Faerûn's Legends

Il Canto dell'Odio

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Aurin
view post Posted on 14/1/2020, 22:20 by: Aurin
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Predatore di Coboldi

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liuto_3
♪♫♬musica♬♫♪


fire-1


Una placida notte cinerea a Zhentil Keep, indolente e pigra, appesantita da una fitta nevicata che attutisce le voci, condanna i disperati, copre il sangue dei patiboli.
Persino il nero delle pietre della città del terrore sembra sbiadire sotto il tocco spietato di un bianco violento che si impone dal cielo.

La mezzelfa sgattaiola fuori dagli uffici a sera inoltrata, avvolgendosi nel prezioso mantello intriso di magia invisibile. D’altronde lei stessa è un concentrato vagante di trama inespressa, pronta ad esplodere da un momento all’altro.
Eppure nulla sembra mai accadere, come una minaccia che si perde nel frastuono della tormenta, come il sangue nascosto da troppa neve. Ogni giorno si succede uguale al precedente, il tempo scorre e scivola addosso alle vesti di seta tinte di rosso vermiglio.

Un fiammifero acceso nei pressi di un focolare ardente. Inoffensivo, come il bel viso di una ragazzina che in fin dei conti non fa altro che stare al proprio posto.

“Vuoi scoprire davvero cosa significa impazzire?”

Un’isola ai confini del Faerun. Soltanto il vento, la solitudine, la disperazione. Un luogo dimenticato dagli Dei in cui quel fiammifero può imparare come si fa ad ardere più forte.
Le parole che si perdono nel mare, i consigli sbagliati, i suoi occhi che stillano il veleno necessario a trovare le risposte. La solitudine, la solitudine, la solitudine. Ma così diversa da quella che è abituata a provare.

Silerah scuote il capo senza alcun apparente motivo mentre cammina. Scaccia via quella che è soltanto una visione sfuggente tra i pensieri di una ragazza troppo impegnata a muoversi con prudenza nel gioco sottile della tirannia. Eppure ne sente il peso, come il macigno delle cose mai dette.

La neve scende soffice ora, parrebbe quasi voler ricoprire di carezze i detriti che lei stessa ha creato, infuriando poc’anzi come una bufera.
Silerah ha passo svelto, è già arrivata nel quartiere popolare, strisciando contro i muri ed evitando i pericoli dei vicoli troppo scuri. Conosce a perfezione ognuna di quelle sudice stradine, riesce persino a prevedere a quale svolta d’angolo potrebbe sprofondare in una pozza di sangue e vomito con i suoi eleganti stivali di pelle nera.

D’un tratto si ferma di fronte ad un edificio in evidente stato di degrado, solleva il viso pallido e grazioso verso l’alto, mentre il cappuccio le scivola sulle spalle, lasciando che la neve impreziosisca di cristalli evanescenti la bionda treccia.
Difficile ricavare qualche indizio dall’espressione ferma del suo volto, forse un osservatore attento saprebbe cogliere nello sguardo un velo di tristezza, ma chiunque la osservi in questo momento non ha alcun motivo d’esser interessato a quegli occhi.
Lentamente slaccia dalla cinta un mazzo di chiavi che produce un fastidioso rumore di ferraglia nel silenzio incantato della neve. Ne sceglie una, tra quelle contrassegnate col sigillo governativo delle case in vendita, e dopo aver lanciato una rapida occhiata intorno a sé si infila nella marcescente catapecchia.

L’aria è stantia, ma il freddo allevia la nausea che provoca. Qualche ratto spelacchiato corre lungo i profili dei muri scomparendo in una crepa poco distante, e fila di ragnatele abbandonate pendono dal soffitto.
La mezzelfa sfila lentamente il guanto sinistro ed avanza, sfiorando la parete ricoperta di muffa, quasi a voler percepire lo strato dei ricordi che le si sono aggrappati addosso. Muovendosi con la sicurezza di chi conosce il luogo avanza nonostante la penombra, sale le pericolanti scale a chiocciola, e solo alla vista dei numerosi lettini abbandonati sembra avere un sussulto.
A volte è inaudito il modo in cui il passato ritorna, imponendosi al presente senza averne alcun diritto.

Chiudere gli occhi significherebbe sentire le loro voci, le grida, gli scherni, e i singhiozzi nelle notti infinite ad attendere qualcuno, qualcosa, qualsiasi cosa che la strappasse da quella prigione.
Così non li chiude affatto, ma avanza, col passo sicuro di una donna che vorrebbe sembrare forte e determinata, ma solo per avvicinarsi a quell’amata finestra, aprirla per lasciare entrare i fiocchi di neve, e accovacciarsi a terra con la schiena contro il muro.

Nel pallido raggio di luce lunare riflesso dalla neve, la mezzelfa sceglie un foglio dal proprio quaderno, e dopo averlo strappato inizia a scrivere.


fire-2


≑≑≑≑≑


Vorrei avere qualcuno a cui scrivere, iniziare questa lettera con “caro amico mio, caro padre, cara sorella…”.
Non c’è nessuno che mi sia caro, nessuno di vivo. Vorrei scrivere a te, padre. Immaginarti al confine a combattere, leggere questa lettera tra le mani sporche di fango e le lacrime agli occhi. Invece le uniche lacrime che possono ancora scorrere bollenti sono le mie. Sulla tua tomba mai ritrovata.

Ma ti scriverò lo stesso in questa notte uguale a mille altre, ti scriverò come se tu fossi in pena per me, come se vi fosse ancora una ragione per lottare che non sia solo il mio testardo egoismo.

Ti racconterei di come passo molte ore a stilare registri ed apporre timbri, e le restanti a studiare su libri che probabilmente non mi restituiranno mai abbastanza risposte.
Ti direi dell’Accademia, ti parlerei del Rettore e dei suoi strani modi, forse potrei persino scherzarci sopra e tu mi rimprovereresti, da distante, sapendo che non potrei vederti invece sorridere.

Ti descriverei i sacerdoti di Bane, e saresti ancor più duro nel giudicarmi quando arriverei a dirti che nonostante la mia fede sia salda, scorgo troppe contraddizioni in quelli che mi appaiono soltanto uomini.
Ho tanto pregato per degli appigli da seguire come fiaccole nel buio, e invece ho trovato semplici uomini spaventati, che ingigantiscono la propria ombra per provocare più paura di quanta ne provino loro stessi.

E poi ti racconterei delle avventure, di tutte le creature incredibili che ho visto e dei guerrieri potenti che ho ammirato combattere. Figli della Nera, papà, proprio come te.
E solo quando saresti fiero di me, leggendo quelle parole, ti confesserei che il mio cuore batte per un ramingo che non appartiene a nessun luogo, e tanto meno a me. L’unico che ha intravisto la fiamma e non perde occasione di alimentarla.

Ti racconterei dei luoghi assurdi che ho visitato insieme a lui, degli esseri terrificanti che abbiamo fronteggiato, di come sono stupida e imprudente quando sono al suo fianco, danzando sul ciglio della follia verso le braccia della morte.
Eppure non ho paura padre, non ce l’ho mai, quando sono con lui. Decine d’occhi di beholder che mi fissano alle porte del sottosuolo mi fanno meno terrore della solitudine che provo qui, alla Nera, tra uomini dispotici e vuoti come pozzi nel deserto.

Cosa penseresti di me se ti scrivessi tutto questo, padre? E se ti dicessi che nonostante tutto, nel paradosso del mio sangue misto e diviso, continuo ad amare follemente questa città?
Che quando ero lontana, mandata in una missione di studio forzata, ho sentito una nostalgia così forte che chiudendo gli occhi mi sono ritrovata magicamente di nuovo a Zhentil Keep?
Sì, padre, la mia magia cresce. Ora posso attraversare i luoghi e non sentirmi mai troppo distante dal puzzo di morte e sangue che impregna quella che mi hai insegnato a chiamare casa. Beh, a dire il vero c’è un altro posto che ho imparato a raggiungere con la magia, ma più che un posto è forse un desiderio di trovarci qualcuno.

Imparerò a gestire tutto questo, continuerò a tenere acceso solo quel piccolo fiammifero...ricordi? Mi dicevi di giocare con quell’innocua fiammella se avevo desiderio di vedere il fuoco, per reprimere la fiamma che scaturiva istintivamente dalle mie mani.

Lo faccio ancora sai? Reprimo, soffoco, seppellisco. Ci sarà un giorno in cui non sarà più necessario fuggire su quell’isola per allenarmi ad impazzire. O forse no, e non sopravviverò neppure all’alba che verrà.
Perché questa è Zhentil Keep, e sotto la neve nessun fuoco vive a lungo.



≑≑≑≑≑


La mezzelfa accarezza il foglio rileggendolo, quando il suo sguardo arriva al finale le mani si accendono di bagliori incandescenti che intaccano la pergamena. In pochi istanti il foglio è cenere, che si libra nell’aria mischiandosi alla neve.


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