Faerûn's Legends

Il Canto dell'Odio

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Aurin
view post Posted on 7/2/2020, 00:27 by: Aurin
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Predatore di Coboldi

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liuto_3
♪♫♬musica♬♫♪


heart


Dopo ogni guerra a qualcuno tocca ripulire. Del resto un po’ d’ordine da solo non si fa.
C’è chi si occupa di spingere le macerie ai bordi della strada, per far passare agevolmente i carri pieni dei cadaveri. C’è chi deve sprofondare nella melma e nella cenere, tra schegge di ferro e stracci insanguinati. C’è chi deve trascinare una trave a puntellare il muro, chi rimonta le porte sui cardini e ripara le finestre.

Non c’è niente di eroico, e ci vogliono anni. Tutta l’attenzione è già puntata verso un’altra guerra e i menestrelli cantano fandonie in terre lontane, senza infamia né lode.
E intanto qui c’è chi, con la scopa in mano a raccogliere rifiuti, ricorda ancora com’era. E qualcuno lo ascolta, annuendo con la testa non mozzata.
Chi sapeva di cosa si trattava deve lasciare il posto a quelli che ne sanno ben poco, forse quasi nulla.

Sull’erba che ha ricoperto le cause e gli effetti, gli errori e i trionfi, c’è chi se ne sta disteso, con una spiga tra i denti, a fissare le nuvole.


A Zhentil Keep non c’è nessuna guerra e molte se ne consumano, in silenzio, tra gli spazi che separano le parole di troppo, negli sguardi sbagliati, tra le illusioni e le false apparenze di quiete.
Talvolta mi accade di non dare peso alle cose, di cercare in volti estranei qualcosa che mi parli di un cielo diverso, di un altro modo di vivere. Non è questione di fidarsi, no. È imprudenza, è desiderio, è voglia di sporgersi oltre i limiti per vedere se è poi così terribile cadere.

Alcune persone hanno sguardi di spine, lupi tra i lupi, giocano a carte scoperte. Altri indossano il manto di agnelli e ci vanno in giro a proprio agio. Ci si trovano così bene che quando è ora di mordere lo fanno con tale debolezza da generare pietà.
È questa reazione che credo di aver visto nel mago. Delusione, forse. O un paterno istinto di protezione e sprone verso un pupillo ancora così acerbo.

“Non hai forse giurato che avresti difeso gli altri membri?”

Una sottile linea scarlatta che demarca il confine tra il credere e il non credere. Labile intercapedine in cui vive l’inquietudine della mia costante estraneità, distante e vicinissima. Un isolamento tra la realtà e il pensiero, che finisce col relegarmi non sopra né sotto alle cose, ma accanto, perennemente accanto.

“La tua passione, il tuo potere, la tua eterna lotta è poesia”

Immagino il suo corpo ardere nelle fiamme. Alte lingue di fuoco che serpeggiano verso un cielo nero di cenere. Nelle mie fantasie non urla affatto. Si consuma nel silenzio più totale, come quello della neve che inizia a cadere per la prima volta all’inizio dell’inverno, poco prima dell’alba.

“Lui aveva chiaro ciò che voleva, ma non ha avuto il fuoco per prenderselo. Voi invece siete una fiamma perpetua.”

Desidero unicamente che sparisca dalla mia vista, che si disintegri e mi lasci un cuore da calpestare affondandolo nel fango.
E invece resisto, in quella maledetta intercapedine.

So perfettamente che se trascorrerà questa notte terribile lontano da me, domani non avrò più questo fuoco impietoso tra le dita. Rimarranno soltanto le ceneri in bocca, col loro gusto amaro. Ceneri di un fuoco che non è mai divampato.

“Avete mai ucciso a sangue freddo?”

“Non qualcuno a cui tenevo.”

Devo molto a quelli che non amo. Il sollievo con cui accetto le loro azioni e le loro mancanze. La gioia di non essere io il lupo dei loro agnelli. Mi sento in pace con loro, e questo l’amore non può darlo né riesce a toglierlo.
Non devo stare ad aspettarli alla finestra, paziente, come una quercia secolare nel mezzo di un bosco. Capisco quel che l’amore non capirebbe. Perdono ciò che l’amore non perdonerebbe mai.

“Avete capito perché gli è stato chiesto di compiere quel gesto?”

Rimaniamo soli e l’ultima scintilla si è spenta. Restano soltanto due gocce di sangue a macchiarmi il vestito. Una volta ancora la mia sanguigna furia cede il passo all’astuzia del mio maestro.
Ma dove non si compie la rabbia, l’odio sedimenta. In disparte, lontano persino dal mio stesso sguardo, dalla mia volontà.

Dopo ogni guerra a qualcuno tocca ripulire.

Sulla terra che avrà ricoperto le cause e gli effetti, gli errori e i trionfi, ci sarà chi se ne starà disteso, con una spiga tra i denti, a fissare la cenere.


≑≑≑≑≑


Un vento sferzante che si nutre del mare. Soffia libero e non trova ostacoli. In nessun altro luogo ha l’odore che ha qui. Un misto di ricordi, nostalgie e speranze. Non avrei mai ritrovato quest’isola se non fosse stato per lui. Ed ora che mi volto a guardarlo controvento, non c’è la figura che era solita riempire i miei sogni.

Immagino che funzioni così la vita. Perdiamo tasselli per strada, ed andiamo per il mondo proclamando scopi solenni, mentre invece cerchiamo nuovi frammenti da far combaciare in quei vuoti.

È bello quaggiù. Una bellezza semplice, di quelle che si dimenticano facilmente mentre ci si perde a rincorrere la vita tra vie affollate e giochi di potere.
Una volta qui mi è stato detto che potevo essere chi volevo. E oggi chi voglio essere?
Lui prende le distanze e poi le annulla. È uno strano gioco di cui non voglio ancora conoscere la fine.

“Puoi fidarti di lui, ti aiuterà”

Io non mi fido di nessuno, ma lo so bene che mi aiuterà. Del resto ciò che gli chiedo è di essere sé stesso. Un alito di angoscia nella notte, un’ombra sinistra che striscia al mio fianco, il pugnale che si infila nel fianco quando non lo posso vedere.
Ma stavolta lo vedo, mentre sanguino copiosamente, prostrata a terra, lo vedo. E infine il fuoco fluisce bollente nelle vene e si sprigiona come un grido di vittoria.
Spingermi oltre il limite è l’unica soluzione che conosco. Una volta ancora, ha funzionato.

“Credi che mi piacerebbero i tuoi occhi?”

La stanza è impregnata da una sottile nebbiolina fumosa. Un odore acerbo ed intenso, nero di Maztica. Ho fumato a lungo, seduta a questo tavolo senza fare niente, assolutamente niente, se non cercare di calmare i pensieri.
Osservo la rosa. Quanti giorni sono passati? Inizia a sfiorire.
Tra tutti i prodigi magici di cui vado tanto fiera, non so fare una cosa così semplice come preservare una rosa. Renderla di cristallo, magari, o eternamente illusoria. Così, solo per poter continuare a guardarla e chiedermi cosa volesse dire.

Se fossi una persona diversa, la metterei in un vaso con dell’acqua e accetterei di godere della sua bellezza per il tempo che mi è dato. Invece mi alzo, afferrandola, e vado di fronte alla tela sul cavalletto.
L’impasto di colore nero è ancora fresco, lo prendo tra le dita per scaldare il pigmento, mentre osservo la sagoma informe che mi fissa senza occhi.
Uno ad uno strappo i petali vermigli, mischiandoli al nero, sfregando le dita sulla tela, ampliando la macchia scura sempre più informe.

In qualche modo capisco che non sono in grado di accettare le perdite, mentre condanno la rosa a un diverso destino, pur di non doverla vedere appassire.


paint


Da qui si doveva cominciare:
il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un’apertura e nulla più,
ma spalancata.

Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L’ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.

Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.
Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.

In nessun luogo ce n’è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.

Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.
Sono una trappola in trappola,
una domanda in risposta a una domanda.

La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.

Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.


Miei segni particolari:
incanto e disperazione.



(W. Szymborska)
 
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20 replies since 25/7/2019, 17:46   919 views
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