Faerûn's Legends

Il Canto dell'Odio

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Aurin
view post Posted on 26/1/2020, 17:49 by: Aurin
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Predatore di Coboldi

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liuto_3
♪♫♬musica♬♫♪



libro_post_1


L’ombra vasta della sera avvolge la città avanzando tra i vicoli meno affollati. I lumi si accendono e vibrano debolmente ai lati delle strade aumentando le ombre che danzano sul terreno consunto dal trambusto della giornata.
Saluto distrattamente il mercante intento a chiudere con diversi lucchetti il portone di un negozio e continuo a camminare infilandomi in una via secondaria. È così silenziosa Zhentil Keep dopo il tramonto: l'aria è pregna degli odori che la terra trasuda, gli anonimi profili delle case creano un mosaico tutto uguale, e il fumo dei camini si staglia contro un cielo limpido di gelo, sempre più colmo di stelle.

Scorro lo sguardo su questa infinita scena di inutili comparse che è l’esistenza, rallentando il passo senza neanche accorgermene. D’un tratto mi blocco come se un solo altro passo potesse costarmi la vita.
C’è un punto morto nel mio occhio. Una zona buia senza definizione. Se ascolto bene è il rumore di qualcosa che mi viene incontro, è qualcuno che chiama il mio nome e non mi conosce.
Ma io non cedo, non mi importa. Non guardo mai da quella parte. Fisso i miei occhi nella folla e mi dico che sarebbe troppo strano girarsi intorno.

Così riprendo a camminare. Sfilo indolente nel corteo funebre quotidiano, fingendo di essere il morto che il mediocre compiange. È l'unico modo che ho per sottrarmi all’ignobile nullità del restare.

Richiudo la porta di casa alle spalle e accolgo la semplicità del buio. In questo nulla che mi si allarga intorno percepisco ogni cosa come possibile, anche lo stratificarsi del tempo, il ritornare di ciò che è perduto.
So che se accendessi la fiamma scorgerei la banalità di questa stanza dozzinale, riempita dei miei oggetti e ridisegnata in forme che a stento mi appartengono. Invece accolgo il nero, affinché la notte si insinui alle mie spalle con la sua insonne intimità, facendomi sentire la sua voce profonda che mi sussurra fiabe dimenticate.

Un vero peccato di sentimentalismo acquistare proprio questa casa. Questa prigione in cui ho mescolato acido di inchiostro e sale sulle ferite. Questo focolare senza affetti, questa dimora di carta, destinata a bruciare tra desideri infranti e cicatrici di ferro.

<< Descrivimi il posto più bello che hai mai visto >> – è una frase così sciocca. Sono stanca di dovermi difendere in ogni istante, indossando armature troppo larghe che non so portare. Sto eseguendo una missione, anche ora, e sto facendo esattamente ciò che desidero. Dev’essere in questo confine labile che si sgretolano le maschere e si infilano i pugnali nel centro perfetto di un cuore pulsante.
Una visione di sangue denso e scuro si sovrappone ai riflessi del vino cremisi tra le mie mani, che per un impercettibile istante tremano.

- Controllo, Silerah -

Chiudo gli occhi per raccogliere i miei pensieri confusi figurando un’unica matassa che lentamente si riavvolge, seguendo la direzione che le sue parole mi descrivono, verso luoghi lontani che non ho mai veduto.

Quando li riapro siamo nel bel mezzo di un lago placido, circondati da alti pini che ondeggiano armoniosamente nel vento. Una sensazione di serenità così banale. Mi piace il suono rassicurante delle cose scontate, incastrate nel loro esatto posto, senza stonature o imperfezioni.
Potrei sopravvivere al caos per giorni interi, ripensando a un’immagine banale, scontata, finita. Una perla da portare in tasca e da accarezzare con le dita ogni volta che la ragione inizia lentamente a scivolarmi via.

Lui sorride, e nemmeno prova a infrangere l’illusione. Compromessi necessari, per combattere la crudeltà dell’esistenza. Quando i contorni magici iniziano a vacillare la realtà ritorna, e l’unico mio pensiero è un rimpianto: avrei voluto imparare a farlo molto tempo fa, quando qui dentro vivevo la realtà come un continuo incubo.

Fuggire sotto le coperte, chiudere forte gli occhi e iniziare a creare un altro mondo di fantasia che apparisse tutto intorno a me, fuggire in fiabe illusorie che prendessero il posto di quella squallida stanza, spaventare i mocciosi del dormitorio con creature mostruose nel cuore della notte.
Forse mi sarei persa nei meandri del mio stesso pensiero, per sempre esule e schiava di una bugia.

Invece sono qui, costretta a guardare negli occhi un altro estraneo. Oscillo come un pendolo il cui movimento aumenta impercettibilmente ogni secondo, e mi osservo dal di fuori aspettando di vedere quando il perno su cui mi reggo si spezzerà.


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libro_post_2

L’arena appare più imponente e schiacciante da quaggiù. La terra è smossa e scivolosa, una mistura di sangue e sudore, un odore pungente che mi stordisce. Ma le voci, le voci sono la cosa peggiore. Rimbombano come boati continui che rimbalzano tra gli spalti e le alte mura, per ritornarmi addosso con crescente violenza.

Ho imparato a controllarmi, sono sicura di me, so cosa devo fare. Gli occhi vacui del mio maestro sono uno sguardo che posso sempre ritrovare, in qualsiasi caos, nel dubbio, nell’euforia del sangue che ribolle mischiandosi alla trama che esige il suo momento di gloria.

- Cazzate -

Quel troglodita inizia a prendere a calci il ragazzo a terra, sconfitto. Una lava incandescente mi monta dallo stomaco e invade completamente qualsiasi residuo di ragionevolezza. Ogni centimetro di pelle brucia come se dovessi polverizzarmi, ora, in una singola spettacolare esplosione irreversibile.

<< La mia allieva, contro la recluta.>>

Un’ondata di odio tracotante nei confronti dell’unico uomo che dovrebbe aiutarmi a non infiammarmi come un cerino che si consuma in un attimo. Si somma alla rabbia che mi monta dentro e non ho idea di come tenere tutto racchiuso entro i confini di un corpo che mi appare fragile come cristallo.
Sento il fuoco scorrermi nelle vene, ha il sapore squisito del potere arcano, e il retrogusto mortifero della frustrazione e del rancore. Mi preparo, punto il mio obiettivo, la mente si spegne.

Quando ritorno cosciente di me sto cercando di prendere a bastonate il barbaro che ride a crepapelle mentre un intero lato del suo corpo è ustionato, un uomo mi tiene ferma e il mio maestro mi grida di smetterla.

Forse è lo sguardo torvo del sacerdote a farmi rinsavire, o forse mi sono semplicemente svuotata. Una sensazione incredibilmente piacevole, l’assenza temporanea di ogni desiderio. Mi fa persino ribrezzo pensare che stavo per ingaggiare un contatto fisico con quell’uomo che mi disgusta profondamente.

Torno al mio posto e mi allontano il più possibile dal cuore pulsante dell’odio che è seppellito lì da qualche parte tra sangue e fango. Osservo gli scontri, apprendo tutto ciò che posso. Non sono ancora pronta, non devo esagerare, la mia ora è immatura.

C’è un tempo per ogni cosa. La passeggiata verso il baratro può essere piacevole come una sera d’estate riempita di melodie festose. La vertigine infine fa sempre ciò che deve. Una calamita più potente di ogni parola non detta.


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libro_post_3


Rifletto spesso su ciò che voglio essere. Più mi arrovello di pensieri, più il sangue prende il sopravvento scegliendo al mio posto. Non controllo che un briciolo del potere che sedimenta nel fondo di un abisso inesplorato di possibilità.
Mi ritrovo a manipolare le menti altrui e non so nemmeno io dove vorrei realmente portarle. Come il gioco crudele di un felino che stuzzica la sua preda per noia e non le lascia scampo.
Scavo dentro di me e non vedo altro che istinti, ma la mia mente è forte e pretende di avere il controllo.

Devo prenderne atto: inseguo illusioni e desidero plasmare ciò che mi circonda. Una profonda insoddisfazione e inadeguatezza alla vita. Vorrei che il mondo cambiasse perché non riesco a cambiare me stessa.

Forse tutto nasce dalla profondità della tristezza. L’inaspettato entra nel nostro cuore quando siamo ancora indifesi, penetra nella sua camera più interna, ed è già nel sangue.
E noi restiamo lì a chiederci cosa sia stato. Ci si potrebbe facilmente persuadere che nulla sia accaduto, eppure noi ci siamo trasformati, come si trasforma una casa in cui sia entrato un ospite estraneo.
A stento sapremmo dire chi o cosa sia la causa. E’ come se il futuro sedimentasse in noi per potersi trasformare, molto prima che qualcosa accada.

Tuttavia non demordo. Faccio tesoro dei consigli di un uomo potente, che pur avendo contrastato il fato e la morte non ha le risposte alle domande più semplici.
Sfido il mio avversario più temibile, me stessa, scendendo a patti per giocare in contrattacco. Se la mia mente non può dominare, che possa almeno creare i presupposti per indirizzare i miei istinti.

E’ un piano al limite del sensato, ma potrebbe funzionare.
Guardo l’assenza di un volto che si perde in un gioco di nebbie scure e comprendo di essere una volta ancora troppo imprudente. Domande e risposte che si riconoscono come occhi dentro agli specchi. Non esistono scelte facili quando cammini su perenni sabbie mobili. Sabbia bollente.

Lo guardo uscire nella notte e so che anche oggi non avrò pace.

 
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20 replies since 25/7/2019, 17:46   919 views
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