Faerûn's Legends

Il Canto dell'Odio

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Aurin
view post Posted on 19/3/2020, 18:40 by: Aurin
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Predatore di Coboldi

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*
- Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro ed ho capito. Il mondo si legge anche all’incontrario. -


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♪♫♬musica♬♫♪


Le dita raggrinzite dalle unghie acuminate, di un giallo opaco e mortifero, si posano sui tarocchi accarezzandoli con una dolcezza che si riserverebbe solo al più raro degli amanti. Tuttavia le carte appaiono consunte, ingiallite, erose dal tempo e dalle speranze che centinaia di sconosciuti vi hanno posato sopra, sfiorandole.

La voce della megera è aspra e rugginosa, lascia addosso una sensazione di sporco, che pure il mio olfatto non coglie. Dispone le mie carte sulla tovaglietta ricamata di fili d’oro e mi guarda solo di sfuggita, come se nessuna delle risposte ai miei quesiti potesse realmente provenire da me.

Quando le lascio la moneta di platino scintillante sul tavolo, per la prima volta mi fissa intensamente negli occhi.

“Le compro tutte. Hai un minuto per pensarci.”


* * *


Richiudo con calma la porta di casa, assicurandomi di girare la chiave almeno per quattro mandate. Poi cammino avanti e indietro, nello spazio angusto, non so quante volte. Infine mi fermo di fronte al pezzo di muro più spoglio che resta, ed osservo le pietre cercando una geometria che ancora non possiedono.

Abbasso lo sguardo sul mazzo dei tarocchi che ho in mano, scorro le carte una ad una, le accarezzo anch’io, con meno dolcezza di quanta ne metteva lei, incurante dei loro nomi e dei loro significati. Guardo soltanto le figure, disegnate da chissà chi, e ne scelgo una.

“L’appeso”

Ho deciso che sarà la prima del mio tavolo, che in realtà è un muro. Prendo un chiodo mezzo arrugginito e la attacco con meticolosa cura. Tutto il vuoto attorno mi infastidisce, ma devo imparare ad avere pazienza.

Nella mia mente si rincorrono pensieri contrastanti mentre osservo il condannato appeso, torturato forse? O destinato ad espiare le proprie colpe attraverso la sofferenza di una morte lenta e dolorosa? Passivo, indolente, sacrificio inutile.
Una posizione fissa che s’oppone ai cambiamenti, che penzola sull’orlo di un abisso sconosciuto verso il quale null’altro cade se non il suo sguardo.
Piego appena il capo, immaginando di cambiare prospettiva. Il significato si capovolge, la forma rimane la stessa. Mi accorgo di desiderare follemente quella duplice, semplice, verità.

Perché quando io mi fermo, e mi esamino nell’intimo, divento pazza. C’è dentro di tutto, e io non so quale direzione prendere, trascinata come una pagliuzza contro orizzonti troppo lontani perché li possa raggiungere.

Ripongo il resto del mazzo in un cassetto e mi giro verso l’altra parete, ben più caotica. Forme scure e matasse di colore mi osservano protendendosi dalla tela bianca. Grovigli di linee senza uno scopo, nate da una consapevolezza che non può avere voce.
Impossibili da dipanare, difficili da reinventare. Preferisco che ogni fibra si spezzi e vinca la furia, concedendomi un’ingorda pausa dal pensiero.

Ma il nero rimane lì, immobile come l’appeso, a fissarmi senza occhi, a parlarmi con la voce della mia coscienza.
Abbasso lo sguardo sulla mia mano, pulita, candida. Eppure anche adesso riesco a vedere la stessa macchia che ho cercato di spiegare a lui, in un tentativo disperato di fonderla con la sua stessa pelle, per poterne provare anche solo un flebile sollievo, un defaticamento da tutto il suo peso.

“Ho deciso di cercare mia madre.”

Il ricordo del suono di quelle parole, che mai avrei pensato di pronunciare, rimbomba nella mia testa togliendomi il respiro. Devo essere impazzita.

…E se…

Se potessi girare la carta dell’appeso? Se scavando là sotto, oltre il confine del tarocco, nell’abisso di melma che certamente lo attende con spasmi mefitici, io trovassi la forza che mi manca?

L’opposto della paura, la vera essenza dell’odio che provo da quando ho memoria.

Se dovessi anch’io sacrificarmi, mettermi a testa in giù e osservare, per poi sollevarmi ancora, libera una volta per tutte dalle catene di un passato che mi grida da ogni specchio, che mi afferra le caviglie e mi costringe a trascinare una metà di me che vorrei rinnegare?

Non hai bisogno di una madre Silerah, tu sei figlia di un soldato zhent. Crescerai forte e orgogliosa, bambina mia.”

Il silenzio si riavvolge come la marea, percorrendo a ritroso i miei pochi anni, mettendo a nudo i ciottoli e le conchiglie e tutti i relitti ammaccati della mia vita. Ed io, nel mio corpo di meticcia non ancora donna, racconto alle stelle i miei problemi e reprimo poteri che mi consumano.
Prego un Dio lontano che non comprendo, con parole che non hanno alcun reale significato per me, ma mi aiuta a prender sonno la sera, anche se mi terrorizza questa cosa oscura che dorme in me. Maligna.

“Ti farò un dono, ma è molto importante che tu rifletta bene su ciò che rappresenta.”

Sono una strega, e sono una donna che è madre di sé stessa. Chi sia la causa scatenante dell'uragano non importa. Non importa la sostanza, non la fonte, ma il ritmo, il ritmo indemoniato.

Oggi disperazione, domani entusiasmo, amore, nuovo gettarsi anima e corpo, e il giorno dopo, di nuovo, disperazione. E tutto questo in presenza di un'intelligenza acuta, fredda, cinica.

Le cause scatenanti di ieri oggi vengono derise in modo spiritoso e crudele. Come una grandissima stufa che, per funzionare, ha bisogno di legna, legna, legna…e la qualità della legna non è molto importante.

Finché il tiraggio è buono, tutto si trasforma in fiamma.


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