Faerûn's Legends

Il Canto dell'Odio

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Aurin
view post Posted on 6/9/2019, 10:21 by: Aurin
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Predatore di Coboldi

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liuto_3
♪♫♬musica♬♫♪



Tirò un calcio secco contro la porta chiusa dopo aver bussato invano. La vecchia non c’era, oppure non aveva alcuna intenzione di parlarle. Probabilmente stava escogitando un modo per ucciderla nel sonno, con quelle sue arcigne mani raggrinzite che con tanta disinvoltura passavano dal gesto dell’elemosina a quello dell’assassinio.

Fece pochi passi e rientrò in camera sua sbattendo la porta. La mezzelfa era decisamente spazientita, ma il confine dell’autocontrollo ben lungi dall’essere anche solo sfiorato.
Così non era stato la sera precedente alle terme, eppure non sembrava aver intenzione di crucciarsene per il momento. Le premeva più che altro liberarsi dal sentore dell’olezzo che proveniva dalla camera adiacente.
Non era più sicura se fosse reale o se le fosse rimasto addosso solo il ricordo, impregnando le narici ed attaccandosi come una piaga invisibile ai vestiti.

Portò una manciata di quel tabacco nero vicino al naso, inebriandosi dell’odore pungente in grado di annullare la nausea. Poi per sicurezza si spruzzò ancora un po’ di profumo sul collo. Gelsomino ed essenza di rosa. E Nero di Maztica. Una bizzarra associazione. Starnutì, e lasciò perdere il cassetto dei profumi.

La fiammella della candela stava ancora danzando sui residui di cera sopra il tavolino, proiettando ombre mutevoli sulle pareti dell’angusta stanza. Si appoggiò alla scrivania espirando con stanchezza e malavoglia, lasciando lo sguardo correre sui libri aperti abbandonati e i fogli pieni di scarabocchi.

Oltre le scartoffie troneggiava la candela, illuminando i pochi oggetti personali di Silerah sui quali si fermò il suo sguardo.

Un modellino di nave, intagliato con cura da mani esperte, ritraeva la tipica imbarcazione Zhent con il caratteristico velaggio e l’albero di mezzana volutamente spezzato. Nulla che sembrasse avere un apparente valore.

Proprio accanto un altro oggetto in legno, stavolta più pregiato. Una pipa dalle venature rossastre, su cui era stato intagliato con minuziosa pazienza il volto di un golem.

La mezzelfa rimase a osservarli nella penombra, con la tipica aria crucciata di chi è completamente immerso nel fiume dei propri pensieri.

Solo molti minuti dopo si decise ad accendere il candelabro e a scrivere come di consueto alcuni appunti sul diario prima di coricarsi.


libro_sile_personaggi


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Cosa si nasconde dentro gli occhi di una persona? Mentre li guardi, li scruti, e non riesci a vedere altro che una timida pupilla tremante, che aspetta la palpebra per nascondersi e riapparire diversa, meno nuda, meno attaccabile?

Cosa si cela dietro gli occhi dei propri aguzzini? Coloro che ci odiano, che ci disprezzano, che neanche ci vedono.
E dietro gli occhi timorosi? Dietro le palpebre che non proteggono abbastanza? Dietro il servile sibilo di un “Sì Signore”?

Bizzarro orrore nel connubio quotidiano della sottomissione e del potere. Lo splendore ed il terrore che si baciano, si nutrono di un'anima e di un corpo.

Ancora li fisso quegli occhi. Tutti quanti. Convinta che possa esserci un angolo trascurato dal quale tuffarsi per vedere oltre. Eccola, proprio lì, la botola verso l’abisso che le parole tenteranno sempre di tenere chiusa.

Cosa c’era negli occhi di quell’uomo mentre calpestava la vecchia china ai suoi piedi? Con così tanta intensità ho bramato di vedere una scintilla, un’emozione sadica o perversa, una qualsiasi. Ma con mia terribile sorpresa non ho potuto scorgere che il niente.
Perché cerco la sua approvazione come se fosse un feticcio del padre che non potrò più avere?
Lo temo ma non posso rifuggirne. Come il vortice di un gorgo marino che prima cattura e poi restituisce morte e relitti. Mi ostino a compiacere questa rigida disciplina nell’impazienza controllata di chi trema sull’orlo del precipizio e non vede l’ora di gettarvisi.

E nei suoi occhi verdi? Perennemente schermati dall’arrogante strafottenza di chi è convinto di potersi sempre salvare? Dietro i sorrisi di beffa, l’ironia, l’amarezza? Un costante scarto sottile tra lui e il resto del mondo, e le fessure che tuttavia lasciano aperta una strada. Illusoria?
Ho sognato così tanto negli anni. Sogni che pervadevano la realtà sovrapponendosi all’orrore. Come la sensazione che ho adesso, osservando il mondo attraverso il fumo che ha il suo odore. I contorni annebbiati somigliano a infinite possibilità che svaniscono nel tempo di un respiro.
Le cose non dette, anche solo a metà, e le confessioni involontarie, che nel momento in cui prendono la forma di parole appaiono terribilmente stupide. “Perché un golem?”

Oggi ho viaggiato in altri occhi. Celati da palpebre stanche e cadenti, ingrigiti, densi di polvere e memorie. Uno sguardo estraneo, che improvvisamente ha aperto uno spiraglio inatteso. Attimi veloci, che scivolano via nell’affaccendarsi quotidiano lasciando un sentore di familiarità. Una nota prolungata nel silenzio di una stanza chiusa che risuona esattamente come avresti desiderato.
Voglio ricordarmi di lui, del vecchio Theodor, che ha combattuto contro Mulmaster tornando su una nave mezza distrutta, che porta sul viso i segni di una vita dura e cruenta, delle battaglie, della resistenza. Il vecchio Theodor che forse ha conosciuto mio padre, e che parla della sua città con la fierezza di un amore aspro e temprato dalla sofferenza.

Voglio addormentarmi pensando a quegli occhi. Che lasciano cadere le difese anche se siamo tutti consapevoli che qui non ci è concesso farlo. Perché abbiamo paura, perché l’odio ci storpia la faccia e la rabbia ci indurisce le mani.

Come lei, che dorme qui accanto crogiolandosi nel viscidume del proprio opportunismo. Lei che deve pur essere stata giovane un tempo. Lei che forse ha fatto i miei stessi pensieri, prima di piegarsi al giogo inevitabile degli eventi.
Lei che esiste con la sua bieca moralità sotto uno strato di pelle lercia e raggrinzita che ho visto sfiorare dalle mani di lui. Parole suadenti e morbide, mentre le sue pallide dita avvicinavano l’orrore di quella carne molle. Un terribile paradosso in bilico tra il fascino dell’orrendo e l’istinto verso il pulsare salubre della vita. Ancora rabbrividisco ripensando a quella sensazione. Il panico che mi urlava di non guardare e l’impossibilità di distogliere lo sguardo.

Il suo odore mi ha impregnato le narici, la mente, i pensieri.

Che odore ha il dolore? Come il freddo, la solitudine, la paura o la morte. Anche il dolore ha un odore.
Tante volte ho provato a decifrarlo, ma si nasconde, si diluisce, si camuffa. Offre piste fasulle.
Ha qualcosa di chiuso, di rancido, qualcosa di narcotico. Potrebbe essere alcool, vertigine o nausea.

Odora poiché esiste. Nelle occhiaie violacee, nei calici dell’insonnia, nelle cicatrici paonazze dell’attesa o dell’angoscia.
Odorano i corpi nel dolore, odorano la febbre e l’ombra, la stanchezza, la miseria o la fame.
Odora il mio corpo avvilito contro il muro, soverchiato dal possesso, annegato nell’incompreso.

La morte è sotto la mia pelle, uguale a un insetto in un bicchiere rovesciato. Di tanti affanni non resterà che il torbido residuo di quell’odore.

Il ricordare come ci si leva una benda per rabbia da una ferita fresca.

Solo frammenti, dettagli a sangue, svolte fulminee. Oscurità e fumo.


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smoke

 
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