Faerûn's Legends

Il Canto dell'Odio

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Aurin
view post Posted on 14/8/2019, 10:04 by: Aurin
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Predatore di Coboldi

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♪♫♬musica♬♫♪



Zhentil Keep - 1379 CV - Anno degli Eroi Avventati

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Nell’ampia soffitta stipata con mobili polverosi e letti a castello addossati alle pareti, il vociare dei bimbi risuona fragoroso creando una gran confusione. La Signora Marybel, dal vestito umile ma decoroso e le mani uncinate coperte di rughe, insegue uno dei piccoli più scalmanati cercando di metterlo a dormire.

Una mezzelfa dai graziosi boccoli dorati se ne sta appollaiata su un mobile addossato alla finestrella che si affaccia sulla strada del quartiere sud, appannando il vetro con il proprio fiato. Gli occhioni celesti, grandi ma privi dell’entusiasmo tipico di una bambina, fissano le lanterne accese nel vicolo con silente pazienza. Dimostra all’incirca otto anni, e tra i capelli biondi spuntano due evidenti orecchie a punta.

Dopo aver messo a dormire la maggior parte dei bimbi a lei affidati la donna è ormai al limite delle proprie forze. Si avvicina a Silerah, sistemandosi i grigi capelli raccolti nella cuffia di cotone, e mentre riprende fiato, stremata dalla lunga giornata passata a badare ai piccoli troppo attivi per la sua età, poggia la mano adunca sulla testolina della mezzelfa.

“Vieni giù da lì e dai il buon esempio ai più piccoli, fila nel tuo giaciglio Silerah.”

La mezzelfa preme di più il naso contro il vetro, e la smorfia imbronciata che assume ha tutta l’aria di preannunciare un pianto. L’anziana donna ha un moto di fastidio, tuttavia continua a carezzarle la testa con gentilezza per poi strattonarle il braccio allontanandola dalla finestra.

“Non verrà. Ha detto che sarebbe passato una di queste sere, non stasera. Ricordati che sei fortunata, più di tutti gli altri. Tuo padre mantiene sempre le promesse…quando può. Se venisse domani? Non vorrai che ti trovi con cinque dita sul viso perché hai disobbedito, eh?”

A quella minaccia la piccola sembra cedere, restituendo lo strattone con il braccio e liberandosi dalle mani stanche della donna.
Quando l’ultimo lume si spegne nella soffitta adibita a dormitorio, lo sguardo azzurro di Silerah è ancora puntato verso il soffitto. La mascella serrata e i pugni stretti sulle coperte, mentre interroga il buio con tutte le domande a cui non ha risposta.


≑≑≑≑≑ Qualche giorno dopo ≑≑≑≑≑


La porta si spalanca cigolando, inondando il pavimento d’ingresso con uno scrosciare di pioggia battente. La figura robusta in controluce si libera di un pesante mantello scuro gocciolante, che viene prontamente accolto da lady Marybel insieme alla consegna di un sacchettino di monete.

Silerah sta sbirciando la scena da dietro un angolo del corridoio opposto all’entrata. Lo sguardo pieno di speranza, mentre sfrega con insistenza la mano bendata contro lo spigolo del muro, come a dover placare un terribile prurito. Quando l’uomo avanza a sufficienza per scorgerne il volto illuminato dal fuoco nel camino, la mezzelfa prorompe finalmente in un urlo di gioia correndogli incontro.

Il soldato Maliwane è un uomo di mezza età, il fisico asciutto, il volto scavato ma tenuto in ordine con barba rasata e capelli brizzolati corti. Ha gli occhi scuri, poco espressivi, stanchi. La sua mano ruvida e solcata da numerose cicatrici afferra quella della piccola mezzelfa, accompagnandola verso la stanza riservata alle visite, lontano dagli sguardi curiosi degli orfani.

Lady Marybel si affaccia all’uscio, osservando i due, rivolgendosi con tono secco all’uomo prima di chiudere la porta.

“Ha manifestato di nuovo quegli sprazzi incontrollabili di magia. Quale sciagura per questa povera vecchia che tanto si adopera per la sua tutela!”

Il tono lamentoso della donna fa storcere il naso a Silerah, che in tutta risposta affonda il viso contro il fianco del padre, cercandovi rifugio. L’uomo fa uno sbrigativo cenno alla donna, invitandola a lasciarli soli. Poi, con gesti incerti, sembra cullarla il minimo che il suo temperamento poco affettuoso gli concede.

“Fammi vedere la mano…cos’è successo stavolta?”

Silerah racconta al padre l’ennesimo involontario sfogo del potere arcano che sembra scorrerle nelle vene. Quel potere che che la sua balia cerca in tutti i modi di farle sopprimere, alimentando in lei la convinzione di essere “sbagliata”, uno scherzo di natura per duplici motivi.

“Non devi vergognarti di ciò che sei, figlia mia. L’elfa che ti ha messo al mondo non merita nemmeno di essere chiamata madre, ma il suo sangue ti ha dato qualcosa, qualcosa che può renderti forte. Una degna figlia della Nera. Non vuoi che tuo padre sia fiero di te, un giorno?”

La piccola ondeggia la testa, ancora preda di un involontario broncio che ne arriccia le labbra rosee. Poi sembra finalmente ritrovare un adorabile sorriso, annuendo prontamente al padre.
Presa da improvvisa foga fruga nella tasca della giacchetta, e ne tira fuori un foglio ripiegato in quattro, mezzo stropicciato, mostrandolo al padre. E’ un disegno a carboncino, la rappresentazione abbozzata e stilizzata di un soldato con le insegne di Bane che tiene per mano una bambina, sullo sfondo di una casa e un albero su una qualche immaginaria collina.

L’uomo prende il foglio accarezzando nuovamente la testa della piccola, che istintivamente continua a grattarsi la mano fasciata, probabilmente ustionata magicamente.

“Non reprimere ciò che sei, Silerah. Cresci forte, potente, e devota. Un giorno ti racconterò di Garos Rakastan, e di come uno stregone possa diventare estremamente importante nella nostra città.”

La mezzelfa ascoltava sempre con enorme curiosità le storie del padre. Nella sua mente prendevano forma i volti di quei grandi uomini di cui le parlava. Eroi ancora in auge, oppure caduti, ma importanti quanto basta per essere ricordati. Alaric Ganondorf, Askard Urgrash, Imoden'id Erotaroda, Darkivaron Salas, Garos Rakastan. Gente che era partita da qualche parte, e che poi un bel giorno era arrivata.

Così le diceva il soldato Maliwane, che otto anni prima aveva stuprato un’elfa dall’animo tanto fragile da non riuscire a tenere con sé il frutto di quella violenza. Il soldato Maliwane, che passava undici mesi su dodici in missione per conto dell’esercito, e non aveva mai sperato di farsi una famiglia. Ma quando aveva visto quel fagotto dolce con gli occhi azzurri e pieni di vita, aveva sentito qualcosa spezzarsi dentro.
In quegli occhi aveva scorto un qualche futuro, un futuro che avrebbe portato il suo nome.

“Di che colore ha i capelli questo Garos, papà? Voglio disegnarlo stasera!”

L’uomo continua a placare la curiosità della mezzelfa ancora per un po’, concedendole le attenzioni che può darle così di rado.
Ma anche quella sporadica occasione di gioia è destinata a finire, lasciando nel cuore di Silerah il sentore di un vuoto che non si riempirà mai abbastanza.

[ ...continua... ]

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Edited by Aurin - 14/8/2019, 12:33
 
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