| Lentamente l’elfo riaprì gli occhi. Il passaggio dal sonno alla veglia fu lento. Come frammenti di legno, sulla superficie tranquilla di un lago, schegge di sogni e pensieri galleggiavano attorno alla coscienza dell’elfo che, lentamente, approdava nella realtà. Lauro giaceva supino sul letto, lo sguardo sul muro di fronte a lui. Non pensava, lasciava pigramente defluire i frammenti di ricordi e di immagini che lo avevano accompagnato lungo il sonno. Come un gatto annoiato si rigirò sulla schiena; il fruscio delle coperte era l’unico suono che si udiva nella stanza., non una voce, non un rumore, non un richiamo penetrava dall’esterno. Gli spessi vetri delle finestre, coperti di polvere, proiettavano la tenue luce di un sole appena sorto. Sole che andava alzandosi dietro un velo sfrangiato di nubi. La luce pallida avvolgeva la scarsa mobilia della stanza, senza proiettare ombre. Lauro rimase ad ascoltare il silenzio, senza pensare a nulla, poi, passato qualche minuto si alzò dal letto. Percorse il breve spazio che lo separava dal suo baule e indossò pigramente i pantaloni in pelle della sua armatura, afferrò l’ascia bipenne e sbadigliando uscì dalla camera. Il corridoio davanti a lui era deserto, immerso nella penombra e illuminato scarsamente dalla luce che filtrava delle camere lasciate libere. Lo attraversò lentamente, la mano destra reggendo l’ascia, la sinistra che scorreva le dita lungo le pareti. Quando cominciò a scendere, scalzo, giù per i gradini di pietra, Lauro cominciò ad avvertire i suoni provenienti dall’esterno, gli ordini rauchi dell’oste, le urla dei garzoni che cercavano di allontanare gli accattoni dalla porta, le proteste degli ubriaconi che pretendevano di iniziare a bere di prima mattina; il tutto, man mano che scendeva, mescolato ai profumi che provenivano dalla cucina. Quando l’elfo arrivò nella deserta sala comune, non la degnò di uno sguardo, ma si diresse con decisione verso una porta dietro il bancone. L’aprì ed entrò in ampio cortile largo quanto tutta la locanda e circondato da alte mura. L’ampiezza del cortile aveva consentito la costruzione di piccoli baraccamenti di legno lungo le pareti, usati come magazzini per gli utensili e le carni e i formaggi affumicati. Un ragazzino stava facendo rotolare, verso un'altra entrata della locanda, un enorme barile di birra grande almeno quanto lui, incurante del cane che gli abbaiava correndogli attorno. Alcune giovani ragazze stavano in disparte a cucire e a ridacchiare, mentre un uomo robusto con un grembiule macchiato di sangue e di unto, aiutato da tre giovani, trasportava la carcassa scuoiata di un bue verso le cucine. Lauro ignorò tutti quanti, ignorò anche le giovani serve che vedendolo si misero a ridere o sorrisero divertite e si diresse verso il grande pozzo che si trovava al centro del cortile. Afferrò una fune, tirò su un secchio d’acqua cristallina e mentre scrutava il secchio un uomo urlò: “LAAAAAAURO!!” Il nome fu quasi ululato da un uomo con un bisunto grembiule bianco, calvo e con una prominente pancia tenuta a stento dai lacci dei calzoni, il volto, rosso di concitazione, esprimeva rabbia e indignazione, in mano reggeva una pesante e minacciosa mannaia. “LAURO!!!” Ripeté avanzando. “Si?” Rispose tranquillo l’elfo, per nulla intimorito, rovesciando l’acqua contenuta nel secchio sulla propria testa. “NO!! Ti avevo detto che non puoi usare l’acqua del pozzo per lavarti!!!” Le persone presenti nel cortile fermarono le loro attività e si misero a guardare divertite, come se il siparietto si ripetesse da tempo, Lauro sorridendo amabilmente riempì un altro secchio e se lo rovesciò in testa. “Andiamo Wilbur te la pago lo sai, dov’è il problema?” L’elfo trasse una spugna di fil di ferro e prese e a strofinarsi con energia il petto e le braccia, il colore blu naturale della pelle dell’elfo sotto l’effetto dello sfregamento virò verso il violetto; assieme ai capelli bianchi e all’espressione poco raccomandabile (sebbene divertita) tipica del giovane, lo faceva assomigliare sinistramente ad un drow. “Il problema è che quell’acqua è destinata ai pasti!! E’ acqua buona! Pura! La usiamo per cucinare non per lavarci!” Quello che era evidentemente il padrone della locanda, ululava agitando la mannaia con frustrazione, sotto lo sguardo divertito dell’elfo. “Ah… Ma tu fai finta che me la stai servendo a tavola, mi stai servendo tre otri d’acqua oggi e…” “TRE? Tu hai usato due secchi!!” “Si ma ho intenzione di utilizzarne un terzo” Lauro continuò a sorridere amabilmente. “AAAAAAGH” L’oste urlò di frustrazione e si avventò sull’elfo che, ridendo, gli danzò attorno evitando l’affilata mannaia. I presenti ormai ridevano di gusto e il cane, che tormentava il ragazzino poco prima, cominciò ad abbaiare all’uomo grasso e all’elfo scodinzolando eccitato. “I chierici di Bane si accontentano di lavarsi una volta al mese! Gli orafi ogni stagione! La maggior parte degli abitanti di Zhentil si fa un bagno completo una volta l’anno ed è contenta!!! Ma tu NO. TU vuoi lavarti con l’acqua del mio pozzo ogni giorno!!! E per gli dei non te lo lascerò fare!” Mentre urlava continuava a mulinare la mannaia, i presenti ridevano sempre di più e Lauro rispondeva scivolando abilmente attorno ad ogni suo fendente. “La verità Wilburn è che sei un vecchio grasso e calvo e ti da fastidio che qualcuno giovane e attraente come me si lavi nudo in un posto dove tua moglie possa vederlo” A queste parole le risate crebbero ulteriormente di intensità ma contemporaneamente fecero l’effetto di bloccare gli attacchi dell’oste. La furia dell’uomo era tanta che sembrava stritolarlo impedendogli ogni movimento. Poi con un verso stizzito si voltò e marciò rigido verso la porta dalla quale era venuto, accompagnato dall’ilarità dei presenti. Lauro per tutta risposta cavò un altro secchio dal pozzo e si rovesciò l’acqua in testa, il suono fece nitrire l’oste di frustrazione suscitando un nuovo scoppio di risate, poi l’uomo sbatté la porta dietro di se e lentamente la situazione si placò. “Non dovresti provocarlo così, gli farai venire un accidente una volta o l’altra” Una giovane ragazza, la più giovane di quelle che lavoravano nel cortile, gli si avvicinò sorridendo, gli occhi lucidi per le lacrime delle risate. “Aaaaah, Leyel.. lo pago fior di monete d’oro per qualche secchio d’acqua, credo che gli piaccia fare cagnara di prima mattina” L’elfo rise, si sedette sul bordo del pozzo e prese a strofinarsi violentemente con la spugna i piedi e le caviglie. “Si ma potresti evitare di prenderlo così in giro, è un brav’uomo ed è difficile esserlo in questa città” “Ti stai lamentando della nera città davanti ad uno Zhentilar?” Lo sguardo di Lauro era divertito ma con una minuscola punta di preoccupazione per la ragazza in fondo agli occhi. “Come se tu fossi come tutti quegli spaventapasseri neri che girano per la città. E poi tu non sei ancora una recluta?” Rise e gli fece una linguaccia, poi si voltò in una cascata di capelli biondi e tornò ai suoi lavori. Lauro la fissò per un po’ sorridendo, poi guardò le persone che indaffarate avevano ripreso a lavorare attorno a lui. Era un po’ di tempo che si scopriva a sorridere senza un motivo, come in quel momento e, anche se non sapeva il perché, la cosa non gli dava per nulla fastidio. L’elfo si rialzò e si passò le mani sui pantaloni, si girò verso il pozzo e spese qualche minuto per rimettere a posti i secchi, le funi e le carrucole, poi fece per andarsene. Si voltò un attimo a guardare la giovane ragazza che era tornata a lavoro. Leyel… Era davvero un bel nome. Distrattamente raccolse l’ascia bipenne che era appoggiata sul fianco del pozzo. Fece per afferrarne l’elsa e il suo sguardo si focalizzò sugli ampi schizzi di sangue che avevano macchiato il cuoio dell’impugnatura. Immediatamente, cosi come era venuto, il sorriso gli morì sulle labbra. In silenzio torno nella sua camera e cominciò a vestirsi. Sopra una sottile maglia di lana e stretti calzoni, serrò tutto attorno al suo corpo i lacci e le cinghie della stretta armatura di cuoio blu. Ogni centimetro del suo corpo venne coperto. Quando l’ultima fibbia degli stivali fu chiusa fissò la maschera di seta con un fermaglio e si avvolse completamente nel manto sfrangiato che aveva riposto in fondo al baule. Con l’ascia bipenne agganciata alla schiena uscì dalla locanda e si diresse verso le baracche degli Zhentilar. Per strada c’era il solito via vai di gente: popolani, mercanti, falegnami, stagnini, contadini, calzolai, sacerdoti e occasionalmente qualche mago. A intervalli regolari passavano le truppe Zhentilar fendendo la folla che si apriva al loro passaggio. Le guardie nere erano onnipresenti in città e questo da un certo punto di vista era un bene ma, come al solito, raramente si respirava un aria di serenità lungo le strade di Zhentil. Lauro riuscì ad arrivare senza incidenti alla caserma Zhentilar dove era stato assegnato, varcando la soglia abbassò maschera e cappuccio e si diresse verso il cortile di allenamento. Urla e clangori di armi si facevano sempre più alti man mano che si avvicinava. Riconobbe il tono dei secchi ordini impartiti. Riconobbe a chi apparteneva quella voce e ne ebbe conferma quando entrò nello spazio interno. Darkivaron Salas, pantaloni e stivali neri, casacca blu con i simboli di bane ricamati sul petto, spallacci di ferro nero e bracciali di cuoio trattato, stava passeggiando avanti e indietro, le mani raccolte dietro la schiena, impartendo brevi ordini alle reclute che stava addestrando nei movimenti base di un attacco. Il cortile era in realtà un arena, o meglio poteva facilmente tramutarsi in tale all’occorrenza tante erano le lame presenti . C’erano fantocci di allenamento un po’ ovunque, lungo le pareti erano allineate lunghe rastrelliere di armi, estremamente ben fornite. Il cortile poteva contenere un centinaio di persone ma, in quel momento, ad allenarsi erano in meno di cinquanta tra soldati e reclute: alcuni si allenavano con archi e balestre, altri in combattimenti singoli, altri gruppi in altri esercizi. Il gruppo più nutrito lo comandava Darkivaron. Venti reclute armate di lunghe picche nere avanzavano ritmicamente ai secchi ordini impartiti dallo Zhentilar. Lauro ammirava il tono chiaro dell’uomo. Era raro vedere uno zhentilar indisciplinato o disattento in caserma, ma Darkivaron riusciva a ottenere con semplicità e con naturalezza quello che altri riuscivano a conquistare solo con la paura delle minacce. Velocemente Lauro si avvicinò all’uomo. “Recluta Laurelion a rapporto per riprendere servizio signore” Come al solito dare del “signore” ad un amico lo faceva sentire vagamente ipocrita. “Ottimo soldato stavo facendo vedere a questi uomini come si maneggia una picca, vuoi prendere posto accanto a loro?” Lauro sospirò ma non disse nulla. Sebbene fosse abile praticamente quanto Darkivaron a togliere la vita al prossimo, l’amico non perdeva occasione per insegnarli quello che chiamava “il sano concetto della disciplina” e così gli affibbiava incarichi ed esercizi noiosi fino alle lacrime, accanto a ragazzini che tutto si sarebbero aspettati meno che un elfo militasse tra gli Zhentilar. Alcune urla di schiamazzo si levarono da un gruppo più distante, quello che si stava esercitando con gli archi, Lauro cercò di osservare con la coda dell’occhio ma Darkivaron se ne accorse immediatamente: “Occhi davanti a te recluta” Lo riprese. Lauro obbedì a malincuore e poco dopo altre urla di approvazione si levarono dallo stesso gruppo. L’elfo se ne disinteressò, ma dopo qualche secondo, per la terza volta, si ripeterono i versi di approvazione. Darkivaron, quasi ad esaudire il desiderio dell’elfo, ordinò di spostare il fianco di attacco e Lauro poté vedere liberamente il gruppo di fronte a lui. Un giovane soldato aveva scoccato cinque frecce, tutte conficcatesi nel occhio centrale del bersaglio, una sesta piantata poco più in là, e arco in mano sorrideva tutto soddisfatto. “Cinque di fila. Sono meglio di un elfo!” Lauro non resistette e fece per aprire bocca. “Non pensarci nemmeno Lauro” Lo anticipò sorridendo Darkivaron. L’elfo, sconsolato, richiuse la bocca e gli allenamenti continuarono. Continuarono per tutta la mattina, il gruppo comandato da Darkivaron – il loro gruppo - fu l’ultimo ad abbandonare il cortile. Lo zhentilar sciolse le righe quando il sole aveva ormai quasi raggiunto il suo zenit. “Lauro, Gregory, Lirkat, Aimané” Darkivaron aspettò che i quattro si fecero avanti. “ Voi siete di pattuglia lungo la strada alta, gli altri possono andare. I vostri incarichi vi verranno assegnati dall’ufficiale di comando all’armeria.” Le reclute non se lo fecero ripetere due volte e si dileguarono rapidamente. Lauro fece per allontanarsi anche lui assieme ai suoi compagni di pattuglia quando Darkivaron lo richiamò indietro. “Recluta vieni qui” Lauro si avvicinò tranquillamente. “Hai con te la tua arma recluta?” Lauro voltò leggermente la schiena come per accertarsi di sentire ancora il peso dell’ascia bipenne agganciata alla schiena. “Si signore” “Ti sei allenato con tutto il tempo con il peso di quell’arma sulla schiena?” Lauro lo guardò perplesso. “Si signore, perché?” Darkivaron scosse la testa sorridendo “Nulla Lauro non fa nulla, va pure…” Lauro si allontanò e si unì ai suoi compagni. L’elfo si limitò a osservarli mentre si preparavano, mentre indossavano mantelli e cinturoni e mentre si scambiavano stupide battute raggiungendo la solita conclusione. Non gli piacevano. Non gli piacevano i suoi compagni, come non gli piacevano gran parte degli Zhentilar e a dirla tutta non gli piacevano i soldati in generale e Lauro trovava incredibilmente snervante il doverne far parte. Ma questo era il prezzo per restare in vita. Il motivo per cui Darkivaron lo aveva spedito lungo la strada Alta era che era giorno di mercato e quindi servivano più uomini di pattuglia. Man mano che, attraversando strade e vicoli, Lauro e i suoi compagni si avvicinavano alla zona di mercato l’aria si riempiva di suoni e di profumi. Era l’ora per desinare, ma questo non scoraggiava per nulla mercanti e clienti, anzi. I pochi spazzi che erano rimasti liberi si riempirono di carretti, banchi e tende, dove venivano vendute ogni genere di pietanze: dolci, quaglie arrosto, pani con la meuza, fogli di pane arrotolati ripieni di carne di tacchino e manzo arrosto, bancarelle che vendevano frutta e miele. I profumi di dolci e carni permeavano l’aria e facevano aumentare vistosamente il flusso di denaro che si versava nelle tasche dei locandieri. Lauro, con addosso le insegne della guardia cittadina, procedeva in testa alla pattuglia, dietro di lui i suoi compagni che, come lui, guardavano circospetti la folla attorno a loro. Percorsero la strada avanti e indietro due volte, senza incidenti se non un ragazzino con l’aria sospetta che si aggirava con occhi troppo affamati attorno ad una ricca grassona con addosso troppi gioielli. Lauro si era limitato a dare una sberla al ragazzino e a proseguire mentre uno dei suoi compagni sghignazzò. Nulla di eccezionale e l’elfo si convinse che non sarebbe accaduto un accidente di niente per tutto il resto della giornata. Ma non ebbe nemmeno finito di formulare il pensiero che un porzione di folla impazzì. Con un improvviso coro di urla isteriche e di terrore, davanti a loro, la folla si aprì improvvisamente in due. La maggior parte delle strilla veniva da un sacerdote di Bane, le vesti nere che gli coprivano il torace erano lorde di sangue e si premeva entrambe le braccia sul ventre, l’uomo era di un pallore mortale. Accanto c’era un mercante, magro e con grossi bassi spioventi che reggeva una piccola mazza, di fronte a entrambi, una bambina reggeva in una mano un grosso pollo morto e nell’altra un lungo coltello insanguinato. La ragazzina guardava terrorizzata il sacerdote davanti a lui, la pelle del suo volto sembrava essere ancora più pallida dell’uomo ferito, il mercante accanto la fissava senza dire una parola. Eccetto il sacerdote, che strillava come un pazzo, tutti sembravano paralizzati e incapaci di parlare... Poi, in un lampo, la bambina prese a correre. Sembrava un quadro che avesse improvvisamente preso vita. Il sacerdote si rianimò in volto, il mercante si accese di rabbia e si mise a correre e urlare dietro la bambina che nel frattempo era scattata velocissima lontano da loro lungo lo spazio lasciato aperto dalla folla. Sfortunatamente la reazione di Lauro fu del tutto istintiva, di scatto si accovacciò sui talloni e la ragazzina gli finì dritta tra le braccia. L’elfo ne avvertì immediatamente l’esilissimo peso, quella bambina era pelle e ossa e leggera quanto un gattino, non tentò nemmeno di reagire, lasciò cadere il coltello e il pollo e si strinse attorno all’elfo, abbracciandolo disperatamente, completamente terrorizzata. Lauro non seppe fare altro che stringerla a sua volta e accarezzarle lievissimamente i capelli per calmarla. “QUELLA PUTTANELLA MI HA QUASI AMMAZZATO!!” Le urla del sacerdote erano talmente stridule da sembrare femminee. Non era ferito al ventre come in un primo momento Lauro aveva pensato, ma solo al braccio, un lungo e poco profondo taglio vermiglio correva lungo tutto l’avambraccio destro del chierico di Bane. “Piccola bastarda! Ha cercato di rubare la mia carne quel sacerdote ha cercato di fermarla e la puttana lo voleva ammazzare!!” La bambina non disse nulla, ma strinse ancor più disperatamente l’abbraccio attorno all’elfo. “Deve essere punita!! Esigo giustizia!!” “Dammi qui.” Lirkat, compagno di Lauro, recluta anche lui, afferrò brutalmente la bambina, la strappò dal petto dell’elfo e la depose al centro dello spazio che la folla aveva creato attorno a loro. La afferrò dalle spalle e la scosse. “Lo sai cos’hai fatto?!” La bambina non rispose, il viso inespressivo, solo gli occhi erano pieni di angoscia e di terrore. “Hai aggredito un sacerdote di Bane! Hai ferito a sangue un sacerdote dell’oscuro signore!! Ti sbatteranno nell’arena per questo! Lo sai? Cos’hai da dire in tua discolpa?!?” La ragazzina guardò la guardia disperata poi si volse verso Lauro. “Aiutami…” Sussurrò “RISPONDIMI!!” Il guanto ferrato scattò verso la testa della ragazzina. Il profondo udito dell’elfo, retaggio della sua razza, percepì chiaramente il mortifero scricchiolio delle ossa della bambina e lo schianto del guanto ferrato sulla sua tempia. Per un assurdo momento a Lauro sembrò che quel rumore, come di qualcosa che si spezza, provenisse da dentro di lui. Il corpo della bambina fu quasi sollevato da terra dalla violenza dell’impatto, fece una mezza piroetta ruotando su se stessa, rimase sospesa per un attimo in equilibrio sulle gambe inerti e poi, lentissimamente, crollò sul pavimento; accasciandosi, come una marionetta a cui avessero reciso tutto i fili. Aiutami… Lauro non aveva sussultato, nulla nel suo viso indicava che provasse qualsiasi reazione, ma nel suo cervello continuava a sentire distintamente lo scricchiolio e lo schiocco delle sue ossa. Avvertì, di nuovo, l’assurda sensazione che quello scricchiolio venisse da un punto imprecisato del suo petto. “Ah merda! Stupida puttanella…” Lirkat fissava il corpo della bambina con disgusto come se fosse colpa della ragazzina stessa tutto quello che era successo. La folla era rimasta in silenzio, se prima vociava concitata nel vedere l’episodio, ora era ammutolita guardando il corpo della bambina, aveva smesso di parlare anche il mercante, solo il sacerdote continuava a lamentarsi. A Lauro sembrava che nulla avesse importanza, rimase a guardare il piccolo corpo spezzato, per qualche secondo, senza parlare. Poi quando il ronzio della folla riprese e la guardia sghignazzò verso il corpo, si mosse. Lauro si avvicinò al suo compagno, il volto del tutto inespressivo quasi sereno, si fermò davanti a lui e rimase a fissarlo. La recluta lo fissò di rimandò senza capire, la bocca leggermente aperta. Accadde in meno di un battito di ciglia. La mano dell’elfo guizzò in avanti, rapida come un serpente, altrettanto forte e si serrò attorno ai denti e alla mandibola dell’uomo. Il tempo si congelò una seconda volta. I muscoli del braccio e della mano di Lauro si tesero fino allo spasmo, le dita si strinsero in una morsa spaventosa, penetrando la carne tenera sotto la lingua, un molare si spezzò e affondò nella gengiva, il volto dell’elfo rimase sempre inespressivo solo le palpebre si erano leggermente dilatate. Quando Lirkat capì cosa gli stava per fare si urinò addosso. I muscoli del braccio e della spalla si contrassero nuovamente e con un unico gesto Lauro strappò mascella, muscoli e tendini dal resto della testa dell’uomo. Le sue urla furono il suono più soddisfacente che l’elfo avesse sentito da molto tempo. Di nuovo, in maniera del tutto analoga a poco prima, il mondo riprese vita. Il ronzio della folla si tramutò in urla di terrore in un ampio crescendo. Il mercante fuggì via, così come buona parte dei presenti, il sacerdote balbettò qualcosa di incoerente arretrando e inciampando sulle sue vesti, i compagni di Lauro si precipitarono a soccorrere Lirkat, tamponando la ferita, tenendo la lingua e impedendo che la giovane recluta soffocasse nel suo stesso sangue. Lauro fissava impassibile; il sangue gli copriva il braccio destro e gli era schizzato su petto gola e volto, poi cominciò a parlare: “Recluta Lirkat sei reo di aver ucciso una testimone di un grave caso di aggressione ad un sacerdote di Bane, cosi facendo hai impedito che giustizia e soddisfazione fosse data all’autorità, sei reo di inadempienza verso il tuo incarico e di avere, inoltre, scavalcato con le tue azioni l’autorità della Magistratura di Zhentil Keep” La voce dell’elfo era completamente atona. Lauro si voltò verso il sacerdote di Bane, pallido come un cadavere. “Sacerdote mi dispiaccio molto e le chiedo scusa per il comportamento inqualificabile del mio compagno. La persona che la ha aggredita è morta prima di un processo soddisfacente. Spero che la mancata esecuzione ed applicazione della giustizia non l’abbia contrariata troppo. Ma del resto la ragazza è morta, lei è comunque soddisfatto sacerdote?.” Gli occhi del sacerdote si spostarono dallo sguardo del tutto inespressivo dell’elfo alla mano completamente inondata di sangue che ancora reggeva la mandibola della recluta. Pallidissimo in volto annui freneticamente. “Sì, sì. Sono soddisfatto, non ho nulla da aggiungere” Poi l’uomo si volse e si allontano con passo incerto. Lauro aprì la mano e fece cadere a terra la macabra mutilazione, poi si voltò, raccolse il corpo esamine della bambina e si rivolse ai suoi compagni. Gli altri due soldati di pattuglia erano riusciti a fermare l’emorragia e stavano strillando a gran voce chiedendo di un chierico ma quando si accorsero che l’elfo li stava fissando tacquero all’istante. Lauro quindi parlò: “Sto portando il corpo della bambina dal becchino, assicuratevi che il nostro compagno riceva le adeguate cure” Poi senza più curarsi degli sguardi allucinati dei soldati si allontanò. Passeggiava calmo, si sentiva svuotato. Il peso della bambina era quasi nullo. La teneva accovacciata, appoggiata al suo petto. Aveva i capelli biondi, se ne accorse solo in quel momento, con la testa appoggiata sulla spalla sembrava che stesse solo dormendo. Se non fosse per il respiro che non sentiva contro il suo petto, avrebbe potuto giurare che fosse ancora viva. In quel momento rimpianse che all’ossario non ci fosse più Thug, il grasso tombarolo avrebbe probabilmente capito… La giornata proseguì senza ulteriori incidenti. Lauro consegnò il corpo della bambina e pagò per una bara e una tumulazione in una fossa singola. Si diresse quindi in caserma dove denunciò il suo compagno d’arme per i reati che gli aveva elencato. Darkivaron restò ad ascoltare in silenzio, con gli occhi chiusi, l’elfo non capì se per rabbia o per comprensione, ma alla fine l’amico arrivò ad una conclusione. “Come tu stesso hai affermato la recluta Lirkat è rea di omicidio e, per aver ostacolato un indagine e aver scavalcato l’autorità di un magistrato, passabile per ostacolo alla giustizia.” Darkivaron fece una pausa. “Se sopravviverà a quanto gli hai fatto, perderà il resto della testa sul ceppo” Lauro rimase a fissarlo inespressivo. “Tu sei comunque reo di aggressione e dovresti scontare un giorno di carcere e pagare una multa. Ma considerando che hai reagito ad un assassino di infante e ad una mancanza di rispetto verso l’autorità di Zhentil probabilmente il magistrato ti commuterà la pena in due settimane di servizi extra alla caserma” “Si signore” Darkivaron distolse lo sguardo e fece un gesto irritato col taglio della mano. “Puoi andare” Senza aggiungere altro l’elfo uscì dalla stanza. Il resto della giornata Lauro lo passò in una stanza piena di libri ammuffiti, in un udienza sommaria presso il magistrato della caserma. La deposizione di Darkivaron fu sufficiente, l’elfo pagò all’esercito 200 pezzi d’oro e i cinque giorni di detenzione furono commutati in dieci giorni di servizio straordinario. Quando venne congedato si diresse verso la locanda dove alloggiava, la testa svuotata da ogni pensiero. La sala grande, a differenza di quella stessa mattina, era piena e gremita di clienti e avventori. Quattro o cinque ubriachi giacevano già felicemente ebri in un angolo del salone, i tavoli erano quasi tutti occupati e Wilburn, l’oste che tanto si infuriava con lui per l’acqua del pozzo, serviva incessantemente birra e altri alcolici al bancone. Lauro lo fissava affascinato, il calvo oste non stava fermo un minuto, schizzava come una grossa palla a destra e a sinistra del bancone, scomparendo in una botola per prendere altre bottiglie, o dietro una porta a trascinare altri barili. Come faceva, si domandava stupefatto Lauro, ad essere cosi grasso con tutto il movimento che faceva? Questo pensiero riuscì ad alleviare il senso di oppressione che gli aveva regalato la giornata. Senza che lui se ne accorgesse, Leyel, la giovane ragazza che lo aveva rimproverato ridendo quella stessa mattina, apparve accanto al suo tavolo con un vassoio carico di piatti di carne e patate spezziate, che depose accanto all’elfo. “Carne, carne, carne e tante patate spezziate, come piacciono a te!” La ragazza depose il vassoio con un inchino ed un sorriso. Guardò l’elfo per qualche secondo poi si sedette fissandolo perplessa. Lauro fissava la carne nel piatto, senza tentare nemmeno di masticarla, aveva lo stomaco completamente serrato. “Stai male?” “Perché me lo chiedi?” “Di solito ti avventi sulla carne non appena te la metto davanti” Leyel sorrise scostando una piccola ciocca di capelli biondi con un aggraziato movimento del capo. “Anzi, di solito non faccio nemmeno in tempo a posarteli davanti, mangi nel tempo che impiego a prenderli dal vassoio al tavolo” Rise di nuovo. “Forse questa sera non ho voglio di mangiare” Lauro sorrise “Capisco il prode zhentilar elfo perde colpi…” “Ah! Come osi…?” Il volto di Lauro esprimeva uno sdegno esagerato e cominciò a tirargli molliche di pane mentre la ragazza si riparava con la mano ridendo. “Oh ti prego, lo sai che Wilburn ci paga un extra per ogni piatto per portiamo vuoto” “Bene! Quindi vuoi solo che ti aiuti a guadagnare di più non sei preoccupata per me” “Oh andiamo” La ragazza sposto le braccia in avanti lungo il tavolo, prese le mani di Lauro nelle sue e le strinse, e quindi gli sorrise dolcemente. “Aiutami…” Sussurrò Ogni goccia di sangue svanì dal volto dell’elfo. La reazione della ragazza fu immediata. “Lauro cos’hai ti senti male?” Il tono era impaurito. Attorno a loro l’allegro caos che li circondava continuava senza interruzioni, ma l’elfo avrebbe potuto trovarsi al centro di un deserto di pietra senza notare differenze; improvvisamente l’idea di mangiare qualcosa gli dava il voltastomaco. Di scatto si alzò dal tavolo e fece per allontanarsi. “Lauro ti prego, cos’hai, ti senti male? E’ colpa mia?” Lauro si girò verso la ragazza, il cui volto esprimeva preoccupazione, voleva dirle di non preoccuparsi e fare un commento sarcastico dei suoi, ma nel guardarla udì lo scricchiolio di piccole ossa che cedevano. “Non preoccuparti, troppo lavoro oggi e sono stanco andrò a dormire…” L’elfo attraversò velocemente la sala comune, evitando ubriachi e avventori che si muovevano attorno a lui. Si diresse verso le scale e comincio a salire. Ignorò i rauchi lamenti che provenivano dai corridoi, gli ansi e i gemiti di chi, lì, aveva deciso di appartarsi. Entrò nella sua stanza, posò l’ascia bipenne accanto al letto e iniziò a svestirsi. Non capiva. Non capiva come un evento del genere avesse potuto scuoterlo tanto. Aveva visto di peggio, provato di peggio e fatto di… No; una voce irosa dentro la sua testa negò che lui avesse fatto di peggio. Ma la sua reazione era comunque una cosa insolita. Nei lunghissimi anni al freddo e al gelo, da solo, non ricordava di aver mai provato qualcosa del genere, forse non ne aveva mai avuto il tempo. Spogliato di tutto, Lauro si infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi. Immediatamente prese forma l’espressione disperata della ragazzina al mercato. Aiutami aveva detto. Beh in qualche modo, alla fine, l’aveva aiutata, le aveva dato vendetta; un volta, un sacerdote troppo ubriaco gli aveva detto che la vendetta donava pace ai morti. Lauro vide la mascella stretta nel suo pugno, i denti spezzati e i brandelli di carne che pendevano dalla testa della recluta, il tanfo da latrina causato dai muscoli del ragazzo che perdevano il controllo. Un gelida soddisfazione confortò il cuore dell’elfo. Poi, lentamente, la coscienza di Lauro si frammentò in un turbine di pensieri, sprofondando nel mare del sonno. Il suo ultimo pensiero coerente fu il ricordo dei terrificanti e gelidi inverni, la solitudine e poi un suono; non uno scricchiolo, non il suono di qualcosa che si incrinasse, ma il sinistro e terribile suono di una lastra di ghiaccio che si richiudeva e rinsaldava su se stessa.
Edited by Hamelin [FL] - 19/3/2007, 19:40
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