Faerûn's Legends

Il Canto dell'Odio

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Aurin
view post Posted on 31/1/2020, 18:50 by: Aurin
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Predatore di Coboldi

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shadowss


Ogni passo ha il peso di mille pensieri aggrovigliati intorno alle caviglie come pesanti catene. Se solo potessero assumere consistenza sarebbero una nube fitta di filo spinato per allontanare il mondo. Invece appaiono come fantasmi di nuvole verso cui la mia attenzione sembra disperdersi, mentre cammino con l’aria assente tra le strade vuote.

Lievi folate di vento gelido si insinuano tra i miei capelli, accarezzando il collo e scendendo lungo la schiena come brividi invadenti a cui non oppongo resistenza.
Ombre silenziose che si stagliano ai lati della strada tremolando disturbate dalle luci delle torce accese. E ombre celate, come foschia dispersa nell’aria stessa che respiro. Fiato caldo sul collo e mani che mi sfiorano, senza occhi da cercare.

Forse sta funzionando, o forse no. Sento il mio corpo irrigidirsi ogni volta che sfioro il confine tra il reale e l’invisibile, consapevole che quel controllo non mi aiuterà a sprigionare la magia a cui anelo.
Arriverà il momento in cui si spezzeranno le corde con cui ad ogni nuovo giorno pazientemente imbriglio la follia del mio sangue stregato. E’ solo in quegli istanti che accadono le meraviglie, seguite dall’inevitabile prezzo da pagare per ristabilire l’equilibrio.
Ogni conquista è una stella che rifulge nel buio schiantandosi contro muri invisibili alzati dalla mia stessa volontà. E tutto intorno l’oblio, che sprofonda come una spirale di cui temo il fondo mentre tuttavia assaporo la vertigine della caduta.
E’ una strana sensazione, l’invadenza del silenzio, la presenza fisica dell’invisibile. Non avevo mai dato il giusto peso al potere mentale che può raggiungere chi danza tra le ombre.
La notte il sonno tarda a venire, parlo ai miei fantasmi che hanno il sapore dei ricordi e dell’assenza, conversazioni dai due estremi della notte, come da spiagge distanti. Un mare di gelide stelle arroganti sul soffitto oscilla tra opposti pensieri.
Mentre rincorro l’oblio della coscienza percepisco un soave bisbiglio che scivola lungo il baratro. Rido della mia agognata solitudine, così presente e così violata.

“Quale solitudine? Lo sai che non si è mai soli. Dovunque andiamo ci portiamo addosso il peso del nostro passato e del nostro futuro.”

Banale. Ma quel peso spinge in giù le spalle mentre drizzo la schiena e sollevo il mento per guardare in faccia il mio destino.
Avevi ragione, tutti quelli che abbiamo ucciso o perduto sono sempre con noi. Ma quel che è peggio è che rimane chi abbiamo amato. Il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza.
Una solitudine che risuona di denti che stridono, di chiasso e lamenti perduti. Una solitudine infestata dai fantasmi.


Myos


Un mostro. Un uomo. Con un passato, dei sentimenti, forse dei rimpianti. Non riesco a decidere e rimango a guardare, con la meraviglia di un bambino che vede per la prima volta la neve e non sa assolutamente cosa aspettarsi. Ne percepisce la mutevolezza, l’incanto, il potenziale pericoloso. E’ tutto lì davanti agli occhi ma non ne conosce ancora a fondo le conseguenze.
Così scruto il suo volto e mi aspetto di scorgere qualcosa che non avevo ancora notato, troppo distratta, troppo assuefatta all’immagine prestabilita del mio interlocutore.
Il fuoco scoppietta nel camino, è ipnotico e rassicurante, così come le sue parole. D’un tratto mi rendo conto di avere sempre avuto l’ombra della sua mano sopra di me, la vedo allungarsi su coloro che mi circondano e comprendo che sono stata ingenua una volta ancora.

Eppure non è risentimento quello che provo, nè fastidio, nè odio. Neanche quando si accanisce contro l’unica persona che negli ultimi mesi mi ha tenuta appesa disperatamente alla voglia di sentirmi stupida, fragile, potente, umana.
Forse in una situazione diversa avrei perso il controllo, divorata dalla rabbia di veder ferito ciò che per me è prezioso.
Invece mi sorprendo a comprendere, nella percezione di un attimo, mentre gli sento pronunciare quelle parole potentissime, l’esatto motivo per cui lo fa.

E non c’è rabbia, non c’è rancore, solo una profonda accettazione velata di tristezza. E’ un pugno allo stomaco che mi toglie il fiato, ma accuso in silenzio e mantengo il mio posto.
Inizio a vedere la scacchiera da ogni lato, osservo il dispiegarsi delle forze in campo, comprendo i compromessi necessari.

Ed è così che l’uomo ritorna, dopo che il mostro si è manifestato in tutta la sua grandezza, e mi chiede cosa voglio fare, imponendomi una scelta di cui non desidero il peso.
Mi sono illusa di essere fuori da quella scacchiera, ad osservare paziente dalla mia nicchia insignificante. Ma mi è chiaro adesso che sono già nel mezzo, impigliata tra corde invisibili che si stringono più forte ad ogni spasmo del mio corpo.
Non basteranno le fiamme che sgorgano dal mio essere, non servirà urlare, né maledire gli Dei.
Io conosco già la mia risposta, ne percepisco l’amaro sulle labbra e lo assaporo a lungo prima di trasformare quel che sento in un fiume di stupide parole.

La notte è finita, e Zhentil Keep è tornata la sfida di sempre. Monotona e mortale.
Inizio un altro giorno inghiottendo ipocrisie, chiedendomi quanto tempo servirà per alzarsi, uccidere, misurare le tracce e distinguere i morti soffocati da quelli annegati, tra neve, fango, e ginocchia prostrate.
Quanto ne servirà per conquistare isole silenziose, per camminare sull’acqua sfuggente lasciando impronte indelebili.
Sedersi ad un tavolo, odorare pesce fresco, inghiottire vino e consigli per consolarsi.
Svanirà anche l’angoscia di questo tempo in cui tutto è possibile, di questa giovinezza che tutti mi rinfacciano e che io non so comprendere. Passerà l’inverno e si vivrà ugualmente, tra poveri famelici e ventri sazi.

Sopravvivere significa affrontare la mattina e il rumore dei sogni infranti, con un mantello di seta scura che porti addosso la notte, ed un sorriso di ghiaccio che accechi più dello squallido sole.

 
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