Faerûn's Legends

Rosa Selvatica

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view post Posted on 26/7/2017, 17:38
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Frammenti dal passato:
Il Sentiero delle Rose Selvatiche: LINK

L'occhio della Luna: LINK



aurin_rosa_selv


La vecchia capanna di legno era immersa nella penombra del cepuscolo. Il vento fischiava attraverso le sottili fessure tra le travi, producendo una melodia sorda e dissonante, mentre le fronde degli alberi tutto intorno sbattevano contro il tetto con insistenza, sospinte dall'infuriare di una lontana tempesta.

La ragazza se ne stava rannicchiata in un angolo, le ginocchia raccolte al petto e lo sguardo inquieto di un animale braccato. I suoi occhi di un verde intenso e profondo come il cuore di un foresta apparivano colmi di rabbia mista a paura, solo un osservatore esperto avrebbe intuito il vero caos che si celava in quell'abisso.

La druida lavorava alla luce flebile di una candela, mischiando il contenuto di alcune ciotole, ricavandone un intruglio di erbe dall'odore acre e pungente. Con la coda dell'occhio teneva controllata la sua selvaggia ospite, tuttavia non dava l'aria di temerla particolarmente.

La ragazza era visibilmente indebolita, allo stremo delle forze, il corpo provato da numerose ferite recenti affiancate ad alcune cicatrici ormai assimilate. La pelle lurida, ricoperta di strati di fanghiglia che forse aveva usato per mimetizzarsi. Il volto quasi completamente nascosto da una massa aggrovigliata di capelli arruffati, anch'essi imbrattati di fango a tal punto da non poterne scorgere l'originario colore.

Lena era una donna giovane e gentile, il suo sguardo tradiva una sorta di ancestrale saggezza e i suoi gesti pacati una pazienza tipica di chi ha imparato a conoscere e rispettare i ritmi inesorabili della natura.
Si avvicinò ad Aurin con una catino d'acqua, un panno pulito, e la ciotola con l'unguento.
La ragazza ebbe un sussulto e si rannicchiò ulteriormente, iniziando ad emettere un ringhio sommesso e costante. La druida, avvezza alle fiere più indomite, non si scoraggiò e allungò una mano verso la ranger, che in uno scatto felino la morse con rabbia.
Lena non battè ciglio, si limitò a scoccarle un'occhiata severa, dopodichè sussurrò poche parole nell'antica lingua silvana, e il suo corpo si ricoprì interamente di una robusta quanto flessibile corteccia.
Riprese quindi il panno umido e tornò a cercare di togliere la crosta di fango dal corpo della ragazza. Artigliate e morsi sarebbero stati tanto inutili quanto frustranti: quando Aurin lo capì smise di agitarsi e si arrese.

Lentamente riemersero la carnagione pallida, segnata da diverse cicatrici, e il rosso rubino dei suoi lunghi capelli che un tempo sfoggiava come segno di un'amorevole benedizione della propria dea. Lena osservò ogni dettaglio di quel corpo ancora giovane ma così profondamente provato, soffermandosi su quei simboli tatuati che sembravano avere mille storie da raccontare, storie che forse erano perse per sempre nei meandri di una mente chiusa in sè stessa.

Aurin era lì, seduta a terra in un angolo, come un pallido fantasma di sè stessa. Quel vago bagliore nei suoi occhi inquieti appariva come il richiamo di qualcuno che tenta di riemergere dal fondo oscuro di un incubo, tendendo la mano verso il cielo terso e luminoso in lontananza.

Ma nulla di quella figura esile e spaventata poteva lasciar immaginare quel che era stata.

La cacciatrice innamorata della bellezza della natura, delle terre selvagge ed inesplorate dove commettere mille errori fatali, di quello che lei amava definire il "giardino selvaggio", indifferente e terribile quanto intimamente meraviglioso.

La fervente sunita innamorata dell'amore, pronta a professarlo, rincorrerlo, servirlo e difenderlo versando sangue e seminando morte quando necessario. Perchè il cuore puro è indomito e appassionato, è una belva implacabile che non consoce compromessi.

Quante volte aveva combattuto, quante volte era caduta? Un animale che arranca e testardo si rialza pronto a tornare alla carica. Una sognatrice inguaribile, che aveva acceso stelle in ogni angolo di mondo che meritasse d’essere rimirato nella sua intima bellezza, e sparso bolle di sapone nei cieli per osservarle volteggiare verso la purezza così lontana dalla pesantezza del fango tra i piedi.

"Chi sei ragazza? Hai un nome?"

La voce della druida si spense nel silenzio rotto solo dalle incursioni delle raffiche di vento. Aurin non aveva risposte.

Si limitò a fissare la donna con uno sguardo smarrito, per poi abbassare il volto e guardare a lungo le proprie mani callose e indurite dal freddo, segnate dall'uso dei pugnali di pietra tra le dita come artigli per poter cacciare. Strinse il pugno e poi lo mostrò alla druida, come se fosse l'unica riposta in grado di dare.
Avrebbe voluto parlarle di Boscofreddo, dell'uomo che la costringeva al silenzio, della tribù con cui aveva vissuto e di quanto li aveva odiati. Invece emise un sonoro sbuffo dalle narici e tornò a rannicchiarsi contro la parete, girando la schiena alla druida.

Lena rimase a fissare quel simbolo di Sune tatuato sulla pelle candida, poi si decise a prendere penna e calamaio, e scrisse una lettera. Non poteva fare altro per quella ragazza, ma almeno una strada l'avrebbe tentata.

Quella notte Aurin dormì al sicuro nella capanna, e sognò una moltitudine di cose.
Tessuti damascati, veli variopinti, coltri d’incenso profumato e vapori densi disperdersi tra le sabbie del deserto. E poi fiamme, grida e un'enorme foresta in cui correre a perdifiato in groppa ad un cavallo candido come la neve.
Sognò le carezze di un uomo forte e robusto dallo sguardo pieno di tristezza, e lacrime amare e nuovi abbracci.
Infine una torre e due occhi di lupo sull'orlo di un baratro, uno dei quali era vitreo e freddo, l'altro vivo e pulsante. Con quell'ultima immagine impressa nella mente si svegliò di soprassalto, respirando affannosamente. Ebbe come la sensazione che il risveglio le avesse appena strappato di dosso qualcosa di tremendamente importante, e per un attimo si sentì ancora più sola.

Quando riprese contatto con la realtà si accorse che la druida aveva già preparato due borse da viaggio ed era pronta a mettersi in cammino con lei verso la Splendente.
Quali che fossero state le orme lasciate alle spalle, ormai non avevano che il peso di sabbia travolta dalla marea. La funambola sopita in lei sapeva bene che non esiste altra direzione che quella offerta dalla fune tesa. Una volta ancora, avrebbe semplicemente camminato.


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Ci vestimmo con lembi di vento, colorati di nembi di cielo.

Percorremmo le strade del mondo, incontrando le genti.

Solo alcuni ci riconosceranno e non saranno molti.

Meno ancora troveranno il tempo di sedersi a parlare con noi.

Eppure, quante cose avremmo da dire.



Edited by Aurin - 6/2/2019, 11:15
 
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view post Posted on 2/8/2017, 13:29
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Vapori profumati si levano dagli incensieri verso le maestose arcate scolpite con fregi di rara bellezza. Il tempio è silenzioso e semideserto. Alcune ancelle iniziate al culto di Sune si affrettano a piccoli passi nelle facende quotidiane di manutenzione degli spazi sacri, riempiendo il silenzio degli androni con le loro cristalline risate.
Una giovane sacerdotessa sistema i paramenti sull'altare, mentre canticchia un motivetto con voce dolce di sirena ammaliatrice. L'abito in seta, di un rosso acceso ricamato con filamenti d'oro, le ricade sul corpo come una carezza avvolgente. La sua bellezza così curata rappresenta di per sè una divina offerta alla Dea venerata in quel luogo.

Molto diversa appare invece la figura di donna seduta sulle gradinate esterne dell'edificio. Rannicchiata su sè stessa, in un atteggiamento difensivo verso il mondo esterno, osserva il via vai mattutino nella strada affianco, con occhi pieni di curiosità e al contempo di un profondo smarrimento.

Le ancelle al servizio del tempio l'hanno lavata e vestita con abiti semplici, dopo che Aurin si è dimostrata piuttosto restìa ad accessori e vesti troppo elaborate. Ancora inciampa talvolta nella lunga gonna che indossa, e tenta di strapparne l'estremità per liberare le gambe.
Le hanno anche lavato e profumato i lunghi capelli rossi, riuscendo a districare ed ammorbidire la chioma selvaggia che la ragazza usa come vano scudo nel tentativo di nascondersi agli sguardi altrui.

Dyane, la più giovane delle accolite, le ha lasciato un fagotto con del cibo, un pendaglio con il simbolo di Sune da tenere nel borsello, e le ha detto di starsene buona ad aspettare l'arrivo di qualcuno con un nome che Aurin non ha assolutamente afferrato.

"Così presto tutto passa. Niente si sa, tutto si immagina.
Circondati di rose, ama, bevi. Il resto è niente."


Un giullare agghindato con vesti sgargianti canticchia un motivetto accompagnato dal suono di una lira, ed a quelle parole rivolge un inchino verso il tempio della bellezza per poi proseguire verso il centro città.
L'uomo lascia una scia che odora di pane appena sfornato, che ai sensi acuti della selvaggia non può certo sfuggire. Rapida si alza ed inizia a rincorrerlo arricciando appena il naso mentre segue la scia odorosa, ma presto si confonde in una miriade di odori man mano che Aurin si avvicina alle vie più affollate.

D'improvviso si ritrova sola in mezzo a una folla laboriosa mentre il sole si fa più alto nel cielo, tracciando corte ombre alle spalle dei viandanti.
Ogni cosa per lei è meraviglia e pericolo al tempo stesso. Vaga per le strade perdendosi a rincorrere il cavallo della guardia di ronda, o seguendo il carretto che porta i rifornimenti di vivande alla taverna, per poi fermarsi senza motivo all'angolo di una strada e restare lunghi minuti ad osservare i colori mutevoli del cielo.

Qualche passante si ferma a guardarla chiedendosi se non necessiti aiuto, ma i più seguono frenetici i propri ritmi di vita senza badare all'esile figura sfuggente, immersa completamente nel proprio strano e solitario mondo.

Le ombre sono diventate più lunghe sul terreno, e i raggi del sole illuminano più debolmente le candide pareti rocciose della città degli splendori, rivestendole di un caldo bagliore dorato.
Aurin ha già mangiato tutto ciò che aveva con sè, e le incredibili avventure tra le vie affollate le hanno messo una gran fame.


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Sta fissando oltre il vetro di una macelleria quando un uomo le si avvicina, osservandola come se avesse visto un fantasma. La ragazza indietreggia ringhiando allo sconosciuto che supera pericolosamente la linea del suo spazio vitale, rivolgendogli uno sguardo ferino da animale braccato.

Lui sembra rapito ad osservarla, incredulo e scosso da quella visione, ma la ragazza non pare affatto comprenderne il motivo.
Quante parole incerte riversate su di lei che invece tace, immersa nel profondo silenzio di un vuoto che non ha assolutamente idea di come colmare.
Quando lo stregone la scruta con l'occhio vitreo, qualcosa dentro di lei ha un flebile sussulto, ma è solo con l'espediente del cibo che l'uomo riesce a conquistare la sua completa attenzione.

Il fantasma del passato aleggia intorno all'uomo facendosi pressante, e lo smarrimento distaccato della ragazza non fa che accrescere la malinconia di quel momento che di certo nessuno dei due avrebbe immaginato così, nei propri nostalgici sogni.

"Ricordi? Guardavamo sempre il cielo, sul nostro terrazzo. Talvolta ci mettevamo ad ululare verso la luna piena, ridendo e godendo del tempo che avevamo, assieme."


C'era stato un tempo in cui Aurin soffriva incredibilmente struggendosi di malinconia per l'incapacità di dimenticare ogni più piccola cosa.
Ora invece la sua parte selvaggia aveva ingurgitato tutto il meglio ed il peggio di lei, relegando in un angolo nascosto della coscienza tutto ciò che aveva fatto di Aurin la persona che era. Con i suoi pregi ed i suoi difetti, con la sua mente da sognatrice ed il suo cuore costantemente aperto verso il mondo.

"...tu...Aurin"


L'uomo le sorride adesso, con ritrovata tranquillità, e con una dolcezza che stranamente si adatta ad un volto indurito dal tempo, si insinua lentamente attraverso il guscio della selvaggia cercando un punto di contatto con lei.
Iniziando da capo, dalle cose semplici.

Aurin non è Aurin, o forse si è solo nascosta molto bene.



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Persino nel bel mezzo di una via tortuosa, all’oscurità di pesanti fronde incombenti, tra le ombre di tutto ciò che di malvagio e distruttivo si annida ai margini della strada, una rosa può crescere e fiorire illuminando di bellezza ciò che la circonda.

Le rose sono fiori così fragili, effimeri, eppure irriducibili: possono esser distrutte facilmente, certo, ma sarebbe solo il gesto vano di chi ha serrato il suo cuore rendendolo ottuso alla bellezza.

Una rosa non si piegherà mai alla volontà di nessuno, e anche se distrutta, calpestata, ogni suo petalo conserverà una delicatezza ed una grazia inalterabili.

La vista di un fiore fa nascere nei cuori nobili la voglia di proteggerlo, amarlo, offrirgli riparo. Basta guardare poco più distante per scorgere violenza, brutture, oppressione e odio…bisognerebbe sempre avere qualcosa di delicato di cui prendersi cura: solo così ci si può elevare al di sopra della brutalità ed accostarsi alla grazia.

 
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view post Posted on 11/9/2017, 15:29
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Gli ultimi raggi di sole illuminano i tetti variopinti e le mura candide della città splendente regalando pochi minuti di luce prima che scenda la sera a calmare la frenesia incessante della grande città operosa.

Dal terrazzo sopra il tetto la vista è mozzafiato. Lo sguardo smeraldino della ranger spazia verso l'orizzonte frastagliato di edifici su cui lentamente si allungano le ombre del crepuscolo che ancora si mescolano in un'ipnotica danza con le ultime luci del giorno morente.

La ragazza riflette silenziosa, sporgendosi appena dalla ringhiera, lasciando che il vento giochi con i suoi capelli rossi arruffati, scompigliandoli. Come la carezza di un amante indiscreto la brezza della sera risveglia una sopita inquietudine mai realmente superata, rendendo il volto della ragazza velato di un lieve turbamento incapace di scalfire la sua bellezza, tuttavia invecchiandone lo sguardo.

Indugia sui profili delle case eppure non sta realmente fissando alcunchè. Il caos nella sua mente ha la forma di ricordi vecchi e nuovi che si mescolano in un indistinto fluire. Sono passate ormai alcune settimane e le lezioni al tempio di Sune iniziano a dare frutti. Riesce ad esprimersi in maniera semplice, a gestire l'indole selvatica e le piazze affollate senza ringhiare come una fiera in trappola.
Talvolta ha come l'impressione di ricordare improvvisamente tutto, ma sono frammenti che riaffiorano dalla profondità di un buio informe e non durano che pochi istanti, come barlumi di inafferrabile beatitudine.

E' una lotta perenne e continua contro sè stessa e contro l'oblio che inghiotte e disintegra, una battaglia silenziosa che attanaglia il suo spirito inquieto con la violenza di un uragano.
Eppure a guardarla è ben poco ciò che traspare: una superficie increspata da piccole onde che celano la profondità turbolenta dell'oceano.

Interagire con le persone è la parte più dolorosa. Spesso lo sguardo compassionevole di chi la incontra non fa che alimentare la rabbia di non poter reagire, e la profonda tristezza di non avere idea di che persona essere.
Le reazioni sconvolte di vecchi amici, seguite da abbracci e sorrisi, sono come un pugnali in pieno petto che non creano dolore ma ugualmente scalfiscono un cuore che fatica a riprendersi l'ardore di tutte le passioni smarrite.

Il desiderio di poter rispondere a quegli abbracci con un sorriso sincero e consapevole di tutto ciò che è stato condiviso è un tormento costante, che solo a piccole dosi trova compimento.

Lentamente Aurin inizia a ricordare, d'improvviso lo sguardo di Ven si riempie di sfumature e colori con un significato che solo lei può comprendere. E quel ragazzo bizzarro dal ciuffo rosso diventa una figura quasi fraterna anche se non saprebbe enunciare nemmeno un ricordo di senso compiuto insieme a lui. Anche l'elfo baciato da Sune che la abbraccia le procura uno strano senso di spaesamento, tuttavia scaldandole il cuore.
Ogni passo è incerto e dannatamente doloroso, ma porta dritto verso qualcosa che è soltanto addormentato dentro di lei.

C'è un filo rosso smarrito da qualche parte, che può collegare ogni cosa e ricucire gli squarci. E' forse la caccia più difficile della sua vita, ma c'è una cosa che la ranger non ha del tutto dimenticato: la sua ferrea indole testarda.


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"Quali siano stati i nostri conflitti e i nostri trionfi, per quanto indelebile sia il segno che questi abbiano potuto lasciare su di noi, finiscono sempre per stemperarsi come una tinta ad acquerello su un foglio di carta."

 
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view post Posted on 27/9/2017, 13:24
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La stanza è buia e silenziosa, solo una lieve cadenza di pioggia contro i balconi socchiusi mi ricorda l'esistenza di un mondo immenso che aspetta là fuori, caotico, indifferente e imprevedibile.

Mi rigiro nel letto tra le spesse coperte di velluto, tormento i cuscini e ne lancio un paio verso la porta sbuffando con un'insofferenza che non mi abbandona.
Mi rimetto a sedere e ascolto la pioggia, i suoi sussurri coprono i rumori di questa grande casa, il trambusto che sicuramente Ven sta facendo di sotto ma di cui io non so nulla. Mi chiedo se dormirei meglio fuori, nel fango, con i vestiti inzuppati e il terrore di divenire una preda.

No, la realtà è che nulla, nessuno e alcun luogo riescono a darmi un vero sollievo. Combatto contro demoni sconosciuti e fantasmi di cui non ho memoria. Soltanto i miei sogni riportano a galla frammenti di verità sepolte, ma quando riapro gli occhi rimango a fissare attonita un indistinta manciata di polvere tra le mani.

C'è qualcosa in quei sogni, ne sono sicura. Se solo potessi affrontarli con maggiore lucidità. Sono visioni al confine dell'incubo, nuclei oscuri di paure sopite, dettagli confusi di qualcosa che ho vissuto.
L'unica figura che riesco a ricordare con chiarezza, quando le luci dell'alba spazzano via le ombre delle mie notti inquete, è quella di un'anziana dal volto terribile e lo sguardo furente. I suoi occhi sono chiari e fuligginosi, intensi e colmi di potere.
Mi fissa e mi addita con rabbia, il suo odio nei miei confronti mi annienta e mi schiaccia in un angolo, preda delle mie paure, con i polsi e le caviglie legate, in gabbia.
Non ho idea di cosa posso averle fatto, nè del perchè io sia prigioniera. So solo che in quei sogni ho paura, una paura viscerale e paralizzante.

* * *

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Tengo la sua mano e lo seguo silenziosa. Scendiamo le strette scale di pietra e siamo in un enorme scantinato freddo e buio, con porte chiuse verso altre ignote stanze.
L'aria è umida e densa, impregnata di strani odori che non corrispondono a nulla che il mio olfatto classifichi come naturale. Questo è il suo regno magico e alchemico, e a me la magia non interessa.

"Sono cambiato così tanto che non riesco ad esternare quello che provo in mezzo alle persone...
Sei certa di voler essere ancora la mia compagna?
Le cose cambiano le persone, irrimediabilmente. Io non sono come credi."


Lo osservo a lungo, quei tratti un po' spigolosi che mi sono così familiari, la vacuità dell'occhio vitreo, la freddezza della sua postura, e l'angoscia che uno scantinato rivestito di piombo in cui mi ha appena trascinata mi dovrebbe provocare.
Ma sono tranquilla.
La sua presenza mi calma, e ho una strana certezza che sia sempre stato così, anche se non riesco a ricordarlo davvero. La logicità della mia mente annaspa, ma l'istinto conosce a perfezione ciò che io ho dimenticato.

Sto imparando a conoscerlo di nuovo, ma è come se non ci fossimo mai perduti, e la stranezza dell'uomo che ho davanti mi spiazza soltanto nella misura in cui mi chiedo che persona devo essere stata per legarmi così tanto a qualcuno tanto pieno d'ombre e di misteri.

"Voglio che non ci siano segreti..."


E' così che inizia a raccontarmi chi eravamo, chi siamo stati, come ci siamo amati e distrutti per poi unirci di nuovo nonostante il dolore. Ascolto le sue parole ed è come vivere una storia d'altri, ma sento quella piccola inquietudine nel profondo, come una ferita allo stomaco che assomiglia agli artigli della Aurin che sono stata, che si piantano nelle mie viscere mentre lei cerca disperatamente di risalire.

"Tu sei sempre stata più di quel che si vedeva.
Talvolta sembravi frivola, altre determinata come un vero lupo, e altre volte eri così, proprio come adesso: non avevi bisogno di parole, solo di cose vere, di gesti semplici.
Compresi che eri come me, con un fuoco dentro, inquieta ed ambiziosa."



* * *


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E' giorno di caccia. Indosso gli abiti comodi e allaccio la faretra contando le frecce una per una. E' una piacevole giornata primaverile e l'aria mite trascina con sè un'infinità di odori.

Raggiungo di corsa il fitto della foresta, dove posso muovermi con spietata sicurezza ed agilità. La natura è casa mia, e il gioco amorale di questo giardino selvaggio è la mia sfida alla vita.
Ogni angolo del bosco mi parla di odori e colori che conosco, e che posso seguire e sfruttare per stanare le mie prede.

Lui è con me, abbandona le maschere e si trasforma nella mia ombra che trotterella a quattro zampe ululando l'inno alla nostra caccia. Adesso capisco perchè è l'uomo che ho scelto una volta e che scelgo di nuovo, ancora e ancora, finchè qualcuno oserà distruggere la sintonia perfetta di due anime inquiete e sfrontate, che danzano insieme sul crinale della vita.

Seguo le orme nel sottobosco, la sete di sangue cresce e mi pulsa nelle vene come una bestia affamata, dissanguata quanto basta per renderla implacabile.

Ho bisogno di conquistare, di combattere, di uccidere.

Non mi curo del sangue che imbratta la mia pelle candida, non c'è nulla che possa fermare la frenesia che mi consuma con una violenza devastante. L'amore di Sune, il perdono, la benevolenza, il buon cuore, i sorrisi, i begli abiti ricamati...è tutto così distante.
Solo quando trionfo sul nemico, stanato e sconfitto, sento che ho recuperato una parte di me, della mia dignità, della libertà che mi era stata tolta.

Neanche il suo sguardo contrariato mi placa. La sete mi divora, questa è la mia battaglia.


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view post Posted on 28/9/2017, 17:08
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Il vortice ai confini dell'Universo

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-Theme-

* Una ragazza dai capelli rossi, accompagnata da un grosso lupo nero, vaga per la foresta*


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Non avrebbe mai creduto di rivederla.
Gli anni erano passati ed il suo volto era diventato un “fermo immagine” nella memoria;
qualcosa di archiviato, che sapeva giungere nei momenti di maggior umanità,
un cassetto da poter aprire nel momento di bisogno.

Poi apparve, di nuovo.
Qualcosa che percepì separato dal tempo e dallo spazio.

-Tum-tum-

Era diventato insensibile alla maggior parte delle cose che le persone “normali” reputavano terribili,
avanzando sul cammino fino a diventare granitico, inscalfibile.
Eppure, bastarono due occhi verdi a ricordargli quanto fosse ancora volubile alle passioni della sua razza.

In tutto quel tempo in cui erano stati separati,
la donna ne aveva passate di cotte e di crude, (come era accaduto a lui del resto) e nonostante l'amnesia,
fu sconcertante notare come il loro legame fosse ancora vivido.

Così, con semplicità, Venizhar ed Aurin tornarono a percorrere la stessa via, mano nella mano.

I mesi passarono, ed Aurin migliorò notevolmente, anche grazie al suo supporto.
Lo stregone percepiva in lei qualcosa di poco chiaro.
Nei suoi occhi vi era una luce che gli ricordava la brama di una bestia braccata,
sempre pronta ad uccidere, assetata di sangue.
Questo aspetto lo incuriosiva perchè non apparteneva alla Aurin che conosceva.
In un certo qual senso, lo rincuorava, donando un senso al loro ricongiungimento.

L'incontro mosse qualcosa di atavico in Venizhar,
ricordandogli una fetta di esistenza che credeva seppellita fra le sabbie del tempo.


Fogne di Zhentil Keep, dieci anni prima.

La fuga del Lupo Venizhar (come venne riportata negli annunci per tagliagole) terminò alle Terre di Pietra,
dopo un violentissimo scontro contro alcuni ufficiali della Nera.
Messo sulla gogna in pubblica piazza, fu torturato dal governatore Imoden'id Erotaroda.

Poco prima di subire il colpo di grazia, dal corpo del condannato, si sprigionarono
terribili fiamme, che l'avvilupparono, fino a carbonizzarlo.
Era il suo modo di rimediare all'onta della sconfitta, o in qualche modo,
per non dare ai baniti il piacere di averlo ucciso.

Quel giovane talento così avventato, divenne solo uno scarto da gettare nelle fogne.

Forse il tocco della Dea, o forse solo il semplice caso, fecero si che Venizhar non finisse sul muro di Kelemvor.

Passarono dei mesi, dove la sua mente era soltanto un ricettacolo d'immagini sfocate, odori lontani e strani sapori.
Il primo ricordo, dopo la gogna, fu una guardia del pugno fiammante che gli intimava di spostarsi dalle scale della caserma.

Era tornato dalla morte, solo questo sapeva.



Cercando d'aiutare la ragazza a ricordare,
portandola fra i boschi che sapeva l'avrebbero fatta sentire a suo agio, giunse chiaro ciò che aveva scordato.
Le nebbie di quei giorni lontani, divennero limpidi cieli d'estate:

“Seguirmi Aurin, voglio mostrarti una cosa”

I due si inoltrarono nella foresta e mentre la ragazza studiava le impronte sulla via, Venizhar inspirò a fondo, lasciando coincidere la sua anima con ciò che lo aveva salvato, dieci anni prima, da quelle terribili fogne.


“..da qui sono passati dei cobold..”

La ragazza rimase sconcerta nel notare dinnanzi,
un grosso lupo dal pelo nero con una strana eterocromia: il sinistro nero come la pece, il destro vitreo come un mare ghiacciato.


venny

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Edited by Kralizec - 29/9/2017, 08:00
 
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view post Posted on 5/2/2019, 19:53
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~ Neverwinter, dimora di Lady Elizabeth Rose ~

La ragazza dai capelli rossi, perfettamente raccolti in una elegante pettinatura da donna di città, si aggirava lungo gli ampi corridoi tappezzati di splendidi arazzi e dipinti di valore.
Il passo leggero, il cuore pesante, l’animo inquieto.

Si fermò davanti alla porta socchiusa della propria stanza e la scostò con un gesto annoiato sbirciando dentro. Un guizzo nello sguardo della sognatrice tradì il desiderio che qualcosa potesse essere magicamente cambiato, invece la stanza era esattamente come l’aveva lasciata. I pesanti tomi sul tavolo la attendevano pazienti e ottusi, generando soltanto ulteriore riluttanza. Aurin non era fatta per quella vita, ma aveva promesso ai sacerdoti che avrebbe fatto tutto ciò che lady Elizabeth avrebbe scelto per il suo bene durante quel soggiorno “forzato” per “guarirla”.

Richiuse la porta sbuffando e arricciando le labbra nel solito broncio da ragazzina capricciosa, eppure gli anni stavano passando anche per lei. Era una donna ormai, dallo sguardo pieno di memorie e la pelle disegnata di cicatrici.
Fece qualche giravolta lungo i corridoi, facendo svolazzare la splendida gonna di seta. Scambiò qualche parola gentile con quei visi dipinti che la osservavano dall’alto, e infine si tolse le scarpe in corsa e sgattaiolò fino alla finestra del secondo piano, dalla quale si accedeva a un ampio terrazzo pieno di rampicanti. Scendere a terra era un gioco da ragazzi per chi possedeva un minimo di agilità.

Era una mattina fredda e leggermente umida, ma il cielo terso prometteva bel tempo per le ore seguenti. Avvolta nel morbido mantello di lana si aggirò per le strade con la sua solita curiosità, perdendosi nello sguardo distratto di qualche passante, fermandosi a rimirare la mercanzia esposta di qualche negozio, e infine puntando dritta alle porte della città.
Percorse la scorciatoia che aveva scovato senza distanziarsi troppo dalle mura, fino a raggiungere le sponde del fiume Neverwinter. Era incantevole il modo in cui la vegetazione abbracciava le sue limpide acque miti, conservando un volto di primavera laddove altrove imperava l’inverno.

Camminò un po’ lungo la riva, assaporando la sensazione di lasciar scorrere i pensieri con la stessa leggerezza con cui la corrente accarezzava le sponde del fiume. Infine sedette sul tronco d’un albero e prese il taccuino di cui lady Elizabeth le aveva fatto dono affinché la ragazza si esercitasse col disegno e la scrittura nel recupero delle proprie confuse memorie.


•*¨`*• ❦ •*¨`*• ❦ •*¨`*•

fiori

Giorno 42

Elizabeth mi ha chiesto di osservare la natura con occhi diversi. Vorrebbe placare la cacciatrice per lavare via il sangue che non deve essere versato. Crede che in me ci sia qualcosa di bello e delicato, con il potere di sovrastare la furia cieca della cacciatrice.

Dice che dovrei osservare i fiori, le foglie cadute, le bellezze fragili della natura, e imparare a disegnarle.

Ho perso il conto delle settimane passate qui a Neverwinter. Mi manca Ven, e mi manca la libertà. Ma per ogni prezzo pagato c’è un riscatto, e credo di star finalmente guarendo. Molti pezzi di memoria sono tornati al loro posto e dama Elizabeth non storce più il naso quando mi presento nella sala da pranzo per la colazione.
Ho imparato a raccogliere i capelli, indossare bustini, camminare come una vera signora. Ma quando sento la brezza portarmi gli odori distanti del bosco, è come se avessi dei peli sulla schiena e la natura me li stesse accarezzando col suo atavico richiamo.

I fiori, devo disegnare i fiori.

E queste foglie color della terra, secche e raggrinzite. Leggere, caduche, passeggere.
La maggior parte degli uomini sono come questa foglia secca, che si libra nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come le stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in sé stessi la loro legge e il loro cammino.
Vorrei saper disegnare le stelle.

Ed io come sono?
Quando mi libro nel vento, un ricordo d'angoscia è come una goccia di sangue su una coltre di neve. Vivo il presente come se fossi un'eco di ieri, e custodisco il segreto dei rovi.



aurin_wolf

Giorno 53

Oggi Elizabeth mi ha affidato un compito arduo. “Questo è il compito più difficile che ti affiderò, cara ragazza” – così ha detto stamane, mentre sorseggiava il suo thè fumante ed io controllavo a fatica il desiderio di ingurgitare i biscotti come una bimba famelica.

Devo disegnare me stessa. Non in senso di somiglianza fisica, ma qualcosa che mi rappresenti. Ho aspettato tutto il giorno, e adesso che il sole è scomparso oltre l’orizzonte credo di aver compreso.

Forse alla Lady non piacerà.



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~ Waterdeep, casa di Venizhar, settimane dopo ~


Il terrazzo sul tetto è coperto da un sottile strato di candida neve. Aurin è seduta su una delle poltrone riparate dai tendaggi, avvolta in una calda coperta e con una tazza fumante accanto. Osserva a lungo gli effimeri fiocchi danzare nell’assenza di vento, tutto intorno a sé. La città è silenziosa nel quartiere residenziale, quasi non volesse rompere l’incanto muto della neve.

La ragazza osserva il quaderno rilegato in preziosa pelle blu, di cui l’uomo le ha fatto dono. Lo rigira tra le mani, saggiando la consistenza del materiale con le dita, e poi annusandolo lentamente, mentre lascia fluire i pensieri.

Quando sfoglia le prime pagine, l’odore della carta pergamena intonsa la investe con prepotenza. Chi l’avrebbe mai detto che una selvaggia come lei avrebbe imparato la saggezza autoriflessiva della scrittura?


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1 Alturiak

Scuotimi, fammi tremare, sii il mio scudo.

Lascia che le cose fluiscano, segui la corrente.

Lasciami aperto, senza paura.

Scalfisci la mia fredda pelle, rendimi spericolato.

Corri, corri verso il sole del mattino,

verso il suo oro silenzioso.

Lascia che le storie tristi restino sconosciute.

Ovunque andremo, sarà casa.



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♪♫♬musica♬♫♪



Edited by Aurin - 5/2/2019, 20:10
 
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