalla popolazione, alla fama e al potere.
Avrebbe avuto altre occasioni, nel Thay, con il tempo.
Doveva solo rinunciare a mettere su famiglia con l'uomo che aveva paura di amare.
Aveva sempre detestato il pensiero di essere madre, il fatto che l'idea di avere figli con lui fosse stranamente più accettabile...non aveva senso, no?
Sarebbero sempre stati in pericolo.
Lei, lui.
Loro.
I bambini.
Non era semplicemente possibile, e lei era una persona razionale.
La voce della maga rossa che era stata, era e sarebbe stata sempre, risuonava nella sua testa.
Rinuncia.
Rinuncia.
Sopravvivi.
Sopravvivi Aeisha, e continuando così un giorno forse sarai Zulkir...
C'era solo un problema.
Non voleva più essere Zulkir.
La massima delle sue aspirazioni di un tempo aveva il sapore della cenere.
Quel che aveva sempre desiderato e non si era mai resa conto di volere era nel Cormyr.
Un Sogno che non poteva realizzare.
"Non è possibile", si ripeteva, aggrappandosi a quella certezza, mentre un'idea diversa si visualizzava, terrorizzandola.
Come una Porta che non poteva essere varcata.
Una porta, si.
E sentì dentro di sè quella vecchia sensazione, la stessa che aveva provato davanti alle porte invalicabili di Thunderholme e del Palazzo Reale di Suzail.
Porte che solo lei aveva potuto aprire.
L'idea era troppo concreta ora, per ignorarla.
Aveva un piano, che poteva essere la porta verso i suoi sogni, se avesse avuto il coraggio di varcarla.
Ma fallire le sarebbe costato tutto, e stavolta nessuno avrebbe potuto aiutarla, perché tutti sarebbero stati potenzialmente contro di lei.
Il Cormyr, il Thay, persino Philip e gli altri.
Ne valeva la pena?
Aeisha, Kaia o chiunque tu sia....Decidi.
Cosa vuoi davvero?
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"Io Voglio Tutto."
colonna sonora consigliata:
Poteva essere la Fine, ma poteva essere l'Inizio.
Chiuse li occhi.
Inspirò, traendo a sè l'aria circostante.
La gustò: era viva.
La lasciò andare dalle narici, facendola passare per il suo essere, similmente ai draghi che aveva ossessivamente studiato.
Si visualizzò come uno di loro, stretta da catene tenute in mano da tutte le forze che avrebbero potuto in qualche modo limitarla.
Ma lei era libera.
Gli unici limiti che potevano trattenerla erano quelli che consentiva ad altri di metterle.
Forse erano tutte menzogne, ma sapeva che crederci era solo il primo passo perché diventassero...Realtà.
Aprì gli occhi.
Si guardò allo specchio, mentre l'incertezza la abbandonava, rimanendo a fissare il suo volto con quella freddezza e quella fanatica sicurezza che spesso ostentava per impressionare gli altri.
"E ora che facciamo? Spezziamo le catene?" sembrava chiederle quel viso, con un'espressione di sfida verso il destino stesso.
No.
Ora mia cara, facciamo vedere a Tutti cosa accade quando un Drago le catene, le tira....
******************************* "Il mio nome è Aeisha Kaar."
* Il Giorno dopo. Palazzo Reale, Suzail. Udienza privata con la Maga Reale Caladnei.*
Doveva andare così.
Rivelare la sua identità alla Corona, pur rischiando la condanna a morte per tradimento o l'esilio, doveva essere la prima parte del piano.
Quel che non aveva previsto, era che Caladnei la interrompesse prima che potesse concludere.
"Ragazza mia, pensavi davvero che una incantatrice del tuo potere passasse inosservata e non avessimo scoperto chi sei veramente?"
Sapevano.
Avevano sempre saputo.
Una sola spiegazione: Vangerdahast, e il momento in cui aveva letto i suoi pensieri.
Per qualche ragione che non capiva, o per sola disperazione, il Dragone Purpureo aveva scommesso su di lei, lasciandola vivere.
E aveva vinto la scommessa.
Non la avevano uccisa allora, e significava che non la avrebbero uccisa adesso: nonostante lo smacco, la sua posizione era migliore di quanto non si sarebbe mai aspettata.
Aeisha si riprese in fretta dalla sorpresa, e passò all'attacco, sorprendendo a sua volta la sua interlocutrice con una spavalda proposta.
Un'altra si sarebbe recata li' per chiedere scusa o perdono, grata di quanto aveva.
Lei no.
Lei non era lì per mendicare o chinare il capo, ma per aiutare il Cormyr ancora una volta, a modo suo, e sopratutto se stessa.
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Una Enclave Thayan in un paese che disprezzava i suoi simili: questa fu la proposta.
Non le era mai importato molto delle enclavi in passato, ma ora erano esattamente ciò di cui necessitava, e forse non era la sola.
Sapeva che il Cormyr era debole in quel momento, e presentò alla scettica Caladnei la cosa sotto un profilo assai diverso da come avrebbe fatto un qualsiasi ambasciatore del suo paese.
Non ci si poteva fidare dei Thayan, ed era esattamente il motivo per cui concedere una piccola enclave, o anche solo iniziare delle trattative, avrebbe dato al Regno delle Foreste una posizione di vantaggio, mettendo i suoi nemici gli uni contro gli altri.
Gli avidi maghi della fazione pro-enclavi avrebbero visto la cosa come un modo per avere ancora più influenza rispetto alla fazione imperialista, ostacolando sia i suoi tentativi di danneggiare il suo nuovo "affare" che quelli di qualsiasi altra organizzazione che potesse compromettere i loro affari, dal Culto del Drago agli Zhentarim.
Se l'accordo non avesse tenuto, o quando non fosse stato più conveniente dal punto di vista strategico, la Corona avrebbe potuto semplicemente annullarlo con una accusa qualsiasi.
Per quanto Aeisha non avesse ancora nessuna autorizzazione a trattare a nome del Thay, entrambe sapevano che se si fosse presentata in patria con anche solo una riga di abbozzo di un accordo simile, la Gilda del Commercio Estero non avrebbe potuto far altro che ascoltarla, perchè sarebbe stata l'unica ad avere un parziale successo dopo decenni di tentativi infruttuosi.
Sarebbe diventata indispensabile, e avrebbe avuto quel che voleva.
Restare nel Cormyr con la protezione sia della Corona che della più importante fazione dei Maghi Rossi, senza rinunciare a nessuna delle sue "due vite", almeno per il momento.
La risposta di Caladnei, fu meglio di quanto avrebbe mai potuto sperare.
Invece di rifiutare e basta, come era possibile nonostante i vantaggi della cosa e la gratitudine che il Regno poteva nutrire verso di lei, o forse a causa di questo, pose delle condizioni.
Pesanti condizioni.
Condizioni che il Thay non avrebbe accettato...ma che allo stesso tempo lo avrebbero spinto a non lasciar morire le trattative.
Trattative che sarebbero durate per anni, e dove lei sarebbe stata l'unica adatta a fare da intermediaria: la nobile di due mondi.
Il loro discorso non terminò lì: si parlarono a lungo, e tra deliri megalomani sul destino e considerazioni sul futuro, Aeisha fu qualcosa che non era spesso.
Sincera.
Per quanto spinta da motivi egoistici, per quanto i suoi metodi e la sua morale fossero discutibili, ora voleva davvero il bene del Cormyr: sarebbe stata la sua casa, e il suo rifugio.
Prima di accommiatarsi, Caladnei le disse qualcosa che la colpì quasi con violenza, e non fu un incantesimo.
"C'è del buono in Voi."
A quelle parole, una parte di lei si sentì quasi offesa, percependola come un'accusa di debolezza.
Un'altra parte gioì, pensando a quanto fosse facile da raggirare e sciocca la stregona: lei non si meritava quella fiducia.
La Maga Reale non poteva sapere che prima di venire lì, aveva lasciato diverse informazioni scomode per il Cormyr alle sue allieve, con l'ordine di divulgarle se non fosse tornata, in modo da avere uno strumento di ricatto nel caso avessero deciso di ucciderla o imprigionarla: solo che non era stato necessario.
Ma la parte più consistente del suo essere, ebbe paura.
Paura che forse, per quanto pensasse di essere capace di rivoltare la situazione a suo vantaggio, quella ad essere manipolata fosse lei.
Paura che Vangerdahast e Caladnei capissero di lei qualcosa che nemmeno lei capiva, e che fosse la ragione per cui la avevano risparmiata.
Poi, rise tra sè.
Se è cosi', Bella Mossa, Stregona. , sussurrò pensando alla Maga Reale, con divertimento e ammirazione.
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NIENTE SEGRETI TRA AMICI
Un mese più tardi, sarebbe tornata nel Thay, e nel corso di una riunione col potente Samas Kull, il capo della Gilda del Commercio Estero, sarebbe riuscita a estorcergli esattamente quel che voleva, pur in via non ufficiale.
Prima che ciò accadesse tuttavia, gettò le basi per qualcosa di più importante per la sua vita futura, qualcosa senza la quale non sarebbe cambiata davvero.
Tre persone che avrebbero dovuto sapere, tutto.
Tre persone di cui si sarebbe fidata, perché da quella fiducia sarebbe dipeso il suo futuro, come a Thunderholme.
Non aveva detto loro niente prima dell'udienza presso Caladnei: fu il suo modo per tutelarli.
Se lei fosse stata condannata, la loro reale ignoranza sarebbe emersa alle analisi magiche dei Maghi della Guerra, e sarebbero stati salvi.
Ma ora che erano al sicuro, poteva concedersi di vedere per chi aveva corso tutto quel rischio.
Li incontro' uno a uno, confessandogli il segreto come fossero i primi, senza inizialmente rivelare quanto accaduto a Palazzo Reale, in modo da poterne studiare la reazione.
Fu astuto, e forse crudele, ma fonte di alcuni dei più bei ricordi della sua vita.
**Ralas**
"....So cosa significa confessare. Ma non mi pento di niente, e sono pronta ad accettare quel che verrà."
"Orgogliosa e Fiera fino all'ultimo.."
"Sono pronta. Arrestami, so che è il tuo dovere. Se devi legarmi fallo."
*Lei porge le mani*
*Lui scuote la testa"
"No, non è necessario, io mi fid..."
*Il volto di lei si contorce in una smorfia strana, finchè non riesce a trattenersi e inizia a ridere a crepapelle*
*sospettoso* "Cosa c'e' da ridere?"
"C'è da ridere che Caladnei sa già tutto. Le ho confessato chi sono ieri..."
"Tu hai....COSA??"
*silenzio imbarazzato, mentre lei sorride impudente*
"Tu, sei pazza."
"Si, è una possibilità."
**Reclef**
"Ho sempre sentito che c'era qualcosa di diverso in te. Ma non sono mai riuscito a vederti come una nemica."
"Meriti di sapere chi sono, e che cose orribili ho fatto in passato. Cose che non esiterei a rifare se fosse necessario"
*Lui scuote la testa*
"Io so già chi sei. Lo ho visto. Ho visto cosa hai fatto per questo popolo. Senza di te, sarebbe andata molto diversamente.
Tu sei Kaia, e hai la mia fiducia.
E il passato non mi importa."
"Avere fiducia in me non è mai qualcosa di molto furbo."
"Non ho mai detto di essere furbo."
**Philip**
"...c'è mai stato qualcosa di vero, tra noi due? Mi hai mai amato?"
"Le menzogne più riuscite hanno un fondo di verità. Ho omesso, finto le mie origini, ma la maggior parte di quel che hai visto era solo... chi volevo essere. Non chi dovevo. Tra noi era tutto vero. Ma se mi odi, ne hai tutto il diritto."
"Io non potrei mai odiarti."
[...]
"Io ho fatto cose che tu non immagini. E senza pentimento."
"Qualsiasi sia il tuo passato, io lo accetto. Perché ti ha reso la donna che sei oggi."
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"Il Cormyr protegge i suoi amici.", era stata un'altra frase, rivolta a lei, quando Caladnei le aveva comunicato il benestare della Corona alla sua permanenza, e lasciandole la scelta se rivelarsi al pubblico o meno, senza temere di mettere in imbarazzo i Reali.
Il suo vecchio maestro era solito ripetere una cosa: "Quando la gente crede abbastanza intensamente in una bugia, questa diventa realtà."
Che se ne rendessero conto o meno, quel giorno gli Obarskyr e Caladnei, con quelle parole e quegli atti, credendo in lei si erano guadagnati qualcosa che andava oltre la mera gratitudine.
Loro, e i suoi compagni, avevano reso Kaia di Messemprar tanto reale quanto Aeisha Kaar, se non di più.
Quando di nuovo nella sua stanza si guardò ancora allo specchio, una singola frase si delineò nitida e certa nella sua mente.