Faerûn's Legends

Una giornata qualunque, Ruolo aperto a tutti

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view post Posted on 19/3/2007, 16:13
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Decapitatore di Mind flayer

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Lentamente l’elfo riaprì gli occhi.
Il passaggio dal sonno alla veglia fu lento. Come frammenti di legno, sulla superficie tranquilla di un lago, schegge di sogni e pensieri galleggiavano attorno alla coscienza dell’elfo che, lentamente, approdava nella realtà. Lauro giaceva supino sul letto, lo sguardo sul muro di fronte a lui. Non pensava, lasciava pigramente defluire i frammenti di ricordi e di immagini che lo avevano accompagnato lungo il sonno. Come un gatto annoiato si rigirò sulla schiena; il fruscio delle coperte era l’unico suono che si udiva nella stanza., non una voce, non un rumore, non un richiamo penetrava dall’esterno. Gli spessi vetri delle finestre, coperti di polvere, proiettavano la tenue luce di un sole appena sorto. Sole che andava alzandosi dietro un velo sfrangiato di nubi. La luce pallida avvolgeva la scarsa mobilia della stanza, senza proiettare ombre.
Lauro rimase ad ascoltare il silenzio, senza pensare a nulla, poi, passato qualche minuto si alzò dal letto. Percorse il breve spazio che lo separava dal suo baule e indossò pigramente i pantaloni in pelle della sua armatura, afferrò l’ascia bipenne e sbadigliando uscì dalla camera. Il corridoio davanti a lui era deserto, immerso nella penombra e illuminato scarsamente dalla luce che filtrava delle camere lasciate libere. Lo attraversò lentamente, la mano destra reggendo l’ascia, la sinistra che scorreva le dita lungo le pareti. Quando cominciò a scendere, scalzo, giù per i gradini di pietra, Lauro cominciò ad avvertire i suoni provenienti dall’esterno, gli ordini rauchi dell’oste, le urla dei garzoni che cercavano di allontanare gli accattoni dalla porta, le proteste degli ubriaconi che pretendevano di iniziare a bere di prima mattina; il tutto, man mano che scendeva, mescolato ai profumi che provenivano dalla cucina. Quando l’elfo arrivò nella deserta sala comune, non la degnò di uno sguardo, ma si diresse con decisione verso una porta dietro il bancone. L’aprì ed entrò in ampio cortile largo quanto tutta la locanda e circondato da alte mura. L’ampiezza del cortile aveva consentito la costruzione di piccoli baraccamenti di legno lungo le pareti, usati come magazzini per gli utensili e le carni e i formaggi affumicati. Un ragazzino stava facendo rotolare, verso un'altra entrata della locanda, un enorme barile di birra grande almeno quanto lui, incurante del cane che gli abbaiava correndogli attorno. Alcune giovani ragazze stavano in disparte a cucire e a ridacchiare, mentre un uomo robusto con un grembiule macchiato di sangue e di unto, aiutato da tre giovani, trasportava la carcassa scuoiata di un bue verso le cucine. Lauro ignorò tutti quanti, ignorò anche le giovani serve che vedendolo si misero a ridere o sorrisero divertite e si diresse verso il grande pozzo che si trovava al centro del cortile. Afferrò una fune, tirò su un secchio d’acqua cristallina e mentre scrutava il secchio un uomo urlò:
“LAAAAAAURO!!” Il nome fu quasi ululato da un uomo con un bisunto grembiule bianco, calvo e con una prominente pancia tenuta a stento dai lacci dei calzoni, il volto, rosso di concitazione, esprimeva rabbia e indignazione, in mano reggeva una pesante e minacciosa mannaia.
“LAURO!!!” Ripeté avanzando.
“Si?” Rispose tranquillo l’elfo, per nulla intimorito, rovesciando l’acqua contenuta nel secchio sulla propria testa.
“NO!! Ti avevo detto che non puoi usare l’acqua del pozzo per lavarti!!!”
Le persone presenti nel cortile fermarono le loro attività e si misero a guardare divertite, come se il siparietto si ripetesse da tempo, Lauro sorridendo amabilmente riempì un altro secchio e se lo rovesciò in testa.
“Andiamo Wilbur te la pago lo sai, dov’è il problema?” L’elfo trasse una spugna di fil di ferro e prese e a strofinarsi con energia il petto e le braccia, il colore blu naturale della pelle dell’elfo sotto l’effetto dello sfregamento virò verso il violetto; assieme ai capelli bianchi e all’espressione poco raccomandabile (sebbene divertita) tipica del giovane, lo faceva assomigliare sinistramente ad un drow.
“Il problema è che quell’acqua è destinata ai pasti!! E’ acqua buona! Pura! La usiamo per cucinare non per lavarci!” Quello che era evidentemente il padrone della locanda, ululava agitando la mannaia con frustrazione, sotto lo sguardo divertito dell’elfo.
“Ah… Ma tu fai finta che me la stai servendo a tavola, mi stai servendo tre otri d’acqua oggi e…”
“TRE? Tu hai usato due secchi!!”
“Si ma ho intenzione di utilizzarne un terzo” Lauro continuò a sorridere amabilmente.
“AAAAAAGH” L’oste urlò di frustrazione e si avventò sull’elfo che, ridendo, gli danzò attorno evitando l’affilata mannaia. I presenti ormai ridevano di gusto e il cane, che tormentava il ragazzino poco prima, cominciò ad abbaiare all’uomo grasso e all’elfo scodinzolando eccitato.
“I chierici di Bane si accontentano di lavarsi una volta al mese! Gli orafi ogni stagione! La maggior parte degli abitanti di Zhentil si fa un bagno completo una volta l’anno ed è contenta!!! Ma tu NO. TU vuoi lavarti con l’acqua del mio pozzo ogni giorno!!! E per gli dei non te lo lascerò fare!” Mentre urlava continuava a mulinare la mannaia, i presenti ridevano sempre di più e Lauro rispondeva scivolando abilmente attorno ad ogni suo fendente.
“La verità Wilburn è che sei un vecchio grasso e calvo e ti da fastidio che qualcuno giovane e attraente come me si lavi nudo in un posto dove tua moglie possa vederlo” A queste parole le risate crebbero ulteriormente di intensità ma contemporaneamente fecero l’effetto di bloccare gli attacchi dell’oste. La furia dell’uomo era tanta che sembrava stritolarlo impedendogli ogni movimento. Poi con un verso stizzito si voltò e marciò rigido verso la porta dalla quale era venuto, accompagnato dall’ilarità dei presenti. Lauro per tutta risposta cavò un altro secchio dal pozzo e si rovesciò l’acqua in testa, il suono fece nitrire l’oste di frustrazione suscitando un nuovo scoppio di risate, poi l’uomo sbatté la porta dietro di se e lentamente la situazione si placò.
“Non dovresti provocarlo così, gli farai venire un accidente una volta o l’altra” Una giovane ragazza, la più giovane di quelle che lavoravano nel cortile, gli si avvicinò sorridendo, gli occhi lucidi per le lacrime delle risate.
“Aaaaah, Leyel.. lo pago fior di monete d’oro per qualche secchio d’acqua, credo che gli piaccia fare cagnara di prima mattina” L’elfo rise, si sedette sul bordo del pozzo e prese a strofinarsi violentemente con la spugna i piedi e le caviglie.
“Si ma potresti evitare di prenderlo così in giro, è un brav’uomo ed è difficile esserlo in questa città”
“Ti stai lamentando della nera città davanti ad uno Zhentilar?” Lo sguardo di Lauro era divertito ma con una minuscola punta di preoccupazione per la ragazza in fondo agli occhi.
“Come se tu fossi come tutti quegli spaventapasseri neri che girano per la città. E poi tu non sei ancora una recluta?” Rise e gli fece una linguaccia, poi si voltò in una cascata di capelli biondi e tornò ai suoi lavori. Lauro la fissò per un po’ sorridendo, poi guardò le persone che indaffarate avevano ripreso a lavorare attorno a lui. Era un po’ di tempo che si scopriva a sorridere senza un motivo, come in quel momento e, anche se non sapeva il perché, la cosa non gli dava per nulla fastidio. L’elfo si rialzò e si passò le mani sui pantaloni, si girò verso il pozzo e spese qualche minuto per rimettere a posti i secchi, le funi e le carrucole, poi fece per andarsene.
Si voltò un attimo a guardare la giovane ragazza che era tornata a lavoro. Leyel… Era davvero un bel nome. Distrattamente raccolse l’ascia bipenne che era appoggiata sul fianco del pozzo. Fece per afferrarne l’elsa e il suo sguardo si focalizzò sugli ampi schizzi di sangue che avevano macchiato il cuoio dell’impugnatura. Immediatamente, cosi come era venuto, il sorriso gli morì sulle labbra. In silenzio torno nella sua camera e cominciò a vestirsi. Sopra una sottile maglia di lana e stretti calzoni, serrò tutto attorno al suo corpo i lacci e le cinghie della stretta armatura di cuoio blu. Ogni centimetro del suo corpo venne coperto. Quando l’ultima fibbia degli stivali fu chiusa fissò la maschera di seta con un fermaglio e si avvolse completamente nel manto sfrangiato che aveva riposto in fondo al baule. Con l’ascia bipenne agganciata alla schiena uscì dalla locanda e si diresse verso le baracche degli Zhentilar.
Per strada c’era il solito via vai di gente: popolani, mercanti, falegnami, stagnini, contadini, calzolai, sacerdoti e occasionalmente qualche mago. A intervalli regolari passavano le truppe Zhentilar fendendo la folla che si apriva al loro passaggio. Le guardie nere erano onnipresenti in città e questo da un certo punto di vista era un bene ma, come al solito, raramente si respirava un aria di serenità lungo le strade di Zhentil. Lauro riuscì ad arrivare senza incidenti alla caserma Zhentilar dove era stato assegnato, varcando la soglia abbassò maschera e cappuccio e si diresse verso il cortile di allenamento. Urla e clangori di armi si facevano sempre più alti man mano che si avvicinava. Riconobbe il tono dei secchi ordini impartiti. Riconobbe a chi apparteneva quella voce e ne ebbe conferma quando entrò nello spazio interno. Darkivaron Salas, pantaloni e stivali neri, casacca blu con i simboli di bane ricamati sul petto, spallacci di ferro nero e bracciali di cuoio trattato, stava passeggiando avanti e indietro, le mani raccolte dietro la schiena, impartendo brevi ordini alle reclute che stava addestrando nei movimenti base di un attacco. Il cortile era in realtà un arena, o meglio poteva facilmente tramutarsi in tale all’occorrenza tante erano le lame presenti . C’erano fantocci di allenamento un po’ ovunque, lungo le pareti erano allineate lunghe rastrelliere di armi, estremamente ben fornite. Il cortile poteva contenere un centinaio di persone ma, in quel momento, ad allenarsi erano in meno di cinquanta tra soldati e reclute: alcuni si allenavano con archi e balestre, altri in combattimenti singoli, altri gruppi in altri esercizi. Il gruppo più nutrito lo comandava Darkivaron.
Venti reclute armate di lunghe picche nere avanzavano ritmicamente ai secchi ordini impartiti dallo Zhentilar. Lauro ammirava il tono chiaro dell’uomo. Era raro vedere uno zhentilar indisciplinato o disattento in caserma, ma Darkivaron riusciva a ottenere con semplicità e con naturalezza quello che altri riuscivano a conquistare solo con la paura delle minacce. Velocemente Lauro si avvicinò all’uomo.
“Recluta Laurelion a rapporto per riprendere servizio signore” Come al solito dare del “signore” ad un amico lo faceva sentire vagamente ipocrita.
“Ottimo soldato stavo facendo vedere a questi uomini come si maneggia una picca, vuoi prendere posto accanto a loro?”
Lauro sospirò ma non disse nulla. Sebbene fosse abile praticamente quanto Darkivaron a togliere la vita al prossimo, l’amico non perdeva occasione per insegnarli quello che chiamava “il sano concetto della disciplina” e così gli affibbiava incarichi ed esercizi noiosi fino alle lacrime, accanto a ragazzini che tutto si sarebbero aspettati meno che un elfo militasse tra gli Zhentilar.
Alcune urla di schiamazzo si levarono da un gruppo più distante, quello che si stava esercitando con gli archi, Lauro cercò di osservare con la coda dell’occhio ma Darkivaron se ne accorse immediatamente:
“Occhi davanti a te recluta” Lo riprese.
Lauro obbedì a malincuore e poco dopo altre urla di approvazione si levarono dallo stesso gruppo. L’elfo se ne disinteressò, ma dopo qualche secondo, per la terza volta, si ripeterono i versi di approvazione. Darkivaron, quasi ad esaudire il desiderio dell’elfo, ordinò di spostare il fianco di attacco e Lauro poté vedere liberamente il gruppo di fronte a lui. Un giovane soldato aveva scoccato cinque frecce, tutte conficcatesi nel occhio centrale del bersaglio, una sesta piantata poco più in là, e arco in mano sorrideva tutto soddisfatto.
“Cinque di fila. Sono meglio di un elfo!”
Lauro non resistette e fece per aprire bocca.
“Non pensarci nemmeno Lauro” Lo anticipò sorridendo Darkivaron.
L’elfo, sconsolato, richiuse la bocca e gli allenamenti continuarono. Continuarono per tutta la mattina, il gruppo comandato da Darkivaron – il loro gruppo - fu l’ultimo ad abbandonare il cortile. Lo zhentilar sciolse le righe quando il sole aveva ormai quasi raggiunto il suo zenit.
“Lauro, Gregory, Lirkat, Aimané” Darkivaron aspettò che i quattro si fecero avanti. “
Voi siete di pattuglia lungo la strada alta, gli altri possono andare. I vostri incarichi vi verranno assegnati dall’ufficiale di comando all’armeria.” Le reclute non se lo fecero ripetere due volte e si dileguarono rapidamente. Lauro fece per allontanarsi anche lui assieme ai suoi compagni di pattuglia quando Darkivaron lo richiamò indietro.
“Recluta vieni qui” Lauro si avvicinò tranquillamente.
“Hai con te la tua arma recluta?”
Lauro voltò leggermente la schiena come per accertarsi di sentire ancora il peso dell’ascia bipenne agganciata alla schiena.
“Si signore”
“Ti sei allenato con tutto il tempo con il peso di quell’arma sulla schiena?”
Lauro lo guardò perplesso.
“Si signore, perché?”
Darkivaron scosse la testa sorridendo
“Nulla Lauro non fa nulla, va pure…”
Lauro si allontanò e si unì ai suoi compagni. L’elfo si limitò a osservarli mentre si preparavano, mentre indossavano mantelli e cinturoni e mentre si scambiavano stupide battute raggiungendo la solita conclusione.
Non gli piacevano.
Non gli piacevano i suoi compagni, come non gli piacevano gran parte degli Zhentilar e a dirla tutta non gli piacevano i soldati in generale e Lauro trovava incredibilmente snervante il doverne far parte. Ma questo era il prezzo per restare in vita.
Il motivo per cui Darkivaron lo aveva spedito lungo la strada Alta era che era giorno di mercato e quindi servivano più uomini di pattuglia. Man mano che, attraversando strade e vicoli, Lauro e i suoi compagni si avvicinavano alla zona di mercato l’aria si riempiva di suoni e di profumi. Era l’ora per desinare, ma questo non scoraggiava per nulla mercanti e clienti, anzi. I pochi spazzi che erano rimasti liberi si riempirono di carretti, banchi e tende, dove venivano vendute ogni genere di pietanze: dolci, quaglie arrosto, pani con la meuza, fogli di pane arrotolati ripieni di carne di tacchino e manzo arrosto, bancarelle che vendevano frutta e miele. I profumi di dolci e carni permeavano l’aria e facevano aumentare vistosamente il flusso di denaro che si versava nelle tasche dei locandieri. Lauro, con addosso le insegne della guardia cittadina, procedeva in testa alla pattuglia, dietro di lui i suoi compagni che, come lui, guardavano circospetti la folla attorno a loro. Percorsero la strada avanti e indietro due volte, senza incidenti se non un ragazzino con l’aria sospetta che si aggirava con occhi troppo affamati attorno ad una ricca grassona con addosso troppi gioielli. Lauro si era limitato a dare una sberla al ragazzino e a proseguire mentre uno dei suoi compagni sghignazzò. Nulla di eccezionale e l’elfo si convinse che non sarebbe accaduto un accidente di niente per tutto il resto della giornata. Ma non ebbe nemmeno finito di formulare il pensiero che un porzione di folla impazzì. Con un improvviso coro di urla isteriche e di terrore, davanti a loro, la folla si aprì improvvisamente in due. La maggior parte delle strilla veniva da un sacerdote di Bane, le vesti nere che gli coprivano il torace erano lorde di sangue e si premeva entrambe le braccia sul ventre, l’uomo era di un pallore mortale. Accanto c’era un mercante, magro e con grossi bassi spioventi che reggeva una piccola mazza, di fronte a entrambi, una bambina reggeva in una mano un grosso pollo morto e nell’altra un lungo coltello insanguinato. La ragazzina guardava terrorizzata il sacerdote davanti a lui, la pelle del suo volto sembrava essere ancora più pallida dell’uomo ferito, il mercante accanto la fissava senza dire una parola. Eccetto il sacerdote, che strillava come un pazzo, tutti sembravano paralizzati e incapaci di parlare...
Poi, in un lampo, la bambina prese a correre.
Sembrava un quadro che avesse improvvisamente preso vita. Il sacerdote si rianimò in volto, il mercante si accese di rabbia e si mise a correre e urlare dietro la bambina che nel frattempo era scattata velocissima lontano da loro lungo lo spazio lasciato aperto dalla folla. Sfortunatamente la reazione di Lauro fu del tutto istintiva, di scatto si accovacciò sui talloni e la ragazzina gli finì dritta tra le braccia. L’elfo ne avvertì immediatamente l’esilissimo peso, quella bambina era pelle e ossa e leggera quanto un gattino, non tentò nemmeno di reagire, lasciò cadere il coltello e il pollo e si strinse attorno all’elfo, abbracciandolo disperatamente, completamente terrorizzata. Lauro non seppe fare altro che stringerla a sua volta e accarezzarle lievissimamente i capelli per calmarla.
“QUELLA PUTTANELLA MI HA QUASI AMMAZZATO!!” Le urla del sacerdote erano talmente stridule da sembrare femminee. Non era ferito al ventre come in un primo momento Lauro aveva pensato, ma solo al braccio, un lungo e poco profondo taglio vermiglio correva lungo tutto l’avambraccio destro del chierico di Bane.
“Piccola bastarda! Ha cercato di rubare la mia carne quel sacerdote ha cercato di fermarla e la puttana lo voleva ammazzare!!”
La bambina non disse nulla, ma strinse ancor più disperatamente l’abbraccio attorno all’elfo.
“Deve essere punita!! Esigo giustizia!!”
“Dammi qui.” Lirkat, compagno di Lauro, recluta anche lui, afferrò brutalmente la bambina, la strappò dal petto dell’elfo e la depose al centro dello spazio che la folla aveva creato attorno a loro.
La afferrò dalle spalle e la scosse.
“Lo sai cos’hai fatto?!”
La bambina non rispose, il viso inespressivo, solo gli occhi erano pieni di angoscia e di terrore.
“Hai aggredito un sacerdote di Bane! Hai ferito a sangue un sacerdote dell’oscuro signore!! Ti sbatteranno nell’arena per questo! Lo sai? Cos’hai da dire in tua discolpa?!?”
La ragazzina guardò la guardia disperata poi si volse verso Lauro.
“Aiutami…” Sussurrò
“RISPONDIMI!!” Il guanto ferrato scattò verso la testa della ragazzina.
Il profondo udito dell’elfo, retaggio della sua razza, percepì chiaramente il mortifero scricchiolio delle ossa della bambina e lo schianto del guanto ferrato sulla sua tempia. Per un assurdo momento a Lauro sembrò che quel rumore, come di qualcosa che si spezza, provenisse da dentro di lui.
Il corpo della bambina fu quasi sollevato da terra dalla violenza dell’impatto, fece una mezza piroetta ruotando su se stessa, rimase sospesa per un attimo in equilibrio sulle gambe inerti e poi, lentissimamente, crollò sul pavimento; accasciandosi, come una marionetta a cui avessero reciso tutto i fili.
Aiutami…
Lauro non aveva sussultato, nulla nel suo viso indicava che provasse qualsiasi reazione, ma nel suo cervello continuava a sentire distintamente lo scricchiolio e lo schiocco delle sue ossa. Avvertì, di nuovo, l’assurda sensazione che quello scricchiolio venisse da un punto imprecisato del suo petto.
“Ah merda! Stupida puttanella…” Lirkat fissava il corpo della bambina con disgusto come se fosse colpa della ragazzina stessa tutto quello che era successo.
La folla era rimasta in silenzio, se prima vociava concitata nel vedere l’episodio, ora era ammutolita guardando il corpo della bambina, aveva smesso di parlare anche il mercante, solo il sacerdote continuava a lamentarsi. A Lauro sembrava che nulla avesse importanza, rimase a guardare il piccolo corpo spezzato, per qualche secondo, senza parlare. Poi quando il ronzio della folla riprese e la guardia sghignazzò verso il corpo, si mosse.
Lauro si avvicinò al suo compagno, il volto del tutto inespressivo quasi sereno, si fermò davanti a lui e rimase a fissarlo. La recluta lo fissò di rimandò senza capire, la bocca leggermente aperta.
Accadde in meno di un battito di ciglia.
La mano dell’elfo guizzò in avanti, rapida come un serpente, altrettanto forte e si serrò attorno ai denti e alla mandibola dell’uomo. Il tempo si congelò una seconda volta.
I muscoli del braccio e della mano di Lauro si tesero fino allo spasmo, le dita si strinsero in una morsa spaventosa, penetrando la carne tenera sotto la lingua, un molare si spezzò e affondò nella gengiva, il volto dell’elfo rimase sempre inespressivo solo le palpebre si erano leggermente dilatate. Quando Lirkat capì cosa gli stava per fare si urinò addosso. I muscoli del braccio e della spalla si contrassero nuovamente e con un unico gesto Lauro strappò mascella, muscoli e tendini dal resto della testa dell’uomo. Le sue urla furono il suono più soddisfacente che l’elfo avesse sentito da molto tempo. Di nuovo, in maniera del tutto analoga a poco prima, il mondo riprese vita. Il ronzio della folla si tramutò in urla di terrore in un ampio crescendo. Il mercante fuggì via, così come buona parte dei presenti, il sacerdote balbettò qualcosa di incoerente arretrando e inciampando sulle sue vesti, i compagni di Lauro si precipitarono a soccorrere Lirkat, tamponando la ferita, tenendo la lingua e impedendo che la giovane recluta soffocasse nel suo stesso sangue.
Lauro fissava impassibile; il sangue gli copriva il braccio destro e gli era schizzato su petto gola e volto, poi cominciò a parlare:
“Recluta Lirkat sei reo di aver ucciso una testimone di un grave caso di aggressione ad un sacerdote di Bane, cosi facendo hai impedito che giustizia e soddisfazione fosse data all’autorità, sei reo di inadempienza verso il tuo incarico e di avere, inoltre, scavalcato con le tue azioni l’autorità della Magistratura di Zhentil Keep” La voce dell’elfo era completamente atona.
Lauro si voltò verso il sacerdote di Bane, pallido come un cadavere.
“Sacerdote mi dispiaccio molto e le chiedo scusa per il comportamento inqualificabile del mio compagno. La persona che la ha aggredita è morta prima di un processo soddisfacente. Spero che la mancata esecuzione ed applicazione della giustizia non l’abbia contrariata troppo. Ma del resto la ragazza è morta, lei è comunque soddisfatto sacerdote?.” Gli occhi del sacerdote si spostarono dallo sguardo del tutto inespressivo dell’elfo alla mano completamente inondata di sangue che ancora reggeva la mandibola della recluta. Pallidissimo in volto annui freneticamente.
“Sì, sì. Sono soddisfatto, non ho nulla da aggiungere” Poi l’uomo si volse e si allontano con passo incerto.
Lauro aprì la mano e fece cadere a terra la macabra mutilazione, poi si voltò, raccolse il corpo esamine della bambina e si rivolse ai suoi compagni. Gli altri due soldati di pattuglia erano riusciti a fermare l’emorragia e stavano strillando a gran voce chiedendo di un chierico ma quando si accorsero che l’elfo li stava fissando tacquero all’istante. Lauro quindi parlò:
“Sto portando il corpo della bambina dal becchino, assicuratevi che il nostro compagno riceva le adeguate cure” Poi senza più curarsi degli sguardi allucinati dei soldati si allontanò.
Passeggiava calmo, si sentiva svuotato. Il peso della bambina era quasi nullo. La teneva accovacciata, appoggiata al suo petto. Aveva i capelli biondi, se ne accorse solo in quel momento, con la testa appoggiata sulla spalla sembrava che stesse solo dormendo. Se non fosse per il respiro che non sentiva contro il suo petto, avrebbe potuto giurare che fosse ancora viva. In quel momento rimpianse che all’ossario non ci fosse più Thug, il grasso tombarolo avrebbe probabilmente capito…
La giornata proseguì senza ulteriori incidenti. Lauro consegnò il corpo della bambina e pagò per una bara e una tumulazione in una fossa singola. Si diresse quindi in caserma dove denunciò il suo compagno d’arme per i reati che gli aveva elencato. Darkivaron restò ad ascoltare in silenzio, con gli occhi chiusi, l’elfo non capì se per rabbia o per comprensione, ma alla fine l’amico arrivò ad una conclusione.
“Come tu stesso hai affermato la recluta Lirkat è rea di omicidio e, per aver ostacolato un indagine e aver scavalcato l’autorità di un magistrato, passabile per ostacolo alla giustizia.” Darkivaron fece una pausa.
“Se sopravviverà a quanto gli hai fatto, perderà il resto della testa sul ceppo”
Lauro rimase a fissarlo inespressivo.
“Tu sei comunque reo di aggressione e dovresti scontare un giorno di carcere e pagare una multa. Ma considerando che hai reagito ad un assassino di infante e ad una mancanza di rispetto verso l’autorità di Zhentil probabilmente il magistrato ti commuterà la pena in due settimane di servizi extra alla caserma”
“Si signore”
Darkivaron distolse lo sguardo e fece un gesto irritato col taglio della mano.
“Puoi andare”
Senza aggiungere altro l’elfo uscì dalla stanza.
Il resto della giornata Lauro lo passò in una stanza piena di libri ammuffiti, in un udienza sommaria presso il magistrato della caserma. La deposizione di Darkivaron fu sufficiente, l’elfo pagò all’esercito 200 pezzi d’oro e i cinque giorni di detenzione furono commutati in dieci giorni di servizio straordinario. Quando venne congedato si diresse verso la locanda dove alloggiava, la testa svuotata da ogni pensiero.
La sala grande, a differenza di quella stessa mattina, era piena e gremita di clienti e avventori. Quattro o cinque ubriachi giacevano già felicemente ebri in un angolo del salone, i tavoli erano quasi tutti occupati e Wilburn, l’oste che tanto si infuriava con lui per l’acqua del pozzo, serviva incessantemente birra e altri alcolici al bancone.
Lauro lo fissava affascinato, il calvo oste non stava fermo un minuto, schizzava come una grossa palla a destra e a sinistra del bancone, scomparendo in una botola per prendere altre bottiglie, o dietro una porta a trascinare altri barili. Come faceva, si domandava stupefatto Lauro, ad essere cosi grasso con tutto il movimento che faceva?
Questo pensiero riuscì ad alleviare il senso di oppressione che gli aveva regalato la giornata. Senza che lui se ne accorgesse, Leyel, la giovane ragazza che lo aveva rimproverato ridendo quella stessa mattina, apparve accanto al suo tavolo con un vassoio carico di piatti di carne e patate spezziate, che depose accanto all’elfo.
“Carne, carne, carne e tante patate spezziate, come piacciono a te!” La ragazza depose il vassoio con un inchino ed un sorriso.
Guardò l’elfo per qualche secondo poi si sedette fissandolo perplessa. Lauro fissava la carne nel piatto, senza tentare nemmeno di masticarla, aveva lo stomaco completamente serrato.
“Stai male?”
“Perché me lo chiedi?”
“Di solito ti avventi sulla carne non appena te la metto davanti” Leyel sorrise scostando una piccola ciocca di capelli biondi con un aggraziato movimento del capo.
“Anzi, di solito non faccio nemmeno in tempo a posarteli davanti, mangi nel tempo che impiego a prenderli dal vassoio al tavolo” Rise di nuovo.
“Forse questa sera non ho voglio di mangiare” Lauro sorrise
“Capisco il prode zhentilar elfo perde colpi…”
“Ah! Come osi…?” Il volto di Lauro esprimeva uno sdegno esagerato e cominciò a tirargli molliche di pane mentre la ragazza si riparava con la mano ridendo.
“Oh ti prego, lo sai che Wilburn ci paga un extra per ogni piatto per portiamo vuoto”
“Bene! Quindi vuoi solo che ti aiuti a guadagnare di più non sei preoccupata per me”
“Oh andiamo” La ragazza sposto le braccia in avanti lungo il tavolo, prese le mani di Lauro nelle sue e le strinse, e quindi gli sorrise dolcemente.
“Aiutami…” Sussurrò
Ogni goccia di sangue svanì dal volto dell’elfo. La reazione della ragazza fu immediata.
“Lauro cos’hai ti senti male?” Il tono era impaurito.
Attorno a loro l’allegro caos che li circondava continuava senza interruzioni, ma l’elfo avrebbe potuto trovarsi al centro di un deserto di pietra senza notare differenze; improvvisamente l’idea di mangiare qualcosa gli dava il voltastomaco. Di scatto si alzò dal tavolo e fece per allontanarsi.
“Lauro ti prego, cos’hai, ti senti male? E’ colpa mia?”
Lauro si girò verso la ragazza, il cui volto esprimeva preoccupazione, voleva dirle di non preoccuparsi e fare un commento sarcastico dei suoi, ma nel guardarla udì lo scricchiolio di piccole ossa che cedevano.
“Non preoccuparti, troppo lavoro oggi e sono stanco andrò a dormire…”
L’elfo attraversò velocemente la sala comune, evitando ubriachi e avventori che si muovevano attorno a lui. Si diresse verso le scale e comincio a salire. Ignorò i rauchi lamenti che provenivano dai corridoi, gli ansi e i gemiti di chi, lì, aveva deciso di appartarsi. Entrò nella sua stanza, posò l’ascia bipenne accanto al letto e iniziò a svestirsi.
Non capiva. Non capiva come un evento del genere avesse potuto scuoterlo tanto. Aveva visto di peggio, provato di peggio e fatto di…
No; una voce irosa dentro la sua testa negò che lui avesse fatto di peggio. Ma la sua reazione era comunque una cosa insolita. Nei lunghissimi anni al freddo e al gelo, da solo, non ricordava di aver mai provato qualcosa del genere, forse non ne aveva mai avuto il tempo.
Spogliato di tutto, Lauro si infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi. Immediatamente prese forma l’espressione disperata della ragazzina al mercato. Aiutami aveva detto. Beh in qualche modo, alla fine, l’aveva aiutata, le aveva dato vendetta; un volta, un sacerdote troppo ubriaco gli aveva detto che la vendetta donava pace ai morti. Lauro vide la mascella stretta nel suo pugno, i denti spezzati e i brandelli di carne che pendevano dalla testa della recluta, il tanfo da latrina causato dai muscoli del ragazzo che perdevano il controllo. Un gelida soddisfazione confortò il cuore dell’elfo.
Poi, lentamente, la coscienza di Lauro si frammentò in un turbine di pensieri, sprofondando nel mare del sonno. Il suo ultimo pensiero coerente fu il ricordo dei terrificanti e gelidi inverni, la solitudine e poi un suono; non uno scricchiolo, non il suono di qualcosa che si incrinasse, ma il sinistro e terribile suono di una lastra di ghiaccio che si richiudeva e rinsaldava su se stessa.

Edited by Hamelin [FL] - 19/3/2007, 19:40
 
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Cloud83
view post Posted on 19/3/2007, 19:04




"YAAAAAAAAAAWN"

La Valle doveva essere sveglia già da un bel pezzo, realizzò la mezzelfa non appena scostò le pesanti tende e lasciò entrare i raggi del sole nella stanza.
Raggiunse lo specchio e, sbuffando, prese a sciogliere un po' i lunghi capelli rosso fuoco arruffati.
"Mamma, papà,..." Come ogni mattina, quando non c'era fretta di correre a destra e sinistra, Taria si prese un po' di tempo per salutare 'quelli che se ne erano andati', come le piaceva chiamarli "..., Awaraldo, Wyder, spero vi siate svegliati bene anche voi."

Soddisfatta di come aveva arrangiato i capelli si sciacquò la faccia e si mise a cercare i vestiti sparsi per la stanza. Corpetto e gonna, entrambi di pelle e neri, furono facili da trovare, per quanto riguardava gli stivali invece le ci volle un po' più di tempo, ma alla fine ci riuscì.
Finalmente pronta per la colazione uscì dalla stanza e scese nella sala comune.
A Taria piaceva l'aria che si respirava nel Vecchio Teschio, era un po' come una seconda casa per lei. Mentre andava al suo solito posto al bancone salutò agitando la mano il buttafuori che si teneva sempre il cinturone.

"Oh sei riuscita a svegliarti quasi presto oggi."
"Sì ma sto morendo di fameee, mi porti qualcosina da mangiare?"
La cuoca le sorrise gentilmente come sempre e, senza aver bisogno di chiederlo, le portò un piatto di biscotti e un bicchierone di latte e miele fumante.
"Sono ancora caldi, mangia tutto prima che si raffreddi, ma non ingozzarti."
Uno dei due consigli la piccola mezzelfa non se lo fece ripetere due volte, inutile dire quale. Chiunque la vedesse mangiare con quella voracia non sarebbe riuscito a spiegarsi come faceva ad essere così minuta e gracile.
"Ti devo prepare qualcosa anche per pranzo?"
"Nono" *chomp chomp* "torno a casina!"

Una volta salutati la cuoca, l'oste e la guardia che si teneva il cinturone, Taria raccolse le sue cose in stanza e andò alle stalle della locanda.
"Ciao! Mi porti Trottolino perfavore?"
Tante volte lo stalliere le aveva detto che quello non era il nome adatto a un cavallo, ma Taria non aveva voluto sentirci. Ormai rassegnato, l'uomo tornò portandocon sè il cavallo dal pelo grigio. Taria lo condusse per le briglie per il paese, per poi prendere la via nelle campagne che conduceva nella foresta. Le piaceva guardare le persone lavorare nei campi, anche se non li capiva proprio. Lei stava ben alla larga da tutto quello che sembrava faticoso, e aveva sempre fatto così. I primi tempi erano stati duri, ma poi quando aveva imparato a raccogliere qualche monetina qua e là dalle tasche dei ricconi era diventato tutto più facile.

"Taria! Tariaa!"
Voltandosi la mezzelfa vide un gruppetto di cinque o sei bambini correrle incontro. Erano alcuni dei figli dei contadini che talvolta giocavano agli avventurieri, il pubblico preferito di Taria.
"Raccontaci di quando hai fatto scappare il drago dalla locanda!"
"Nono meglio quella di quando ha sconfitto gli elfi cattivi sottoterra!!"
"Io voglio sentire di quando è scappata dai paladini!!!"
Le spiaceva un po' deluderli, ma a Elventree c'erano Mia e Cassiel ad aspettarla, e se tardava l'austero elfo l'avrebbe sgridata un'altra volta.
"Devo tornare a casina, ma la prossima volta vi racconterò un'avventura nuova nuova eh! Promesso!"
Intrecciò il mignolo con quello delle bambine del gruppetto per suggellare la promessa. Poi i bambini salutarono la mezzelfa stringendosi attorno a lei in un abbraccio, per poi tornare a giocare agli avventurieri correndo verso il paese.

Taria li guardò finchè non sparirono dietro ad una fattoria, pensando a quando a Naskhel era lei a sognare di essere avventuriera. Ora lo era diventata, ma c'era ancora qualcosa di indefinito che le mancava per essere davvero felice e soddisfatta.
Scacciando i pensieri con una scrollata di capo accarezzò il collo del cavallo.
"Si torna a casa!"

Edited by Cloud83 - 19/3/2007, 19:23
 
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view post Posted on 19/3/2007, 19:31

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Era quasi l'alba, ormai. Hekin, il grosso pipistrello ormai da tempo legato ad Anthonius, sferzava già la buia coltre delle nubi promettenti pioggia che si paravano all'orizzonte, mentre il sole tardava a sorgere, diretto verso Zhentil Keep.
L'animale stava crescendo, ormai era troppo grosso per rimanere in soffitta.
Anthonius era a mollo in una sorgiva d'acqua calda, una pozza naturale che aveva da poco scoperto, nei territori collinosi a nord della Nera Città.
Un ciondolo gli penzolava dal collo, finendo in un piccolo disco in legno, di fattura tanto semplice quanto ben curata, rappresentante il simbolo di Bane.
Attorno alla piccola pozza crescevano piccoli ciuffi di erba pipa, schiacciata dal peso dell'acciaio della coppia di scimitarre, ancora infoderate nel cinturone.
Un fischio, lungo ed acuto. Mentre Anthonius scrutava il cielo all'orizzonte in attesa, lo scroscìo dell'acqua faceva lentamente spazio al lievissimo flap flap delle ali di Hekin.
Uno sguardo, poche parole: "Vattene, sei diventato troppo grosso."
Il pipistrello stette a guardare qualche istante l'uomo che giaceva nella pozza, quasi non capisse, le orecchie aperte a parabola verso di lui. Anthonius rimase immobile, solo il battito del suo cuore faceva muovere l'acqua, con lievi creste concentriche.
Il vento si alzò, muovendo le foglie dei bassi cespugli di bacche attorno alla pozza e portando il canto di qualche uccello troppo mattutino e lo scalpiccìo di Bucefalo che brucava l'erba nella piana sottostante.
Ad un tratto, Hekin si librò nell'aria, verso Nord.
Anthonius rimase ancora per qualche istante nella medesima posizione, conscio di cosa era appena successo.
Ora era solo.
Sentiva un enorme dispiacere, un insaziabile senso di solitudine. Aveva dovuto usare parole dure per liberarlo.
Fece scivolare anche la testa al di sotto del pelo dell'acqua, immerso nei ricordi. Colui che fu il suo legame, aveva dovuto liberarlo. I giorni passati ad accudirlo, dapprima in casa di Alyssa, poi in casa sua.
Tanti ricordi felici, ma pur sempre ricordi. Era triste rendersi conto che ciò che è passato non può più tornare indietro; ed è altrettanto triste rendersi conto di avere paura del futuro.
Le alghe sul fondo della pozza d'acqua cominciavano a fare un lieve solletico alla bruna schiena di Anthonius, così riemerse.
Scrutò il cielo: i raggi del sole fendevano le scure nubi cariche di pioggia, seppur per pochi istanti. Era l'alba.
In un'ora al massimo la pioggia sarebbe arrivata, avrebbe fatto meglio ad affrettarsi. Si asciugò e si rivestì, infilò gli spessi pantaloni di cotone, la maglia, il leggero giaco in maglie d'acciaio infilato sotto alla tunica smanicata. Allacciò il cinturone con le scimitarre, strinse il mantello al collo ed alzò il cappuccio.
Prima di allontanarsi si chinò e raccolse un pò dell'erba pipa che non era rimasta schiacciata dalla sua roba, mettendola da parte in una piccola borsa da cintura. Da un'altra borsa prese dell'erba pipa già essicata, che sminuzzò in una lunga pipa in legno, mentre cominciava a scendere il lieve pendìo.
Bucefalo alzò la testa verso Anthonius, vedendolo scendere. Ormai il paesaggio era schiarito, la luminosità era aumentata e le nubi, che venivano da sud, erano di un colore rosastro verso est, dove sorgeva il sole. Dopo aver rimesso la sella ed aver stretto i morsi a Bucefalo, Anthonius montò in sella ed accense la pipa. Spronò lievemente il cavallo, diretto verso sud, verso Zhentil Keep.
Erano più o meno le sei di mattina, quando cominciò a piovere: gocce grosse e fitte.
I tonfi degli zoccoli di Bucefalo si facevano più pesanti, amalgamandosi col rumore della pioggia. Anthonius continuò a galoppare così per una buona mezzora, e durante quella mezzora la pioggia aumentò ancora di più.
Era fradicio, Zhentil Keep distava ancora cinque buone ore di cavalcata. Ad un tratto, ad est del percorso, dove la pianura di erba alta si faceva boscaglia, un rumore improvviso. Anthonius fece fermare il cavallo e tolse l'arco dall'imbracatura, incoccando una freccia. Istanti interminabili, sotto la pioggia.
Anthonius era immobile, col braccio che cominciava a dolere per tenere l'arco teso tanto a lungo. Ad un tratto, scoccò. L'aveva mancato, spronò il cavallo alla rincorsa, incoccò un'altra freccia. La pioggia non favoriva certo la mira, ma il bersaglio era ormai a portata. Incoccò, mirò, trattenne il respiro. Mentre scoccava chiuse gli occhi, fermando il cavallo.
Un lamento rauco e basso venne dal cinghiale che aveva cercato di scappare nella foresta, trafitto alla gola.
"Un irsuto nero, carne ottima..."
Sceso da cavallo, Anthonius si avvicinò alla preda, estraendo la freccia e dando il colpo di grazia al cinghiale con una delle due scimitarre. Gli ornamenti sul piatto della scimitarra sembravano bere avidamente il sangue nero del cinghiale, per poi farlo scivolare via insieme alla fitta pioggia, che non aveva ancora dato segni di tregua.

Tempo dopo, nel folto della foresta...

Il cinghiale roteava lentamente sul fuoco, ormai era quasi pronto. La grande quercia offriva ampio riparo dalla pioggia, seppur qualche goccia riusciva comunque a penetrare tra la moltitudine di foglie.
Anthonius aveva circondato il fuoco con delle grosse pietre, steso un letto di foglie secche sulla terra bruna ai piedi dell'albero, non ancora bagnata, e su queste, aveva srotolato il suo sacco a pelo, imbottito con foglie d'erica, per renderlo più morbido.
I vestiti stavano asciugando vicino al fuoco, mentre lui avvolto in una coperta di spessa lana faceva lentamente cuocere il cinghiale.
La pioggia andava scemando, dopo essersi saziato ripose gli avanzi in un cartoccio, spense il fuoco, indossò i vestiti ormai asciutti e riprese il viaggio verso la città.
Si mise sul sentiero stavolta, per non giungere troppo tardi in città. Le porte della città si facevano vicine, scese da cavallo e si mise in fila, aspettando il proprio turno.
"Salute Krondhel." - "Salve Anthonius." Rispose di rimando la guardia. "Le solite formalità..."
"Qual è il tuo nome?" - "Anthonius Thanton."
"Sei tu un abitante di Zhentil Keep, Darkhold, o della Cittadella del Corvo?" - "Si, di Zhentil Keep." Rispose Anthonius, quasi a memoria.
"Quali sono i tuoi affari a Zhentil Keep?" - "Torno a casa."
"Sei un seguace di Bane?" - "Si, lo sono."
"Vieni da Hillsfar, Mullmaster o Shadowdale?" - "No."
"Sei ricercato per qualche crimine nel Mare della Luna?" - "No."
"Porti con te oggetti magici potenti?" - "No." Ormai quasi cantilenando.
"Di nuovo, qual è il tuo nome?" - "Anthonius Thanton... abbiamo finito?"
"Si, finito anche questa volta, passa pure."
Osservò casa sua, una delle più vicine alle mura, ed entrò nella sala da pranzo. Trovò Faustus in meditazione seduto su di un tappeto, con vesti bianche ed ampie. Il "vecchio" sembrava dormire, era completamente immobile. Dopo lunghi istanti, inspirò.
"Ah, sei vivo allora." - "Certo che lo sono, e sto meditando se non ti dispiace." disse quello socchiudendo un occhio.
"Certo, certo... ah, vuoi del cinghiale?" disse Anthonius gettando sul tavolo la saccoccia con i pezzi di carne rimasti dal pasto mattutino.
"No, oggi digiuno."
"Va bene, allora faccio un giro per la città e me ne vado a dormire, che sono stato fuori tutta notte..."
Era giorno di mercato, molta gente era per le strade. Si era cambiato d'abito, indossando vestiti più ricercati.
All'improvviso, ci furono urla isteriche e di terrore una ventina di metri poco più avanti, Anthonius sebbene fosse alto non riusciva a vedere ciò che era successo, tuttavia grazie al passaparola della gente seppe che una bambina aveva accoltellato un uomo, ed era stata fermata dalle guardie.
"Al giorno d'oggi cominciano sempre più giovani..." e mezzo assonnato sistemò il cerchietto che aveva intorno alla fronte, tornando sui suoi passi.
Prima di infilarsi nel letto recitò in infernale le preghiere che ogni giorno faceva a Bane, stringendo saldamente il piccolo disco di legno.
Infilatosi tra le morbide coperte di seta, osservò il soffitto affrescato con immagini di epiche battaglie, raffiguranti draghi e divinità.
"Ed anche oggi, è un giorno come un altro..."
 
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Kurgas
view post Posted on 19/3/2007, 21:13




Il sole era già alto da tempo, ma gran parte dei guerrieri del villaggio stavano dormendo in quanto la notte prima si era festeggiato un grosso quantitativo di Rothè uccisi dai cacciatori dell'Albero Fantasma. Per il villaggio si aggiravano soltanto le donne, i bambini piccoli e pochi guerrieri che avevano il turno di guardia, per quanto riguarda gli altri.... bhe diciamo che erano troppo impegnati a farsi passare la sbornia.

" Garak corri corri, sta andando verso la tenda di Kurgas!!! "

Alcuni bambini, guidati da Garak figlio di Thangulmor il cacciatore Morto, stavano inseguendo un grosso ratto che si aggirava per il villaggio. Garak impugnava una grossa clava e incurante di entrare nella tenda di Kurgas senza permesso si getto all'interno e con un colpo secco spaccò la testa al ratto spargendo il cervello dell'animaletto ovunque.
Alcune parti della materia grigia del povero animale entrarono nella bocca aperta di Kurgas che stava dormendo, e russando, beatamente sulla sua branda.

*alcuni colpi di tosse uscirono da Kurgas che faceva fatica a respirare*

"Garak!!!! Quando un giorno prenderò il posto di tuo padre come comandante dei sacri guardiani di Padre Albero, chiederò al Capo di farti assegnare a me, così qualcuno ti insegnerà qualcosa!!!"


E agganciando il bambino per il collo, il barbaro gnomo lo portò con lui fuori dalla sua tenda scaraventandolo con brutale forza sul terreno.
Le innumerevoli risate degli altri bambini rieccheggiarono per tutto il villaggio.....

"Ma è possibile che mi devono sempre svegliare cosi!!"


Fatto ciò lo gnomo si diresse verso il fuoco, era già ora di pranzo e sicuramente era rimasto del Rothè dalla sera prima, inoltre non era così insolito per i barbari Uthgardt mangiare assieme. Sulla strada intravide Arkiell che dormendo se ne stava abbracciato alla testa di un rothè morto dicendo:

"Forbita si dal primo momento che ti ho vista.....ho sempre pensato che....."

Kurgas guardava l'amico spaesato, un po perchè il discorso era intervallato da rutti e russate, un po perchè continuava a chiedersi chi era questa Forbita e come mai lui non conosceva nessuna ragazza con quel nome.

" Sveglia Arkiell, andiamo a mangiare che dopo voglio andare a dare un occhiata sud del villaggio, alcune sentinelle son tornate dicendo che hanno visto alcune carovane passare in zona."

Arkiell ascoltò Kurgas con un po di difficoltà : "Va bene però parla più piano che il dialetto Uthgardt non è la mia lingua!! "

I due mangiarono nel villaggio e poi si diressero nel luogo che Kurgas voleva visitare.
Durante il viaggio incontrarono le solite cose che si incontrano nella grande foresta, cioè di tutto e di più, il luogo non era certamente tranquillo ma infondo era il loro territorio; ma arrivati nel luogo desiderato non trovarono nessuna carovana ma qualcosa di verde che si muoveva tra i cespugli.
Arkiell e Kurgas si guardandoro in faccia e sorrisero poi insieme dissero: "Orchi!!!"
Erano solo un paio di orchi sperduti, probabilmente si erano persi nella foresta lasciando il loro villaggio, ma per Kurgas e Arkiell era un dono venuto dal cielo.
Lo scontro fu rapido e all'ordine del giorno per i due barbari, i quali tornarono al villaggio coi corpi e li lasciarono ai bambini per farli impalare, era già il tramonto e una nuova festa e sbronza stava per cominciare intorno al fuoco.
 
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Haytram
view post Posted on 19/3/2007, 22:01




''Ehi, è passato quell'imbecille con la barba lunga, hai visto?''.
Imoden si fermò e volse lo sguardo verso chi aveva appena parlato.
''Che diavolo stai dicendo?''.
L'irriverente gnomo scoppiò in una grossa risata e, con uno scatto felino, si gettò verso Imoden impugnando una lama in Pietraluna. I colpi incalzavano rabbiosamente e lo gnomo sembrava aver perso il controllo di se.
Imoden si svegliò. Si era addormentato nella sala del governo su una scomoda sedia di pietra, con le gambe appoggiate sul grande tavolo che occupava l'intera stanza e il capo rivolto verso il soffitto spiovente.
Lentamente riuscì ad alzarsi in piedi, indolenzito sotto la pesante armatura, si affacciò ad una finestra. Era giorno e le strade cittadine brulicavano di gente, una piccola folla si era riunita in un punto della parte alta della città e alcune grida di stupore si levavano ad intervalli irregolari da essa. Imoden slacciò i guanti d'arme in Pietrasangue e con noncuranza li scagliò verso il tavolo, dove atterrarono con un gran tonfo metallico. Dopo qualche secondo iniziò a lisciarsi la barba con le mani, ammirando il paesaggio caotico che costituiva Zhentil Keep a quell'ora. Tornò a sedersi sulla sedia in cui s'era addormentato e socchiuse gli occhi. Aveva decisamente fame, ma il sonno incalzava ancora nonostante le ore di riposo.
Due colpi secchi alla porta lo svegliarono definitivamente. ''Avanti'' gridò Imoden con l'accento rude di un uomo che ha appena trascorso la notte su una sedia di pietra. Una guardia graduata si presentò sulla soglia con un energico saluto.
''Che c'è?'' sbraitò il capitano senza neanche accennare ad una risposta.
''Disordini in città, signore. Sembra che una bambina abbia ferito un Sacerdote e derubato un mercante. Una recluta l'ha uccisa sul posto e a sua volta ha dovuto fare la stessa fine per mano di una seconda recluta, signore.''
''Quante storie per un dannato poppante.. abbiamo pure perso una recluta... mi chiedo cosa diamine stia combinando Salas per dare vita a situazioni simili tra le nuove leve dell'esercito... ad ogni modo, la bambina è morta, giusto? Sebbene non spetti a quei cani indisciplinati applicare la legge in questo modo...'' Imoden non finì la frase e con un cenno congedò la guardia.
Assorto cominciò a tamburellare con le dita sul tavolo.
Dieci minuti dopo scese in città col volto coperto da un cappuccio nero, la lunga barba rossa ricadeva sul petto confondendosi con l'armatura del medesimo colore.
Una guardia distratta balbettò qualche parola incerta:
''Tu... identificati!''
''Va al diavolo!''
Imoden continuò a camminare imperterrito verso la locanda, il passo celere e pesante rimbombava sul lastricato della Nera città. Con quelle poche parole fece sussultare la guardia che rispose con un saluto rapido e timoroso allontanandosi lentamente dalla figura ammantata.
La gente si scostava rapidamente al suo passaggio, i più audaci gli rivolgevano un rapido saluto e le guardie eseguivano il saluto zhentilar con impeto. Con uno spintone spalancò la porta del Cadavere Ardente e rivolse una rapida occhiata agli avventori, che guardavano il nuovo arrivato con curiosità e timore. Toltosi il cappuccio venne riconosciuto dalla maggior parte dei presenti e alcuni gli rivolsero un cordiale cenno.
''Preparami uno stufato e un boccale di birra''.
''Subito, capitano''.
Dalla porta entrò una figura femminile vestita con abiti eleganti e di buona fattura.
''Buongiorno milady'' esclamò Imoden con un sorrisetto ironico che fuoriusciva dalla barba.
Shyrniira rispose con un lieve cenno e prese posto di fianco al capitano, con l'aria offesa di chi non vuole esporsi troppo.
''Siete ancora turbata dai miei turpi discorsi in vostra presenza, milady?'' l'apostrofò dopo qualche secondo Imoden con un ghigno.
La donna mormorò una risposta con aria di sufficienza e salì in camera come indignata.
Il rosso terminò il suo pasto e volse lo sguardo verso l'uscio della locanda. Qualche minuto più tardi entrò Darkivaron in locanda con lo sguardo preoccupato.
I due uomini parlarono come di consueto dei fatti del giorno e della situazione generale della città.
''Mi hanno riferito quello che è successo oggi, soldato. Non mi è affatto piaciuto quello che ho sentito.''.
Darkivaron assunse un aspetto grave.
''C'è stata una grave mancanza da parte di una recluta... con conseguente aggressione e rissa. Ti sembra una cosa accettabile che due reclute dell'esercito si scannino pubblicamente in città?''.
''No, signore...''.
''Neanche a me. Ebbene, non mi sembra il caso di ribadire i soliti concetti che ho già ripetuto più volte... ad ogni modo, sarò breve. Parlate con le reclute che io vi ho affidato, soldato. Parlategli nuovamente dei comportamenti che bisogna tenere in situazioni simili.'' Imoden si alzò in piedi e con uno sguardo e un tono quasi caritatevole esclamò:
''Se fallirete nel vostro intento, la vostra testa ornerà le mie stanze, ve l'ho già ripetuto più volte.. ma non mi stanco mai di dirlo.'' e sorrise con clemenza, uscendo dalla locanda dopo aver eseguito il secco saluto zhentilar, per la prima volta in quella giornata.
Il rosso si diresse verso le stalle e si fece dare il suo cavallo. Sistemò i foderi e l'armatura e sparì tra gli alberi dinanzi ai neri cancelli.
Mezz'ora dopo era di ritorno con un piccolo sacchetto stretto nel guanto d'arme. Riconsegnò la cavalcatura allo stalliere e si diresse a passo moderato verso la banca. Durante il tragitto uno straccione dai capelli bianchi che sembrava aver perso l'uso della vista cozzò contro il capitano che camminava senza badare a quello che aveva attorno, passando sopra la gente che non si spostava in tempo e spintonando quando era necessario.
''Vi prego! Un pezzo di pane per le mie ossa putride! Non ho denari, sono abbandonato a me stesso! Chiedete grazia per me all'Oscuro Signore! Anche lui mi ha lasciato solo!''.
Imoden si fermò e agguantò il vecchio con una mano. Era vicino al porto e alcune navi si stavano preparando a salpare, gli urli dei marinai e l'odore salmastro del pesce costituivano l'atmosfera tipica del quartiere del porto. Tagliagole e borseggiatori aspettavano negli angoli più bui in attesa che facesse notte per uscire allo scoperto.
''Cane d'un mendico. Se Bane ti ha lasciato allora abbraccia pure la dea delle sgualdrine e nutriti dei suoi frutti!'' e con un ghignò in volto scagliò il povero vecchio in mare, guardandolo penosamente affogare in un goffo tentativo di rimanere a galla.
Riprese il cammino verso la banca quando venne nuovamente fermato. Un giovane dai capelli rossi lo guardava con timore dal basso biascicando qualche parola stentata.
''Ehm.. signore, mi scusi...''.
''Sì?'' rispose Imoden con tono serafico. La vicenda del mendicante l'aveva messo di ottimo umore.
''Signore chiedo scusa se mi rivolgo a voi.. con.. così poco rispetto.. ma.. so.. bene che avrei dovuto mandare una missiva al governo.. io.. ecco..''.
Imoden prese a guardarlo con uno sguardo truce. Quel ragazzotto doveva avere appena 20 anni ed era dannatamente esile.
''Tu vorresti entrare nell'esercito, è così?'' lo interruppe il capitano.
Il giovane annuì eccitato.
''Bene. Portami venti teste dei briganti che invadono le terre di Zhentil Keep e sarai ben accetto nelle file delle reclute zhentilar''.
''Sissignore!'' esclamò convinto il giovanotto.
Imoden riprese a camminare guardandosi attorno. Probabilmente quel ragazzo sarebbe morto non prima di sera per causa dei briganti.. ma tutto ciò era sicuramente utile all'addestramento delle reclute. Un sacrificio simile sarebbe servito a incrementare la rabbia e la determinazione delle nuove leve, ad aumentare il patriottismo di ogni singolo, nuovo, soldato.
Con questi cupi pensieri, il rosso giunse alla banca e chiese il suo forziere riponendo il sacco pieno di teste che aveva riempito durante la 'caccia'.
Uscito dall'edificio prese la strada verso la locanda, inseguito dai ricordi di quella giornata qualunque ed inseguendo i suoi pensieri, mentre ormai stava imbrunendo.
 
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view post Posted on 19/3/2007, 23:12

Decapitatore di Mind flayer

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Mancavano ancora due ore all'alba, il fuoco sembrava riposasse tra i grossi ceppi, nel grande dormitorio dell'Ordine del Falco.
Arael si alzò, guardandosi intorno. I cavalieri ed i cadetti dormivano ancora. Si incamminò verso il camino, attizzando il fuoco, poi andò a lavarsi, nella stanza adiacente, separata da spesse mura di pietra.
L'aria mattutina era gelida, ad ogni passo si rabbrividiva.
Lavatosi, si rivestì, il simbolo sacro in argento, raffigurante un guanto d'arme sinistro, era legato ad una catenina d'argento anch'essa; Arael infilò pantaloni comodi ed una camicia di quelle buone. Abbottonate le maniche, indossò una veste più pesante, infilò gli stivali e prese quindi il mantello dell'Ordine del Falco, che allacciò al collo.
Si recò quindi al tempio interno, ancora vuoto, dove potè recitare delle preghiere in celestiale a Torm, il Giusto.
Dopo aver ripetuto sottovoce i dogmi ed aver pregato, si rialzò ed uscì dal tempio.
Lungo i corridoi incontrò cavalieri e cadetti in armatura, alcuni intenti a riordinare gli armamenti, altri con messaggi da consegnare, altri ancora a scrutare il buio orizzonte che sovrastava la pianura a sud della fortezza.
Si recò quindi nella zona studio, dove, al lume di candela, completò alcuni calcoli per la tesoreria del Gate.
L'alba incalzava, scese quindi le scale ed andò in sala mensa.
Ora tutti i cavalieri si erano destati, le cucine erano in piena attività. Quando tutti furono seduti arrivò anche Ajantis e si iniziò a mangiare.
Il vociare aumentò sensibilmente, c'era chi istruiva il proprio cadetto ai primi giorni, chi raccontava di strani avvenimenti in terre lontane, chi ancora rimembrava i tempi che furono, le battaglie combattute, gli amici caduti.
Dopo la colazione, ognuno si ritirò in silenzio, ai propri doveri.
Arael raggiunse Ajantis al piano superiore, con una cartina in mano.
"Buongiorno, Ajantis."
"Buongiorno a te, Arael."
Arael srotolò con un rapido gesto la cartina sul tavolo sgombro, indicando un punto a sud della sede.
"A quanto pare i briganti che c'erano in questa zona si sono spostati qui, più ad est. E' più lontano dai sentieri ma è comunque un pericolo per i passanti."
"Si, ho già ordinato a Jake di prendere una squadra e tentare di allontanarli."
"Bene, per quanto riguarda il ponte verso Baldur's Gate invece ora la zona sembra tranquilla, nessuno attacca più i Formian - con loro conseguente uscita dal nido, quindi anche quella zona è a posto.
Si sono presentati nuovi cadetti questa decade?"

"No, purtroppo no. Ho però mandato qualche sacerdote nella zona del Braccio Amico, per vedere se vi sono persone adatte a far parte del nostro ordine."
"Con le lezioni invece, quando si terrà la prossima? Sai, stavo pensando..."
"Lord Ajantis! Signore! Le nostre sentinelle hanno avvistato un piccolo gruppo di Troll di montagna sul fianco ovest! Stanno venendo verso di noi!" Irruppe un cadetto.
"Continueremo dopo Arael, vai a prepararti e prendi venti soldati: cinque balestrieri, due chierici, cinque lancieri e otto combattenti, dovrete essere pronti in cinque minuti, svelti!"
Detto ciò Ajantis congedò il messo e si diresse verso la sua stanza.
Arael corse alla sala comune, dove trovò, tra gli altri, anche Fiamma, Zarkhan e Sel.
Dopo pochi minuti, erano tutti sul largo sentiero montano ad ovest della sede, con armature pesanti in sella ai loro cavalli.
"State pronti, soldati! Quando li vedrete caricare, date battaglia!"
Ultimamente anche i Troll di montagna si facevano più insistenti, nell'ultimo mese avevano portato tre attacchi, tuttavia erano gruppi troppo esigui per fare danni.
Il rumore e le urla dei troll si faceva sempre più vicino.
"Benedite le armi!"
I Troll da lontano videro un gruppetto di soldati a cavallo, in armature scintillanti, che alzavano le armi al cielo, facendole brillare.
Ciò fece accrescere la loro ira, facendoli balzare in avanti con un impeto furioso.
"Balestrieri! Mirare... fuoco!" Urlò fiamma.
Cinque dardi partirono, due Troll furono colpiti: uno alla spalla, l'altro allo stomaco. Ancora più adirati i due Troll feriti si lanciarono in una corsa furiosa, brandendo le loro enormi clave a mezz'aria.
"Lancieri! Posizione difensiva!"
I lancieri si pararono davanti al gruppo, con le loro lunghe lance dirette verso i Troll.
Nella loro foga, i due Troll feriti trovarono la morte sulla punta delle lance dei soldati.
"Spade! Caaaricaaaaa!"
I soldati spronarono i cavalli, spade tratte, impugnate verso il cielo e verso il nemico, e mentre combattevano, i soldati sentivano gli inni sacri provenire dal tempio, e cantavano mentre colpivano, e il suono del loro canto fiero dava loro coraggio.
I Troll di montagna, troppo pochi per un serio attacco, perirono.

A battaglia conclusa i chierici curarono i pochi feriti, ed il gruppo tornò alla sede.
Arael si fermò qualche istante ad osservare il sole che accarezzava le creste innevate di quelle montagne, elmo sottobraccio.

"La Giusta via..." Mormorò tra sè, pensieroso.
"Andiamo, Windstriker." Spronò quindi il cavallo, diretto verso la sede.
Un'altro giorno stava per finire.
 
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Mia S.
view post Posted on 20/3/2007, 13:44




E’ ancora buio fuori.Mi alzo, mi stiracchio.Comincio a lavarmi, l’acqua e’ gelida ma mi piace cosi’, mi sveglia piu’ in fretta.
Apro il mio baule dei vestiti belli, ne scelgo uno di seta blu, con ricami d’oro e d’argento.Sorrido al ricordo di Velkar che mi sgrida per aver indossato parte dell’armatura sotto un abito del genere.
Mi vesto, mi acconcio i capelli nella solita treccia morbida.
Guardo fuori ed arriva l’alba.Con lo sguardo al sole che nasce, rivolgo la mia preghiera al Signore del Mattino.
L’alba scivola via e la giornata comincia.Scendo le scale della mia casa di pietra, fredda ed umida come tutte le case del Gate.Ma e’ bella, ed e’ mia.
Accendo la candela al centro del grande tavolo di legno.Mentre aspetto che il latte sia caldo, tiro fuori il libro dei conti della posta…e subito mi assale il pensiero delle mille cose da fare….che Lathander benedica Korak che mi da una mano.Provo, e gli Dei sanno che e’ vero, a tenere in ordine i conti, ma credo che sia una lotta troppo dura per me.Che mi si chieda come abbinare vestiti e cinture, non di essere ordinata!
Abbandono l’impresa della contabilita’ e mi guardo intorno.
E’ ora di andare, Arael mi aspetta per cominciare le misurazioni delle case.Scuoto appena il capo, se solo un anno fa mi avessero detto che oggi mi sarei trovata qui, mi sarei messa a ridere….come mi sono ridotta, mio Signore.
Ma e’ inutile che stia a rimuginare, certe cose vanno fatte e basta…il motivo oggi mi sfugge, domani forse mi sara’ tutto piu’ chiaro e la mia vita seguira’ il corso al quale era destinata.
Una scrollata di spalle e mi avvio, senza fretta verso la casa del mezzelfo.Faccio una deviazione e mi affaccio in biblioteca.Vedo Rinoa intenta a riordinare tra gli scaffali.Le faccio un cenno con la mano e lei, come sempre, ricambia allegra.Ho la sensazione che si sentirebbe abbandonata se non vedesse me o Arci in giro di tanto in tanto ed assolutamente non voglio che si demoralizzi.
Mi rimetto in cammino, esito un attimo e decido di concedermi una delle buonissime ciambelle di Bardon.E’ un dolore entrare in quel negozio dopo quello che e’ successo…non mi scordero’ mai quei momenti, Bardon che ci dice che Arinne e’ al porto…e la nostra corsa, inutile ed inevitabile…ed il corpo di Arinne li’…
Un sospiro, un sorriso forzato ed entro dal fornaio.E’ consolatorio quel profumo di biscotti e di dolci che mi avvolge quando entro e l’aria calda ed il rumore dei forni .Le solite chiacchiere e via, di nuovo in strada.
Sono in ritardo, ma Arael e’un mezzelfo, ha vita lunga, aspettare un po’ non sara’ un grosso guaio per lui!

 
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Ilcariot
view post Posted on 20/3/2007, 14:16




Con ago e filo la donna cuciva.
Prima un punto...poi un altro affilato....faceva passare con abilità la punta tra le pieghe del tessuto.
Il filo, non un filo comune ma di un color argento, seguiva amabilmente la mano che sembrava muoversi come da sola, animata dall'abitudine e dalla routine.
Un altra mano si mosse e tese un capo della stoffa per renderla ben distesa e guardabile; due occhi si aggiunsero, osservando con perizia il lavoro svolto; una bocca sorrise ed un capo annuì con piacere nel constatare il buon lavoro.
Betty "Dita Filanti" era proprio contenta del suo lavoro.
Era considerata la migliore tessitrice di Baldur's Gate e di certo ne andava fiera; non si era mai tirata indietro in nessuno dei lavori commissionatigli, per quanto difficili o complicati potevano essere. Non aveva smentito mai quella diceria che le faceva comunque un ottima pubblicità.
Fu proprio questa nomea a portargli una nuova sfida quando una donna dagli strani occhi color argento vivo le portò un gomitolo di un filo mai visto prima: piccole maglie di argento metallico si infilavano una dietro l'altra a mo di minuscole catenine...talmente minuscole che erano paragonabili ad un filo di lana o di cotone.
Betty aveva quasi settanta inverni sulla schiena eppure mai aveva visto nulla di simile.
Era proprio quello che l'aveva attirata quando quella strana donna era venuta da lei.
Betty si alzò e ripose gli attrezzi da lavoro, raggomitolando con un po di fatica il filo argentato; subito recupero il vestito e lo infilò nel manichino.
Con le mani iniziò a misurare mentre parlava ad alta voce...
"Circa un metro e sessanta...no sessantacinque...forse dovrò tagliare mezzo palmo....ora il collo....si dovrebbe andare bene" disse ricontrollando un piccolo foglio di pergamena con scritte su alcune note "...il cappuccio...un questo e' sfilacciato...che razza di tessuto.." borbottò mentre con perizia faceva rientrare nei ranghi una maglia che accennava a sfuggire dalla sua posizione...
"E' perfetto..." disse una voce proveniente dal nulla.
Betty senti il cuore rimbalzargli da una parte all'altra del corpo, mentre si appendeva con forza al vestito, rovesciando il manichino e molte delle ceste li vicino.
La vecchina si girò di scatto osservando spaventata l'esile figura di una donna dai capelli corvini.
Due occhi color argento vivo, quasi splendenti nonostante l'ora non fosse tarda, fissi su di lei come a scrutarle il fondo dell'anima...
"Si-siete voi! Non fate mai più una cosa del genere! Sono vecchia e non sopporto più questi stupidi scherzi da bardo! Possa Helm fulminarvi milady!" disse Betty "Dita Filanti" con il fiatone e piuttosto arrabbiata.
La donna sorrise appena, quasi con non curante del danno appena arrecato; si mosse con leggerezza, capacità di certo dovuta al suo corpo di esile fattura, e chinandosi vicino al manichino, con dita leggere come il vento sfiorò il vestito opera della vecchia sarta.
"E' davvero perfetto Betty...invero la tua fama non e' fonte di dicerie..." dise mentre rialzava il manichino e sfilava la veste "...anzi devo dire che sono sorpresa! Solo i migliori sarti del Nimbral avrebbero potuto fare di meglio....ma il Nimbral e' lontano e io non posso tornarvi..."
Betty osservo la donna infilarsi il vestito e ne approfittò per ricomporsi e riprendere fiato: la strana donna si era rivelata sempre più strana vista questa sua nuova capacità di apparire dal nulla.
La sarta si voltò verso la porta della sua bottega notando come fosse ben chiusa come l'aveva lasciata diverse ore prima. Poi di nuovo puntò lo sguardo verso la donna mentre questa si vestiva.
"Potreste darmi una mano con questi lacci?" disse improvvisamente la donna facendo riportare Betty alla realtà.
"S-si...subito..." disse avvicinandosi con cautela e quasi con riverenza.
Molte stringhe argentate erano state fatte cucire sulla veste secondo il disegno originale, stringhe di cui Betty non capiva l'esistenza e l'importanza; ora mentre la donna si vestiva e la guidava con voce più gentile di prima, la sarta osservò il vestito adattarsi perfettamente al corpo della donna grazie proprio alle diverse stringhe.
Probabilmente anche se un ettin avesse sbatacchiato la donna qua e la, il vestito non si sarebbe mosso nemmeno di un millimetro....
Le ultime stringhe partivano dal collo e si arrampicavano sulla fronte, bloccando in qualche maniera il cappuccio sulla testa del soggetto.
Betty notò che queste ultime stringhe venivano controllate e allacciate dalla donna in maniera quasi maniacale.
Infine la donna si stacco dall'anziana sarta e si porse davanti allo specchio: il suo corpo era completamente avvolto dalla veste ad eccezioni delle mani e del mento e in qualche misura anche parte del collo.
Sei perfetta...Phaele..." disse la donna rivolta allo specchio.
Betty la guardò pensando che quella donna non fosse del tutto in se...
Phaele mosse una mano indicando un piccolo tavolino: ad un suo gesto dal nulla apparve un fiotto di monete dorate che tintinnando ricaddero impilate sul tavolino.
"Per il tuo lavoro Betty "Dita Filanti"...per il tuo ottimo lavoro"
Betty si voltò verso il tavolo stavolta sbalordita...
"Ma sono trop..." stava rispondendo l'anziana mentre si voltava ma le parole le morirono in gola.
La stanza era deserta. La donna dagli occhi d'argento era scomparsa e con lei l'abito e il filo d'argento.
Betty "Dita Filanti" decise da quel giorno di smettere di bere lo sherry di sua madre e iniziò a frequentare di più il tempio di Tyr.
 
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Elianto Dae
view post Posted on 20/3/2007, 20:55




Aria fresca di un nuovo mattino.
Ai primi raggi del sole, come sempre, Felmeryel apre sonnecchiante gli occhi, sempre in un giaciglio diverso: a volte a casina - come la chiamava Taria - ma molto spesso in giro per i boschi, avvolta in una coperta di fogliame.
Il primo pensiero è rivolto a ciò che la circonda, scruta i dintorni con occhi vigili, accertandosi che tutto sia tranquillo.

Ma poi subentra la fame! E non c'è niente di meglio che iniziare la giornata con qualche biscottino del Vecchio Teschio, quanto sono bravi a cucinarli!

Per svegliarsi completamente, però, è necessario una lunga passeggiata nel bosco, che anch'esso apre i suoi occhi al giorno nuovo.
Arco in spalla e spada ciondolante alla cinta, l'elfa avanza con passo leggero scostando i rami piu' bassi, e sorride benevola agli animali che si voltano di scatto avvertendo la sua presenza.
Il suo fedele destriero la segue indietro di qualche passo, ogni tanto facendo una sosta per brucare l'erba fresca bagnata dalla rugiada.

Respirando fino in fondo, quasi a voler esser tutt'uno con ciò che la circonda, la mano casualmente le cade sul coltellino che porta appeso alla cintola.

"Uh.. gia'.. potrei anche lavorare ogni tanto!", sorride tra sè della sua pigrizia.
Così, imbracciata un'accetta, e canticchiando dei motivetti elfici che sentiva sempre quando era bambina dai druidi suoi tutori, Felmeryel trascorre parte del suo tempo nella faticosissima attività della raccolta della legna.
Beh.. ne raccoglie non troppa, in verità, ma essenziale per intagliare qualche arco, nella speranza che ne riesca uno di cui Corellon, ma soprattutto lei stessa, ne rimangano soddisfatti.

Il primo tentativo.. insuccesso totale. Sospirando, l'elfa riprova, sistema il fine diadema sulla fronte, in modo che non le scivoli sugli occhi, e riprende ad intagliare con decisione e attenta alle rifiniture.

Ed ecco fatto! Lentamente prende vita, tra le sue mani, un bell'arco composito, dal corpo lungo ed elastico, ma robusto, capace di lunghe gittate e di una buona potenza.

Soddisfatta, ma stanca - troppo stanca! - del lavoro fatto, Felmeryel decide che è ora di una lunga cavalcata.
Meglio passar al villaggio, magari ci sarà qualcuno con cui scambiare due allegre chiacchiere!
 
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Chaos Scorpion
view post Posted on 20/3/2007, 22:03




E' l'alba. I primi raggi di sole entrano dalla finestra e si posano sul volto di Velkar svegliandolo. Apre gli occhi, la luce non è ancora intensa per fortuna, fa per girare la testa dall'altra parte, un crampo al collo lo blocca prima di terminare il movimento, e inizia già ad avvertire il freddo contatto col tavolo di pietra, si era addormentato sui libri...di nuovo. Il braccio sposta con non curanza le pergamene ormai rovinate e la boccetta d'inchiostro semirovesciata. Si volta verso il letto tutto indolenzito, nel camino vi è ancora un barlume di fiamma e quelle lenzuola sono cosi invitanti, si avvicina borbottando qualcosa su quell'incantesimo che da giorni cerca di creare senza molti risultati ed è quasi sul punto di sollevare le coperte quando si ricorda che oggi è giorno di mercato.
Ad un quasi invisibile gesto della mano qualcosa appare nella stanza, la creatura composta da energia si avvicina al suo padrone in attesa, "Ripulisci il tavolo e getta le pergamene nel camino prima di spegnerlo del tutto. Poi prosegui pure con i consueti lavori di casa.." con un lieve inchino la creatura prende congedo e inizia a svolgere i suoi compiti, Velkar scende al piano di sotto, il sonno sta ormai scomparendo e comincia a camminare più veloce trepidante com'è. Un altro semplice gesto con le dita e una forte fiamma inizia ad avvampare sotto la pentola del the, dopo poco più di un minuto è pronto e Velkar lo beve tutto d'un fiato, poi va a scegliersi i vestiti e l'immancabile bastone a tono e in pochi attimi è pronto ad uscire, si perchè oggi è il giorno di mercato...non riesce a trattenere un lieve sorriso, oggi è giorno di mercato e come ogni settimana una baraonda si scatena tra le bancarelle, tutti alla ricerca dell'affare della settimana, e così le terme sono deserte o quasi, quei pochi rimasti sanno che al suo arrivo dovranno sloggiare, madame Bet viene pagata profumatamente per avere le terme riservate e non dover utilizzare incantesimi di invisibilità per avere un pò di privacy...
Qualche parola magica e un paio di gesti ormai fin troppo naturale ed eccolo nello spogliatoio, non valeva la pena camminare con quel macello, probabilmente finendo con lo sporcare i vestiti puliti, mentre si cambiava avvisò Bet che poteva far iniziare a uscire i ritardatari; "Eccoti la tua moneta di platino Bet, gentilissima come al solito" e senza aspettare risposta apre la porta ed entra, si ferma un attimo a respirare il vapore acqueo e si sgranchisce i muscoli ancora indolenziti, "Certo, si sta proprio bene, pensò, magari potrei invitare Mia a farmi compagnia, sarebbe un attimo spuntare a casa sua ed invitarla...un sospirò interuppe quei pensieri e lo riportò all'immagine di quella donna che aveva visto fin troppo spesso vestita in armatura e pronta a combattere, eppure quei vestiti eleganti le donavano così tanto...no è inutile, scrollò il capo a rispondersi da solo, non è una donna che farebbe queste cose, e neanchio sono il tipo da fare proposte simili..." ancora un altro passo ed eccolo al bordo dell'acqua, pronto ad immergersi e a sciacquare via quei pensieri indecorosi.

Qualche ora più tardi Velkar esce dalle terme diretto verso il palazzo, dopo qualche passo rumori di uno strano tumulto provengono dalla strada, si avvicina ad una guardia per chiedere informazioni
"Mio Lord,pare che due guardie di pattuglia al mercato abbiano trovato una bambina che ha accoltellato un sacerdote di Bane, la bambina ora è morta e uno delle guardie ha strappato la mascella al compagno, è molto grave e non si sa se ce la farà." "Cosa? Ed era un elfo la guardia ferita?" chiese con una punta di ansia "Nossignore, ma la guarda che l ha ferito è un elfo di nome Lauro mio Lord." come fosse rimasto deluso congedò la guardia distrattamente e riprese il suo cammino "Prima o poi ci lascerà le penne quell'elfo, bha... meno male che è compito di Imoden e Darkivaron occuparsene".
Arrivato a palazzo lo aspettava un'altro di quei momenti che riuscivano a metterlo di buon umore, tutte le guardie presenti a prodigarsi in quello stupido saluto militare e lui, se proprio era in vena, rispondeva con un lieve gesto del capo, ma quando passava senza fare nessun segno di averli notati riusciva a volte a scorgere ancora quegli sguardi stralunati e indignati; "Fra un ora portatemi il pranzo in tesoreria" e senza aspettare risposta sale le scale verso una giornata di conti, parcelle e progetti da vagliare.

Tornato a casa, una rapida cena e poi sale nella sua stanza, la vista del tavolo gli da un brivido di rabbia così torna giu e va al piano sotterraneo, al suo laboratorio alchemico. Gli alambicchi sono tutti in ordine e un libro con gli appunti sugli ultimi esperimenti è aperto in mezzo al tavolo.
"Vediamo...si ho gia provato il sangue di drago con il cuore di viverna, mmm...forse con gli occhi di beholder o questa scaglia di tritone.." e via così per varie ore provando le combinazioni più diverse e ottenendo pochi risultati, le delusioni erano molte, ma quando otteneva un risultato erano momenti unici e così passava il tempo a provare e riprovare, fino ad addormentarsi sul tavolo.


 
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IlGranTrebeobia
view post Posted on 20/3/2007, 23:04




Il sole andava man mano sparendo lasciando un rossastro alone dietro di se, Selune già alta nel cielo azzurro intenso di Suzail iniziava ad illuminare stanca le facciate delle case.
Il duro lavoro tra merletti, aghi e fili per oggi era giunto al termine e si avvicinava l'ora della tisana, Zullo in questo era preciso... Ora più ora meno...

Uscì dalla bottega del sarto e, canticchiando canzoni elfiche storpiate con parole, diciamo, poco educate, si diresse saltellando in uno dei suoi luoghi preferiti…
Entrò in locanda ordinando il solito infuso bollente d’erbe speciali, la sua strana capigliatura e il suo naso sporgevano da sotto il bancone "eh ehe allora, quanto ci metti eh?" Si arrampicò sullo sgabello sul quale aveva piazzato tre alti e duri cuscini di lana e paglia.
"aah ecco qui" si sistemò nel miglior modo possibile cercando di non cadere e prese con entrambi le mani la tazza rovente "ahia oh, è calda, ah già, è giusto che sia calda è una tisana calda! E che cavolo, dovevo pensarci prima eh ehe" appoggiata di scatto la tazza si mise a soffiare forte, abbastanza forte da schizzare un terzo del liquido ustionante in giro "ma che... uffaa, scusa eh, non l'ho fatto mica apposta eh... eh eheh eheh" L'oste oramai non ci badava più, ci aveva fatto il callo, sopratutto in vista della mancia che Zullo gli avrebbe lasciato se di buon umore...

Finito di bere lo gnomo iniziò a frugare in tasca... Tirò fuori un primo librucolo "uhm uhm, non è questo..." Continuò a frugare in ogni dove estraendo libercoli, pipe, trucioli di legno e scarti di stoffa, quando finalmente trovò quello che stava cercando, un taccuino con inciso sopra "Poesie e Filastrocche"
L'oste lo guardò sogghignando e fece "questa mi mancava, adesso scrive anche poesie il nostro nano intellettuale"

"Ridi ridi spilungone, ma come non lo sai? Io scrivo filastrocche per i bambini cattivi... Ma non solo eh, scrivo filastrocche per i bambini buoni! Eheh prendi questa ad esempio, leggi! E' una filastrocca bella bella, è anche istruttiva eh!" annuì con forza "eh si... Però attenzione agli accenti, altrimenti non funziona, eh no" scosse la testa porgendo il libricino aperto su una pagina per poi cambiare idea e ritrarlo "eh ehe, leggo io và, che è meglio"
Prima di iniziare si mise un paio di occhiali rudimentali sul naso e si sgranchì la voce

"un giorno c'era un orso che fame avea semprè
andava in giro e a zonzo in cerca di un bignè
ma solo uno stivale in terra lui vidè
zufòlo zufolì, trullàllero trullè

l'orsotto grasso e grosso di corsa arrivò
ma il pranzo tutt'a un tratto di traverso gli andò
rimedio al bel pastrocchio allor presto trovò!
zufòlo zufolì, trullàllero trullò

indovin cosa fece, a bere se ne andà
pimpante e pacioccoso nel fium vicino al prà...
però non trovò l'acqua perchè s'era asciugà.
zufòlo zufolì, trullàllero trullà

il pover orsotonto stecchito là finì
per colpa della fretta e sai cosa vuol dì?
che adesso vai a dormire e ti alzi a mezzodì.
zufòlo zufolì, trullàllero trullì"


"Piaciuta eh? Eh?" aggrottando la fronte "Raccontala a tuo figlio, magari impara qualcosa…"
 
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Ilcariot
view post Posted on 21/3/2007, 09:15




"ADRIADNEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!" proruppe una voce impetuosa quanto il tuono di una grossa tempesta.
Subito il possente urlo fu seguito dal rumore di molte cose metalliche che cozzano con la pietra, poi un tonfo e il rumore di qualcosa che rotola giu dalle scale.
Qualche metro più su, immersa nel laboratorio, Magdalene ringraziava gli dei di non aver mischiato ancora il suo componente esplosivo nella miscela che stava preparando, mentre un attimo prima sobbalzava a causa del frastuono.
Adriadne lasciò la sua postazione al bancone mentre guardava interrogativa le altre inservienti; si affacciò alla base della scalinata e trovò la causa dell'immenso frastuono.
Akrom era rivolto a terra, la schiena contro il muro che faceva angolo alla fine delle scale, la testa e il collo sottosopra mentre le gambe penzolavano in alto appoggiate al muro assieme al sedere; molti pezzi di armature incomplete ed alcuni lingotti sparsi qui e la, sia sulle scale che affianco all'uomo caduto.
"Ehm...tutto bene Capo?" disse Adriadne trattenendo a stento una grossa risata mentre constatava che il suo superiore era davvero in una bizzarra posizione.
"Adri....per caso hai dimenticato tu quella bottiglia proprio sulla cima delle scale?" disse Akrom ancora in quella scomoda posizione (anche se Adriadne non riusciva a capire se il fabbro si fosse incastrato o se la trovasse davvero comoda) e con un tono di chi si trattiene appena e finge tranquillità.
"Vediamo...e' arrivato il ragazzino della stalla e mi ha chiesto quei cinquecento ferri di cavallo...poi il fornaio ha chiesto di aggiustargli quelle teglie che si erano deformate nel forno...poi quel forestiero che voleva quella spada in esposizione...penso che vi abbia rinunciato perchè costava troppo.....e se posso essere sincera aveva proprio ragione!" iniziò Adriadne con lo sguardo rivolto al cielo cercando di ricordare gli eventi della giornata, come per cercare di ottenere un suggerimento da chissa quale divinità,
"Quella spada e' ARGENTO! Viene direttamente dal Nord e sai che ci vuole un occhio dell....ah ma che ci parlo a fare con te?" borbottò Akrom mentre cercava di ricomporre le ossa incrinate del suo corpo.
Si rimise in piedi dopo diversi minuti di massaggiamento del collo e si mise a raccogliere i pezzi metallici sparsi qui e la...
Fattosi aiutare ad impilarli sulle braccia dalla sua inserviente, il fabbro si guardò attorno notando che avrebbe dovuto ridepositare tutto il suo materiale di nuovo nel magazzino al piano di sopra, proprio dove l'aveva prelevato.
Erano arrivati i carichi dalla Compagnia dello Zaffiro di Heliogabulos e abilmente i facchini avevano lasciato tutto all'entrata riempiendo il negozio di pacchi di lingotti rossi e neri.
"Almeno ho un po di pietra di sangue...speriamo che i Blehen non si siano dimenticati dei gioielli che gli avevo chiesto...non voglio sentire di nuovo quell'acida di Lady Mildred sparlare della Compagnia nel mio negozio..." disse Akrom guardando speranzoso i pacchi.
"Ma no Capo dai...e' cosi gentile! E poi devi compatirla...suo marito era un Crownsilver...veramente si dice fosse adottivo...e l'ha piantata per una prostituta del quartiere del molo....fosse successo anche a me sarei scontrosa come lei non trovi?" ribattè Adri mentre con le altre inservienti cercava di dare un ordine alla stanza.
Akrom sospirò trattenendosi da qualche cattiva battuta e disse:"Senti chiudi il negozio...oggi chiudiamo al pubblico prima...non si puo lavorare con questo caos...vado sopra a posare questa roba ma torno subito...mi raccomando attenta a dove fai poggiare quella roba capito? Anzi non la muovere finche non torno..."
"Sicuro Capo!" rispose la donna mentre con le altre commesse spettegolava sui pacchi più piccoli e sul loro contenuto.
Il fabbro iniziò a salire le scale.
"Ah! ecco cos'era quella bottiglia! Magdalene me ne aveva chieste un pacco da cinquanta e io gliel'ho preso...pero mi ha detto che ne mancavano tre o quattro....chissa dove sono f..." subito un rumore di metallo che cade e di nuovo un grosso tonfo si senti mentre il fabbro rotolava di nuovo per le scale"...inite..."
"ADRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!"
Nel frattempo poco più su al piano di sopra si sentiva il suono di una esplosione....
 
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view post Posted on 21/3/2007, 16:26

Decapitatore di Mind flayer

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"...e quindi gli piantai una freccia nel gargarozzo, quella sì che era una preda coi fiocchi!"
"Ahhh cosa devono sentire le mie orecchie! Altro che cacciatore di orsoni! Guarda un pò là, contro il muro! Quello è il dente del drago verde che mesi fa venne ad appollaiarsi qua vicino! E indovina insieme a chi l'avevamo ucciso? Eh? Niente meno che Alaric Ganondorf, che fu governatore a Zhentil Keep per un bel pezzo! Quello là si che è un soldato coi fiocchi, altro che i tuoi orsi!"
"Che mi venga un colpo, Buck! Quell'orso sarà stato alto tanto quanto un drago! E poi se non ci fossi io tu di clienti non ne avresti!"
"Guarda bello, che tutti i tuoi amici minatori venivano qui ad ubriacarsi da molto tempo prima di te!"
Il piccolo halfling, Buck, era impegnato in una delle tante discussioni animate con uno dei tanti avventori, nella locanda "Il Sole e la Luna" di Nashkel, quando la porta si spalancò: sulla soglia era comparso un damerino biondo in abiti eleganti e lucenti, un sorriso smagliante sulle labbra, "tipica aria ebete da Lathandercoso sulla faccia" (come pensava Buck).
"Ahhh, il mio cliente preferito!" - "Ma se ha detto a me la stessa cosa due minuti fa..." sussurrò qualcuno - "Qual buon vento, Fitzgerald?"
"Buongiorno Buck, salute a tutti voi."
Il "lathandercoso" entrò a grandi passi, non aveva l'aria molto sveglia, infatti inciampò rovinosamente sul tappeto che il giorno prima Buck aveva steso davanti all'ingresso - chi lo sa, forse proprio apposta - causando le risate dei presenti.
Dopo essersi rialzato, come se niente fosse successo - o come se non se ne fosse nemmeno accorto - Fitzgerald prese posto al suo solito tavolo.
"Allora Fitz, cosa ti porto oggi?" - "Uhmm... mmm..." - "Fammi indovinare, il "Piatto del Sergente", come ogni giorno?" - "Ma si dai, anche oggi quello, è tanto buono!
Al che, Buck si diresse di gran carriera verso la cucina, chiamando (o meglio, urlando) Den e Mireus: "DEEEEEEN! MIREUSSSSSSS! IL PIATTO DEL SERGENTEEEEE!"
Dal piano superiore si sentirono sonore risate, e rumore di corsa: i due halfling scesero le scale velocemente, quasi finendo addosso alle casse con le provviste.
"Ahah! Ancora Fitzgerald?" chiese Den.
"Certo, chi altri prende quel piatto, secondo te?"
"Mi domando quando se ne accorgerà... Sempre che mai se ne accorga, svampito com'è!"

I tre halfling si misero quindi chi a pelare le patate, chi a prendere il solito barattolo di sale infilato sulla mensola più alta dietro alle scatole di zucchero, chi a far bollire l'acqua; tutti e tre estremamente indaffarati ed impazienti, nemmeno stessero preparando una potente pozione.
Armati di tre cucchiaioni belli grossi mescolarono infine il minestrone, bello speziato come piaceva a Fitz, con i loro cucchiaioni.
"Siete pronti?"
"Uno..."
"Due..."
"TRE!"

SPUT! - SCIAFF!

Un bel triplo sputo era finito proprio nel mezzo del minestrone, ed i tre presero a mescolare energicamente, mezzi morti dalle risate.

"ARRIVA IL PIATTO DEL SERGENTEEEEE"

I tre halfling tenevano sollevato il pentolone sopra la testa, avanzando in sala pranzo, tra gli sguardi complici di Hester e Marcia, le due osti, e le risate generali degli avventori.

"Heilà, Fitz! Ci abbiam messo il sudore a prepararlo, quindi vedi di mangiarlo tutto anche stavolta eh!"

"Ohoh, salute Den, salve Mireus! Quant'è che è? Una moneta d'oro, giusto?"
"Si, una moneta d'oro, dammi pure qua!"

E il povero Fitzgerald, prese a mangiare il suo bel "Piatto del Sergente", mentre i clienti cacciavano fuori la lingua disgustati, ridendo; ma Fitzgerald ignorava gli ingredienti speciali del minestrone, gli piaceva, ed era felice così.
 
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Darkivaron
view post Posted on 22/3/2007, 00:51




Era ancora buio, e mancava ancora qualche ora al sorgere del sole.
Darkivaron venne svegliato improvvisamente da qualcosa che spingeva contro il suo petto.
Istintivamente, mosse la mano alla ricerca del pugnale che teneva sotto il cuscino, nonostante si rendesse conto dell'inutilità del gesto: il suo assalitore lo aveva colto alla sprovvista.
In altri termini, era bello che Morto.
Gli occhi si aprirono.
La mano si arrestò.
Con irritazione, più che con sollievo, vide che a spingere contro il suo petto non era un'arma, ma il bianco batuffolo di pelo che corrispondeva al nome di Astio.
Il gattino donatogli da Alyssa era ancora una volta venuto a dormire nel suo letto, e si era appallottolandosi contro di lui, come alla ricerca di protezione.
Qualche sera prima, per l'agitazione era cascato dal letto battendo la testa contro il comodino e facendosi un bernoccolo che ancora gli faceva male.
Anche l'animale si svegliò, sbadigliando e stiracchiandosi con impudenza sotto lo sguardo severo dello zhentilar.
Iniziò a miagolare con una certa insistenza.
Ha fame, pensò Darkivaron.
Pur guardando storto e sussurrando al suo indirizzo epiteti che andavano dal poco fantasioso "Dannato gatto" al più ingegnoso "Punizione degli Dei" , lo accontentò riempiendogli un piattino di latte, e senza riflettere lo accarezzò con delicatezza.
Ad ogni modo, era sveglio, e di certo non gli mancavano gli impegni.
Accese le lanterne, si rasò accuratamente quel poco di barba che era cresciuta durante la notte, per poi lavarsi dentro una grossa tinozza.
Lucidò l'armatura nera e le sue armi, e dopo essersi messo la divisa Zhentilar e aver controllato che tutto fosse in ordine, si avviò verso la porta di casa.

Prima che gli allenamenti delle reclute iniziassero, aveva ancora qualche ora. Si sarebbe recato al Templio di Bane a pregare, e poi a fare colazione in locanda...ma prima, c'era qualcos'altro da fare.
Poco tempo dopo, si trovava nel cimitero della città, deponendo due mazzi di rose bianche al cospetto di due tombe.
Restò chino su di esse e in silenzio per un bel pò, ad occhi socchiusi.
Mentre ricordava il passato, una profonda sofferenza si alternava ad una rabbia impotente.
Lì, l'intero mondo sembrava fermarsi e non avere alcun senso.
Si rialzò...sentiva un bisogno disperato di andare al Templio di Bane.
I primi timidi raggi di solo iniziavano a illuminare la città e iniziavano a essere distinguibili i nomi incisi sui sepolcri.
Nomi di gente umile, nomi che a nessuno sarebbe importato ricordare.
A nessuno tranne che a lui.
Perchè quei nomi umili e senza nessuna importanza, erano entrambi seguiti da una parola.

Salas.

Addio Madre. Addio Padre, sussurrò mentalmente.
Ogni volta che veniva li era un addio...perchè sapeva che non li avrebbe reincontrati mai più, neppure nella morte.

Percorse cupamente e con passo sicuro le innumerevoli strade che lo separavano dal Templio dell'Oscuro Signore, fermandosi solo quando incontrava pattuglie di soldati, e limitandosi a brevi ma educati saluti nei confronti dei pochi individui che non avessero l'aria di essere mendicanti o molto più semplicemente scarti della società.
Arrivò ai piedi del Templio, e della sua ripida scalinata, che iniziò a risalire solennemente.
Ad ogni gradino, combatteva per dominare le emozioni che la visita al cimitero aveva risvegliato...combatteva perchè non fossero esse a dominare lui.
Era un uomo. Era uno zhentilar. Era un Banita.
Non se lo poteva permettere.
Entrò nella Casa della Mano Nera, inchinandosi profondamente, per due volte, come era sua abitudine: una volta sulla soglia, e una all'inizio della navata centrale, davanti all'altare.
Si prostrò, come era richiesto, davanti ad ogni sacerdote che incontrò sul suo cammino, suscitando in qualche caso cenni di assenso per la devozione con cui lo faceva, prima di inginocchiarsi sopra una delle panche e iniziare a pregare. Sussurrava le sue preghiere in Infernale.
Usare quella lingua priva d'anima e aliena lo faceva sentire "meglio".
Suoni a tratti gutturali e sibilanti, che non potevano esprire nessun sentimento a parte l'Odio.
Suoni che non potevano esprimere dolore.
Dopo un'intensa meditazione, Darkivaron si rialzò, come rinato. Più calmo esternamente, più controllato interiormente.
Come sempre, riconciliarsi con il suo Credo gli aveva giovato enormemente.
Espletati gli onori dovuti a Bane, abbandonò il Templio.
Ora che aveva riforgiato il suo spirito, c'erano altri spiriti e altri caratteri da forgiare. Futuri zhentilar.

Mancava poco all'inizio degli addestramenti. Doveva scegliere tra arrivare tardi e dare il cattivo esempio alle reclute, o saltare la colazione.
Pochi minuti dopo, si trovava al campo di addestramento, puntuale e impegnato a impartire ordini.
E a stomaco vuoto.
Quella mattina, in particolare, il suo lavoro fu appesantito dalla presenza di nuove reclute, senza alcuna esperienza.
Ordinò a Ian, il più abile e in servizio da più tempo, di allenare Storg e Astor, mentre lui dava un'occhiata ai nuovi arrivati.
A quanto pareva, quello che sarebbe dovuto diventare il loro istruttore aveva avuto la geniale idea di farsi travolgere da una carrozza la sera prima, e lui si era ritrovato a dover supplire alla sua mancanza.
"Gregory, Lirkat, Aimané...in riga!"esclamò con tono secco e autoritario.
"Si signore!" risposero i tre.
Li squadrò.
Che facce da imbecilli, pensò tra sè.
Mestamente, iniziò la sua filippica sul valore del lavoro di squadra e della disciplina per poi passare agli esercizi veri e propri.
Da quando Imoden gli aveva affidato il ruolo di addestratore, aveva dovuto trascurare i suoi allenamenti a beneficio dei futuri soldati, ma ciò non gli pesava. Lo considerava un onore, e un segno di grande rispetto e fiducia del Capitano nei suoi confronti.
E sopratutto, ciò gli dava modo di imparare l'Arte del Comando, e nel complesso, non sembrava cavarsela male: aveva avuto gli insegnanti migliori in materia.
Il suo modo di dare ordini, in parte ricordava quello di Imoden, in parte quello di Alaric, e in parte era un concentrato del suo carattere e delle sue esperienze personali.
Detestava urlare a squarciagola, ritenendolo poco dignitoso, e detestava minacciare più di una volta. Sopratutto detestava minacciare a vanvera, e dopo i primi nasi spaccati, le reclute meno attente avevano imparato che un tono pacato e placido da parte del loro istruttore non significava che si trovavano in una sala da the.
A poco a poco, tutti stavano imparando il "sano concetto di disciplina".
Tutti, o quasi.
“Recluta Laurelion a rapporto per riprendere servizio signore!” proferì una voce alle sue spalle.
Se l'è presa comoda...chissa se almeno lui ha fatto colazione, pensò lo zhentilar, scacciando il pensiero di uova strapazzate e cibarie varie dalla testa.
Avrebbe dovuto riprendere Laurelion per il lieve ritardo, ma non gli andava di mettere in ridicolo quello che ormai considerava un amico davanti a quelle mezze tacche: non se lo meritava.
Invece, decise di mettere in atto una piccola vendetta.
“Ottimo soldato, stavo facendo vedere a questi uomini come si maneggia una picca... vuoi prendere posto accanto a loro?” disse in tono assolutamente neutro, e senza neanche voltarsi.
Sentì un sospiro: l'elfo odiava quel tipo di ordini...
Il gruppetto fu l'ultimo ad abbandonare il campo: alla fine Darkivaron era molto soddisfatto di Laurelion, Ian, Storg e Astor, le reclute che aveva addestrato personalmente fino a quel giorno.
Per quanto riguardava Gregory, Lirkat e Aimané, invece, sperava che finissero sotto un carro come il loro istruttore...


Mentre si dirigeva al Cadavere Ardente, in modo da potersi rifocillare prima di dover rientrare in servizio, incontrò una sua vecchia conoscenza.
In direzione opposta alla sua, protetta da un'armatura di pietraluna e avvolta da un mantello verde che ne nascondeva il volto, una sagoma avanzava imperiosamente per la strada, come se l'intera città le appartenesse.
Lunghi capelli rossi uscivano sinuosamente da sotto il cappuccio, abbandonandosi sulle spalle.
Avrebbe riconosciuto quella camminata fra mille.
Abbassò il capo in segno di rispetto, ma senza inchinarsi come avrebbe voluto, dato che tempo prima lei glielo aveva proibito.
"Salve Lady Alyssa, al Vostro servizio" disse, usando un tono sommesso e rispettoso.
La donna si fermò, apparentemente malavoglia. "Salve Darkivaron..." Non c'era particolare calore in quella voce. "...ditemi, avete ancora l'oggetto che vi ho affidato?"
Lo zhentilar si incupì per un secondo. Non amava pensare a quella cosa.
"Si Mia Signora, è al sicuro come mi avete ordinato" disse, con un tono appena più tetro.
Alyssa si lasciò scappare un lieve sorriso: difficile dire se per la notizia che la cosa era al sicuro, se per il fatto che era divertita dalla sua reazione, o se per entrambi i motivi.
"Bene, sarà meglio che le cose continuino così...custoditela, e meditate sulle vostre debolezze passate...Tenetevi pronto, presto avrò ancora bisogno di Voi. Ora devo andare, a presto." Il tono si era ora più dolce...dolce come un veleno, e lievemente canzonatorio.
Annuendo con rispetto, si mise rapidamente al lato della strada, come se invece che a una persona sola, dovesse lasciare spazio al passaggio un intero esercito.
"Sarà fatto come desiderate, Santa Sacerdotessa", rispose, questa volta con grande convinzione, come se la frecciatina subita ne avesse rafforzato il morale invece che indebolirlo.
Compiaciuta, la donna riprese la sua strada senza la minima esitazione. Il simbolo della Mano Nera di Bane era finemente ricamato sul mantello.
Mentre se ne andava, l'uomo restò a fissarla assorto nei propri pensieri, con profonda ammirazione.
Quella si che è una Figlia dell'Oscuro, pensò.
Ne considerava ogni singolo gesto o parola come un qualcosa da cui trarre insegnamento spirituale: anche quando lei gli rivolgeva parole dure o di disprezzo.
Tuttavia, sentiva che qualcosa ne suo rapporto con la sacerdotessa si era incrinato, come si erano incrinati il suo orgoglio e la sua fiducia in se stesso, forse per sempre, anche se non lo avrebbe mai ammesso con nessuno.
Questo da quando era stato liberato dal giogo di quella cosa...e da quando era stato risparmiato nonostante le sue colpe: i suoi superiori aveva deciso che poteva ancora essere uno strumento utile alla causa della Mano Nera.
Privato del dolce oblio che la morte gli avrebbe concesso, era ancora vivo, e costretto ancora a combattere con il Demone del senso di colpa e di inadeguatezza, che si aggiungeva ai Demoni interiori che già risiedevano nel suo animo...
Ma se era vero che non aveva fiducia "in ciò che era" come una volta, era anche vero che ciò contava meno di niente in fin dei conti.
L'importante, è che avesse fiducia "in ciò che doveva fare"...nel suo agire come servo di Bane.
"Un uomo di Zhentil sa sempre quello che fa" era solito dire il Capitano Imoden.
Lui era una Lama al servizio di Bane, niente di più, niente di meno: e solo in questa considerazione trovava pace.


Era quasi arrivato alla sua destinazione, quando passò davanti ad un uomo anziano, apparentemente cieco, seduto per terra, che chiedeva l'elemosina...
''Vi prego! Un pezzo di pane per le mie ossa putride! Non ho denari...", chiedeva con voce tremolante.
Darkivaron lo guardò a malapena, ignorandolo. Gli era stato insegnato a rispettare gli anziani...ma il rispetto era una cosa assai diversa dalla pietà. E disprezzava i deboli e i falliti.
"... sono abbandonato a me stesso!"
Chi non lo è, pensò ironicamente Salas, voltando le spalle all'uomo.
" Chiedete grazia per me all'Oscuro Signore!" Cercò di trattenere una risata. Chiedere pietà a Bane! Quel vecchio era uno spasso.
"... anche lui mi ha lasciato solo!''
Con un smorfia di disgusto e una luce pericolosa negli occhi, si arrestò di colpo, tornando sui suoi passi e portandosi davanti al vecchio cieco.
Senza troppo riguardo, lo prese per il collo e, serrò il freddo e nero guanto della sua armatura attorno di esso, sbattendolo contro il muro con violenza.
Il volto del povero mendicante si riempì di un terrore misto a stupore. Rantolò: avrebbe voluto urlare, ma la stretta attorno alla sua gola gli impediva anche di respirare.
"Se Bane ti ha abbandonato, è perchè sei un essere Inutile, indegno anche solo di nominarlo" disse Salas con voce glaciale.
Serrò ancor di più la mano attorno alla gola dell'uomo, che iniziò a soffocare.
Le esili mani del cieco si portarono sul guanto nero, in una lotta persa in partenza. I suoi occhi spenti erano sbarrati, e boccheggiava in preda al panico.
Quando iniziò a diventare paonazzo, Salas parlò ancora, molto lentamente e scandendo bene le parole.
"Nominalo ancora invano, e morirai. Ricorda sempre la Mano attorno alla tua gola." sentenziò con voce priva di emozione, prima di abbandonare la presa, lasciando l'anziano uomo mezzo morto, che tossendo convulsamente e sputando, riprendeva a fatica a respirare.

Entrando al Cadavere Ardente, Salas aveva un'espressione molto soddisfatta e serena.
La locanda era stracolma di gentaglia della peggiore risma come al solito, e di qualche zhentilar come lui che si rifocillava prima di continuare la pattuglia. Si avvicinò lentamente al bancone. "Salve. Vorrei delle uova strapazzate e un pollo arrosto, per cortesia. E da bere, un bicchiere di vino Calishita, grazie" disse con un tono estremamente accondiscendente e cortese, appoggiando delle monete d'oro sul tavolo.
Il Cadavere Ardente era una bettola, e pochi erano avvezzi alle buone maniere come Salas la dentro. Pochi erano buoni clienti come Salas, pensò l'oste. "Subito signore" , fu la risposta. "mangiate qui o vi porto tutto al tavolo?"
"Al Tavolo" disse, dopo aver individuato quello che faceva al caso suo. Una posizione dove poteva stare con la schiena protetta da un muro, senza temere di essere accoltellato alle spalle, e da dove poteva tenere sotto controllo tutte le entrate entrate e le uscite.
Cresciuto a Zhentil, la paranoia per lui era una virtù.
Sorrise con calore alla bella e giovane cameriera che gli portò il vassoio con quanto aveva ordinato, e dopo aver ringraziato, iniziò a mangiare lentamente, gustandosi ogni singolo boccone. Le lasciò una ricca mancia, meritandosi un amplio sorriso di gratitudine.
Aveva quasi finito e stava sorseggiando il suo vino del Calimshan, quando vide qualcosa che non gli piacque. La ragazza veniva trattenuta contro la sua volontà da uno zhentilar ubriaco, e due suoi amici ridevano mentre tentava di baciarla.
Il suo viso si indurì, e un sopracciglio si inarcò pericolosamente verso l'alto.
"Ehi, tu..."-disse a voce alta-"...è comportandoti come un maiale che dai lustro alla divisa che indossi?Ubriacandoti mentre sei in servizio e importunando le donne?" Il disprezzo e il disgusto erano quasi palpabili.
"Maiale a chi, figlio di un cane? Fatti gli affari tuoi, se non vuoi che ti spacchi la faccia!" bofonchiò l'idiota adirato.

Figlio di un cane.

Un silenzio di tomba scese nella sala.
Gli occhi degli avventori si puntarono sulla scena. L'oste si allontanò con prudenza dai due.
Salas sbattè con forza la mano sul tavolo, per poi alzarsi e muoversi verso il soldato ubriaco lentamente. Il suo volto era contorto in un gelido sorriso. "Hai detto qualcosa?"
"Sei sordo?"-replicò l'uomo, lasciando andare la donna e rivolgendosi verso di lui con fare bellicoso "Fatti gli affari tuoi figlio di un cane...o ti spacco in due!"
Darkivaron Salas stava in piedi davanti a lui, immobile, con il viso molto pallido, come se il calore avesse abbandonato il suo corpo. "Sto aspettando" si limitò a dire.
"Eh?"
" Su, colpiscimi. Volevi rompermi la testa, sono qui. Provaci se hai fegato. " il tono era tranquillo in modo innaturale.
La freddezza di quelle parole avevano gettato il soldato nella confusione. Si aspettava tutto meno che quella reazione composta.
Sentendo gli occhi di tutti fissi su di lui, sentiva di dover fare qualcosa, o sarebbe passato per un vigliacco e per un buffone... e sferrò un pugno.
Colpì in pieno il bersaglio, che dopo aver sputato un pò di sangue sogghignò, e sussurrò "Sei morto, idiota..."
"Aggressione a pubblico ufficiale...reclamo il mio diritto, secondo la legge di Zhentil Keep, a ottenere soddisfazione...in Arena.", disse a voce alta, con tono più rilassato e cupamente compiaciuto."Ci vedremo li al calar del sole...alla presenza di un magistrato. Non costringermi a venirti a cercare."
Il cadavere ambulante replicò che se voleva morire, lo avrebbe accontentato...ma con molta meno convinzione di prima. Insieme ai suoi compagni, abbandonò la locanda.

Se glielo avessero detto, non avrebbe creduto alla morte lenta e sanguinosa che avrebbe fatto la sera stessa.

La ragazza si avvicinò per ringraziarlo. "Non mi devi ringraziare" -sibilò il suo salvatore in risposta. "Non l'ho fatto per te. Il fatto che un tipo del genere indossi la mia stessa divisa, lo considero un insulto personale. La strapperò dal suo corpo senza vita...costi quel che costi."

Passò qualche ora, durante la quale pattugliò a cavallo la città in lungo e in largo, senza che accadesse nulla di insolito.
Quandò tornò in caserma a fare rapporto, trovò una brutta sorpresa. Laurelion venne a chiedergli consiglio circa un "piccolo" problema.
A quanto pareva, uno dei tre cretini che erano suoi compagni di allenamento, tale Lirkat, aveva ucciso brutalmente una bambina rea del ferimento di un sacerdote, al di fuori di qualsiasi regolare processo...e Lauro gli aveva letteralmente strappato la mascella per questo motivo.
Conosceva da abbastanza tempo l'elfo da capire che non lo aveva fatto di certo per l'indignazione di vedere la legge violata:probabilmente era solo la sua natura elfica che di tanto in tanto riaffiorava.
Mentre ascoltava, socchiuse gli occhi, meditabondo.
La bambina sarebbe morta comunque, era giusto. Ma Lirkat era solo una recluta, senza alcuna autorità...aveva osato troppo.
Simili uomini, che non sapevano stare al proprio posto e rispettare leggi e gerarchie, erano l'anello debole della catena che cingeva la città proteggendola...e andavano eliminati.
Ma neanche l'atto di Lauro era esente da colpa, anche se minore,e nonostante Darkivaron trovasse per certi versi divertente il pensiero di Lirkat che si agitava spasmodicamente senza mascella, tutta la faccenda lo irritava notevolmente.
No, Laurelion non aveva mostrato molta più disciplina.
Ma aveva mostrato di avere spina dorsale, e questo era ancora meglio agli occhi dello Zhentilar.
Soldati disciplinati, ma senza midollo, sarebbero stati solo una massa di pagliacci.

Dopo aver riflettuto un pò, disse:“Come tu stesso hai affermato la recluta Lirkat è rea di omicidio e, per aver ostacolato un indagine e aver scavalcato l’autorità di un magistrato, passabile per ostacolo alla giustizia.” Fece una pausa.
“Se sopravviverà a quanto gli hai fatto, perderà il resto della testa sul ceppo”Lauro rimase a fissarlo inespressivo. Forse la morte della bambina lo aveva scosso un pò troppo, dopotutto. Non c'era da stupirsene, un pò dispiaceva anche a lui...ma era inevitabile.
“Tu sei comunque reo di aggressione, e dovresti scontare un giorno di carcere e pagare una multa...ma considerando che hai reagito ad un assassino di infante e ad una mancanza di rispetto verso l’autorità di Zhentil, probabilmente il magistrato ti commuterà la pena in due settimane di servizi extra alla caserma”
“Si signore”
Darkivaron distolse lo sguardo e fece un gesto irritato col taglio della mano. Come detestava i disordini!
“Puoi andare”
Senza aggiungere altro l’elfo uscì dalla stanza.

Come di consueto, finito il suo turno, si recò nuovamente al cadavere per bere qualcosa e fare una "chiacchierata", con il suo Capitano Erotaroda.
Rispettava molto il suo capitano, e gli era estremamente fedele, sebbene fosse convinto che quest'ultimo non avrebbe esitato ad ucciderlo se lo avesse realmente deluso in qualcosa.
''Mi hanno riferito quello che è successo oggi, soldato. Non mi è affatto piaciuto quello che ho sentito.''.disse con tono burbero Imoden'id Erotaroda
''C'è stata una grave mancanza da parte di una recluta... con conseguente aggressione e rissa. Ti sembra una cosa accettabile che due reclute dell'esercito si scannino pubblicamente in città?''.
''No, signore.''
fu la replica.
Ne tantomeno due Zhentilar, signore, pensò dentro di sè, ringraziando il fatto di aver mantenuto il controllo con il suo aggressore in modo da far ricadere la colpa di tutto su di lui.
''Neanche a me. Ebbene, non mi sembra il caso di ribadire i soliti concetti che ho già ripetuto più volte... ad ogni modo, sarò breve. Parlate con le reclute che io vi ho affidato, soldato. Parlategli nuovamente dei comportamenti che bisogna tenere in situazioni simili.''
Rispose con la sua formula consueta:"Sarà Fatto, Signore."
Imoden si alzò in piedi, e con uno sguardo e un tono quasi caritatevole esclamò:''Se fallirete nel vostro intento, la vostra testa ornerà le mie stanze, ve l'ho già ripetuto più volte.. ma non mi stanco mai di dirlo.''
Sorrise esprimendo al tempo stesso sadismo e una bontà autentica quanto quella di un goblin.
Eseguito il saluto Zhentilar, e ottenuta immediata risposta, il capitano uscì dalla locanda.
Già, la testa.
Quella minaccia era sempre in agguato. Si massaggiò il collo.
Niente di peggio che una morte sul ceppo, nella vergogna.
Decise che dal giorno seguente avrebbe intensificato gli allenamenti.
Abbandonata la locanda, si recò a deporre all'udienza di Lauro...dopodichè chiese al magistrato di seguirlo in arena, a testimoniare la regolarità del duello che aveva giurato di sostenere.
Poco dopo il calar del sole, era di nuovo a casa, dove Astio lo attendeva miagolando a più non posso...

Edited by Darkivaron - 22/3/2007, 15:49
 
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Stevenus McSion
view post Posted on 22/3/2007, 11:27




Mattino, ore 8 a.m. circa...

Una piccola folla s'era addensata nei pressi del centro cittadino di Baldur's Gate, attirata da un curioso manifesto affisso alla bacheca.

>> WANTED! <<


Col presente editto si notifica che il sedicente bardo Stevenus McSion in arte Cavalier Buffone (titolo tra l'altro autoconferito e di dubbia veridicità, per cui è in corso relativa inchiesta), è RICERCATO nelle seguenti città:

-Baldur's Gate
-Waterdeep
-Candlekeep
-Adbar
-Halruaa
-Calimport
-Suzail
-Zhentil Keep

Per atti infamanti e lesivi alla comunità che verranno esposti in fase di processo, si impone a tutte le guardie cittadine di fermare a vista qualsiasi sospetto corrispondesse all'identikit fornito e disegnato di suo stesso pugno da tale Swift Jamie, rispettabile e affascinante cittadina di Baldur's Gate.
Si invitano altresì i cittadini delle città interessate e chiunque avesse rispetto per la legge, di informare immediatamente le guardie qualora ci s'imbattesse nel suddetto bardo.

L'ultimo avvistamento del criminale è segnalato presso la Locanda del Braccio Amico dove, non soddisfatto della sua già critica posizione penale, è stato denunciato per atti osceni, molestie e goliardia infamante ai danni del rispettabilissimo conestabile di Baldur's Gate, tale Arcibald Hengwareth, per riferimenti diffamatori nei confronti delle grazie di sua sorella, della quale non potrebbe/dovrebbe conoscere alcunché, almeno in teoria.
I governi associati hanno deliberato l'istituzione di una forza speciale, le Guardie Consociate, di cui fanno parte volontari di tutte le città interessate. Sono stati inoltre implementati dei posti di blocco ai principali crocevia, ma soprattutto alle frontiere nordiche, dove pare il lestofante possa essersi rifugiato col compiacere di qualche tribù barbarica. Si sospetta inoltre che sia in combutta con una nota banda di banditi drow e che abbia una relazione illecita e immorale con il loro capo, tale Nil-Garil detto l'Inalberato.

Ricordate: è armato e pericoloso, soprattutto per le dame (alle quali si raccomanda la massima prudenza). E' abile nel camuffamento e nella modulazione della voce, ma è facilmente riconoscibile per il liuto, da cui non si separa mai, e per l'olezzo d'Essenza di Rosa Appassita, di cui è avido utilizzatore.


Sir Jules Shonzo
Comandante ex tempora delle Guardie Cittadine Consociate



Un vociferare confuso e incredulo, il popolame si consultava vicendevolmente per venire a capo di tali dichiarazioni, quasi vi fosse un nodo incomprensibile da sciogliere. Ma soprattutto la domanda, sempre la stessa, che veniva ripetuta in continuazione da chiunque:
"Chi diavolo è questo Stevenus McSion?"


Mezzogiorno circa, nei dintorni del porto...

Una figura furtiva si muoveva circospetta per non essere notata, tutti coloro che la vedevano si chiedevano che cosa mai avesse da nascondere, se era una ladra e per quale motivo cercava di sembrare normale seppur vestita d'un manto nero e a volto coperto, guardandosi attorno ad ogni incrocio. Alla fine tutti convennero che fosse semplicemente un ubriacone e lo ignorarono.
Jamie bussò a una porticina e porse il cestino che teneva sotto il manto.
"Ti ha seguito qualcuno?" chiese la voce all'interno.
Lei si guardò dietro: "No, mi sono mimetizzata"
"Entra"
La barda sgattaiolò nell'abitazione, che in tempi gloriosi fu un centro di raccolta per pesce avanzato ai mercati che i baldurani vendevano ai barbari sovrapprezzo. Si sedette sull'unico sgabello, mentre Steve frugava nel cestino.
"Allora" fece lei "adesso mi spieghi cos'hai combinato?"
"Non posso" Steve raccolse un panino e lo addentò famelico "mfgna gmrtt bmbmrgh..."
"Non parlare con la bocca piena, è ineducato e mi fa pure schifo"
L'altro deglutì: "Scusa... dicevo che non sarebbe saggio, ci sono troppe informazioni che potrebbero scatenare una rivoluzione tale da sconvolgere l'intero corso delle nostre consuetudini, senza contare che ci farei la figura del pettegolo chiacchierone e rischierei serie ripercussioni morali e magari pure fisiche"
"Hai detto tutta questa roba?"
"Ho un'ultima cortesia da chiederti. Vai alla taverna e non appena vedi Mia dille che 'La gatta pizzica', lei capirà?"
"Sicuro?"
"Certo!"


Più tardi, alla taverna di Baldur's Gate...

"Che accidenti vuol dire?"
"Lui era certo che avresti capito..."
Mia si grattò il mento con aria perplessa: "Ha tutta l'aria di un messaggio in codice..."
Jamie si portò una mano alla bocca, sorpresa: "Steve è un agente segreto?!"
"Non ho detto questo..."
Improvvisamente uno stuolo di guardie irruppe nella taverna, un uomo enorme e nerboruto fece passi pesanti verso la barda e le urlò:
"Cittadina Jamie Swift, vi dichiaro in arresto per favoreggiamento nel nascondere il criminale Stevenus McSion!"
"Ommamma! No! Sono innocente!"
"Non mentite, vi hanno visto stamane mentre vi aggiravate nei pressi del porto con un cesto sospetto..."
"Non vale, mi ero camuffata!"
"Arrestatela! E voi..." rivolto a Mia "Che cosa vi stavate dicendo?"
"Posso sapere con chi sto parlando?"
"Io sono il Comandante Jules Shonzo: in che rapporti siete con quella donna e col ricercato?"
"Attualmente frequentiamo la stessa taverna: è un reato?"
"Vi tengo d'occhio..."
Le guardie trascinarono via una Jamie urlante e piangente, sotto gli occhi attoniti degli astanti.


Pomeriggio

Una figura furtiva e dal volto coperto da un cappuccio si aggirava nei pressi del porto, nessuno le fece particolarmente caso e poté entrare indisturbata nel rifugio di Steve. Il bardo stava sonnecchiando e al rumore della porta trasalì: "Che accade?"
"Stai calmo" Mia si levò il cappuccio e gli fece cenno di abbassare la voce.
"Che ci fai qui? Eravamo d'accordo di non vederci per qualche giorno"
"Hanno arrestato Jamie"
"Oh, no! Non è riuscita a darti il mio messaggio in codice?"
"Sì, ma non ho capito che cosa volesse dire"
"Scusa, eravamo d'accordo che in caso di necessità ti avrei mandato una comunicazione cifrata"
"Sì, ma se non ci accordiamo prima come accidenti faccio a sapere che vuol dire 'La gatta pizzica'?"
"Non fa una grinza"
"Ma che grinza! Seriamente, Steve, con tutta questa storia sono preoccupata per la tua salute mentale"
"Er... cosa facciamo con Jamie?"
"Considerato che è tutta colpa tua, adesso vieni con me al tribunale e racconti tutto"
"Non posso, e se mi arrestano?"
"Devi raccontare come sono andate le cose: non vorrai mica che Jamie stia in galera per causa tua? Andiamo, non sei il tipo che permetterebbe una cosa del genere!"
Steve ci rifletté sopra, poi strinse i pugni: "E va bene, non posso permettere che la piccola Jamie soffra per me. Mi hai convinto: andiamo da quello Shonzo!"


Poco più tardi, tribunale di Baldur's Gate

"Imputati in piedi. Imputati seduti. Presiede la corte il conestabile Archibald Hengwareth"
Archibald entrò nella sala, era visibilmente furibondo e trovarsi davanti a Jamie e Stevenus contemporaneamente gli peggiorò l'umore.
"Premesso" esordì sedendosi "che non ho nulla di personale contro voi due scellerati, adesso esigo spiegazioni. Stevenus McSion, siete accusato di atti osceni e di ingiurie, tralascerò che hai insultato mia sorella, soprattutto per il fatto che non ne ho nemmeno una, ma ora è il momento di parlare. Qual è la vostra versione?"
"Aehm, messer conestabile, sia beninteso innanzitutto che nel momento in cui offesi vostra sorella non ero in grado di intendere e di volere, essendo stato costretto a ingurgitare venti litri di digestivo barbaro, molto alcoolico. Inoltre non trattavasi di offese, ma avendo qualcuno chiestomi cosa pensavo di voi io gli risposi semplicemente che preferivo vostra sorella. Non vi sono state ingiurie, su questo posso dare la mia parola d'onore"
"E per quanto concerne gli atti osceni?"
"Giustappunto... eh... trattasi di una materia alquanto complessa che richiede una digressione. Dovete sapere che da un po' di tempo mi diletto in cucina alternativa, nella fattispecie pietanze, come dire..."
"Afrodisiache" intervenne Mia sopraggiungendo in sala "Domando scusa per l'interferenza, ma visto che sono parzialmente coinvolta, prendo le difese legali dell'imputato"
Archibald era visibilmente incuriosito: "Va bene. Dunque, Stevenus, ora vi dilettate in cibi afrodisiaci?"
"Beh, messer conestabile e giudice e... eh, insomma messer tutto, un uomo si arrangia un poco come può..."
Mia sospirò e rivolta ad Archibald: "Sostituire 'uomo' con porco... Col dovuto rispetto, conestabile, procederei con la versione dei fatti da parte dell'imputato"
"D'accordo. Stevenus, parlate"
"Beh, ecco, ci tenevo tanto a far assaggiare a Mia un piatto da me preparato con tanto amore disinteressato..."
"Disinteressato, sì..."
"... così mi son fatto spedire da un amico questa ricetta e ci sono stato dietro una giornata intera. A cose fatte le ho offerto il risultato e..."

>> I RICORDI DI STEVE <<


Mia scosse la testa sconsolata: "Conestabile, se permettete vi racconto più specificatamente com'è andata..."
"Vista la situazione e il soggetto acconsento"

>> I RICORDI DI MIA <<


"Per digerire quella roba è stato costretto dal mio fidanzato a ingurgitare del digestivo barbarico, che ha poi avuto ovvii effetti collaterali, da qui il malinteso. Conestabile, s'è trattata semplicemente di una circostanza poco fortuita dovuta a un gesto molto... imbranato"
Steve sbuffò: "Era più bella la mia versione"
"Silenzio!" Archibald era visibilmente contrariato "E' evidente, a questo punto, che non vi sono azioni lesive volontarie verso la comunità, ma ciò non toglie che quello che hai fatto ha arrecato un certo disturbo. Pertanto lascio cadere le accuse di ingiurie e ritiro l'ordine di arresto, non considerandoti un pericolo per la città, ma..."
"Grazie conestabile, grazie! Voterò per lei! Giuro! Forse..."
"Silenzio! Ma, dicevo, mantengo l'accusa di atti osceni e pertanto ti condanno a un mese di lavori sociali che dispongo nel ramazzare il centro cittadino due volte al giorno, recuperare e smaltire l'immondizia, accompagnare gli anziani al tempio e all'occorrenza far loro la spesa. Dispongo inoltre che per la durata della condanna non ti venga fornito alcun genere di bevanda alcoolica, se verrai sorpreso ubriaco verrai esposto alla pubblica gogna"
"Conestabile, era meglio la galera..."
"Così ho disposto, la seduta è tolta e... Stevenus"
"Sì?"
"Morirei divorato da un balrog piuttosto che accordarti la cittadinanza"
"..."


Sera, taverna di Baldur's Gate

"Aaaaaccidenti! Potreste almeno smettere di brindare?"
Mia e Jamie riposero i boccali e la barda gli sorrise: "Eddai, festeggiamo la buona riuscita del processo!"
"Macché buona riuscita: niente birra per un mese e mi toccherà accompagnare i vecchi in giro per la città, senza contare che sarò costretto a lavorare"
"La prossima volta" disse Mia "starai attento a non fare stupidaggini... che razza di imbranato..."
Jamie alzò le spalle: "Beh, è stata una giornata movimentata, ma sono contenta che sia finita"
Steve sorrise: "La notte è giovane, tutto può accadere..."
Le porte della taverna si spalancarono di colpo, un drappello di guardie entrò con il comandante Shonzo in testa.
"Stevenus McSion!" esordì "Ti dichiaro in arresto per vandalismo!"
Mia strabuzzò gli occhi: "Che ha fatto?"
"Ha spento la forgia cittadina con ripetute secchiate d'acqua, un mese di gattabuia non glielo toglie nessuno... prendetelo!"
Le due donne si voltarono a guardarlo mentre veniva ammanettato, Jamie era incredula: "Ma... Steve, perché lo hai fatto?"
"L'avevo detto che al lavoro preferivo la galera" strizzò un occhio "ci vediamo tra un mese"


La morale, amici miei, è che piove sempre dove hai già lavato.
Buonanotte.
 
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17 replies since 19/3/2007, 16:13   903 views
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