Faerûn's Legends

I Guardiani del Cormyr

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Hextar
view post Posted on 22/2/2016, 17:46 by: Hextar
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Niubbo. Davvero.

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Draghi Purpurei e Maghi della Guerra del Cormyr
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"L'uccello in gabbia non canta per amore, canta per rabbia."
Stralcio di un omelia di Lyea Greenest al cerchio di Mielikki.


"DEMONE! DEMONE!" ed un boato.
L'arena esplodeva in un tumulto di urla. Sangue, sabbia e grida.
Con un colpo di polso rigirava lo spadone di cobalto nel cranio del ragazzo agonizzante: l'arma di suo padre forgiata e consacrata nel pozzo di Beorunna dove la neve incontra la lava.
Se solo quel metallo tradito potesse versare lacrime; un fiume salmastro laverebbe via il sangue. I marmi dell'arena, con le sue sabbie dorate, si sarebbero tramutati in una cisterna di mare fangoso, nero come il cuore degli abitanti di quel buco: Westgate.
Se solo gli dei gli avessero fatto dono del coraggio di uno skald così avrebbe cantato Wolfgang. I suoi pensieri avrebbero preso la forma e la forza di un corvo nero, sollevandolo e strappandolo via da quelle sabbie.
Ma Wolfgang era solo un guerriero, ed in quel momento cercava di leggere nel volto sfigurato del ragazzo quanti inverni si era trascinato dietro prima di morire. Diciotto? Venti?
Questa distrazione bastò per dare il tempo alla sua compagna, una piccola halfling dai capelli di rame, di piantargli un coltello nella coscia.
Il dolore.
Il dolore è un fremito allo stomaco, è una tempia pulsante che riesce a vociare solo una cosa: “sopravvivi”.



Come direttive il 93esimo si era spinto nuovamente sui picchi. Attacchi veloci in pieno stile cormyriano. Se i loro esploratori erano vivi forse aspettavano che qualcuno gli liberasse la strada per la discesa, magari aspettavano un’incursione nelle retrovie orchesche a fargli da diversivo. Magari i loro padri non avrebbero dovuto seppellire bandiere color porpora private delle salme dei figli.
Grazie ai paladini ed ai maghi thayan si erano spinti nelle retrovie sulle tracce di una gigantesca viverna e le scorribande dei pelleverde non tardarono a manifestarsi.

Stavolta però c’era qualcosa di diverso: erano avanzati velocemente e grazie ad un incanto della maga Kaia avevano messo le mani su di un loro capoguerra e dominandolo potevano finalmente capire qualcosa di più sul “Nero”.
Gli orchi sotto il suo comando fremevano confusi mentre la maga cercava di strappargli più informazioni possibili.
<chiedi dove sono i nostri ragazzi, gli esploratori!>
Lo scambio di battute si era spinto troppo oltre per gli orchi. Uno di loro tese un rudimentale arco verso Wolfgang ed una freccia sibilò fino a piantarsi sulla sua coscia.
La schermaglia era iniziata.
Strappandosi la freccia dalla gamba il combattente avvertì quel fremito allo stomaco.
Il dolore.



I polmoni sembravano due gemme di brace incastonate nel torace. Ogni respiro, per quanto piccolo, parevano diventare incandescenti. La tempia pulsava ancora, dolorante, mentre sotto di lui giaceva il corpo mutilato della piccola hin.
Dei suoi capelli ramati non rimaneva che sangue e fango: il suo corpicino esile afferrato da un bruto e tagliato di netto dallo spadone ed il suo visino ridotto ad un informe poltiglia sotto i colpi dello stivale.
Aveva infierito su di un piccolo cadavere e la folla era in visibilio.
<il DEMONE… IL DEMONE DELLA FOSSA VINCE!>
Quei ghigni sadici sugli spalti sputavano urla inumane, sembravano pronti da un momento all’altro a scendere come un unico sciame di piccole cavallette per bagnarsi e cibarsi di quel sangue.
Ma non sarebbero mai discesi laggiù. Sarebbero invece tornati a casa sorridenti; ad abbracciare le loro famiglie ed i loro figli. E questo Wolfgang lo sapeva.
Un’altra tacca per la Compagnia del Pollice Verso. Due cicatrici in più sulla sua anima.



Sangue, freddo e grida di orchi in ritirata.
Belkas “Il Damerino” gli metteva una mano sulla spalla. Aveva rotto i ranghi serrati e il suo compagno si era spinto oltre il bagno di sangue per dargli manforte.
<mh?>
Sotto di lui il corpo mutilato di uno dei loro sciamani: testa e braccia mozzate da una serie di fendenti imprecisi. Dentro il suo petto le due pesanti gemme di brace.
Della battaglia non ricordava che sprazzi confusi, un susseguirsi di affondi e cariche guidate da un ira cieca.
Si sentiva ora svuotato, ma si lasciò scappare un sorriso sentendo la mano del commilitone.
Belkas era uno agile, aveva l’aria di uno con più fegato di quanto gli piacesse ammettere di averne: un galantuomo intrappolato dentro lo stomaco di un duellante.
Ripensò alla 93esima: a Occhibelli, Crisantemo, al Poeta, e poi i sant’uomini. Erano tutti bravi diavoli e per un momento, nonostante il bagno di sangue, si sentiva sollevato di trovarsi dalla “parte giusta”.

Questa sensazione durò per tutta la ritirata, fino a quando il ruggito del “Nero” non gliela strappò via dal torace congelandogli il sangue.

Edited by Hextar - 22/2/2016, 18:12
 
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