Faerûn's Legends

Sul filo della moneta

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view post Posted on 29/8/2016, 18:08
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Il vortice ai confini dell'Universo

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Recleffone



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Quante cose cominciano con uno sguardo?

L'incrocio di occhi innamorati, lo scarto di una pupilla fra predatore e preda, il fare i conti con se stessi nel riflesso di un fiume...

Lo sguardo che per me invece decise tutto, fu quello che posò su di me Gorlin Hammershield in quella bettola di Luskan, due occhi severi ed invincibili.
Ero abituato alle botte, mi ci guadagnavo da vivere, sai...no?
Fai scoppiare una rissa ed un socio si prende la briga di ripulire dove c'è oppurtunità.
E insomma...facevo fruttare tutto l'addestramento alla battaglia che ricevetti in quel di Suzail.
Gorlin invece mi fissò impietoso, fermo, un blocco di marmo che gridava nel suo silenzio che aveva già compreso cosa volessi fare. Il suo sguardo esprimeva disprezzo con una vena di compassione...
Fu per quello che mi lanciai con l'intenzione di ucciderlo; non era da me.

Persi il molare destro della mandibola in quella notte.
Non ricordo molto di ciò che accadde dopo, ma era chiara come un faro nella tempesta la frase che quella dannata barba mi rivolse prima di spegnermi la vista: "tutto qui quello che sei, ragazzo?".

Quello che sei, non chi sei. Chi sei non ha importanza. La capacità che abbiamo di mentire è in grado di farci distogliere l'attenzione dalla verità, da quello che veramente siamo.
Fatto sta, che nonostante fossi ancora mezzo acciacciato, decisi di non farla passar liscia a quel nano bastardo, non prima di avergli gridato che non aveva alcun diritto di giudicare, lui che non sapeva niente!

Sfortunatamente scoprii che il tozzo ometto dalla barba rossa, assieme ai suoi cugini, era partito alla volta di Mirabar alle prime luci dell'alba.
Alzai lo sguardo e vidi il sole a picco nel cielo. Bene, avranno solo una manciata di ore di vantaggio, pensai.
Raccolsi tutto quello che avevo, pane secco e qualche galletta, m'avvolsi dentro alcune pellicce e partii con l'intenzione di raggiungerlo.
Dopo appena due ore di cammino, compresi che era proprio vero il detto sulle apparenze che ingannano: quelle gavette su due gambe andavano dannatamente spedite e non l'avrei raggiunti così rapidamente come pensavo all'inizio.
Mi fermai. Erano chiare le scelte possibili: tornare indietro o proseguire.
Che assurdità, dopotutto una valeva l'altra, nessuna aveva davvero importanza.

Fu così che rivolsi, per la prima volta, come un naturale istinto, tutta l'attenzione a quella moneta di rame che presi con me quando partii, che credo di ricordare da sempre, dal tempo in cui gli occhi di un bambino gioivano dello sfarfallio di una moneta nell'aria che quella montagna dal sorriso buono lanciava sempre, per farti sorridere.

In quell'attimo non afferrai la profondità del momento.
Croce si torna, testa si va.
La lanciai.

Testa...

Mi piace pensare che fu la prima volta che Tymora mi diede una piccola spintarella verso la giusta direzione.


Edited by Kralizec - 9/6/2017, 16:50
 
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view post Posted on 22/9/2016, 12:02
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Più passa il tempo qui in città, più non posso fare a meno di ricordare il passato.
Sovrappongo la mia immagine attuale a quella di uno sperduto ragazzo nel nord del mondo e mi viene da sorridere. Sistemo le asce al fianco e chiudo la casacca, appuntandomi il grado che ho ricevuto ieri notte.
"Bevi Spadaccino Shezaar, ricordati di Pomos ed onora il Cormyr, Eroe".
Così, semplicemente, Strongstag ha deciso di promuovermi nonostante fossi andato da lui per far ammenda dei miei errori.
Che la promozione sia parte del castigo?
Alla fin fine mi tocca pure accollarmi la tua eredità, vecchio Pomos...

Brindammo così in onore dell'ex Capitano di Spada del 92° e dopo parecchi anni, sentii nuovamente quella sensazione che mi ero promesso di non riprovare. Il liquore-infiamma budella-scese fin nello stomaco ed incredibilmente, di tutta quell'agitazione che m'attendevo, non rimase che il nulla.
Se questa volontà è salda e senza ombre, lo devo di certo alla sorte, che nei suoi giri ti porta inevitabilmente dove non ti aspetti...

Avevo deciso di seguire Gorlin.
Ci misi tre giorni interi di marcia per intravedere Mirabar all'orizzonte.
La cittadella era in continuo fermento, uomini e nani e comignoli che rimandavano una fragranza solforosa tutta attorno.
In quel miasma era difficile trovare il barbuto rosso, anche perchè tutti quei nani assieme sembravano identici. Sguardi dubbiosi si posarono su di me, dopotutto quegli uomini in città non erano come me, erano palesemente originari della Valle e un ragazzotto del sud come me non passava inosservato.
Fu così che invece di trovare io il nano, fu Gorlin a trovare me. proprio mentre infilavo le mani sotto un carretto pieno di formaggi stagionati in un magazzino poco distante dalle forge di città.
Fui attorniato da lui e da circa una decina di nordici ed altrettanti nani.
-Sono fottuto, bene- fu l'immediato pensiero.
-Cosa ci fai qui?-, mi riconobbe immediatamente. Arrivati a quel punto, senza aver nulla da perdere, gettai indietro il cappuccio e gonfiai il petto, raccogliendo tutto l'orgoglio che mal cozzava con l'immagine di un ragazzotto trasandato e sudicio, -Sono qui perchè mi devi rispetto!-
Tutta la gente attorno scoppiò a ridere, -Guardati ragazzo, fai fatica persino a reggerti in piedi- In effetti era vero, non solo per la malnutrizione, ma erano già 4 giorni che non bevevo un goccio e l'astinenza cominciava a reclamare il suo pegno, ma non volevo dar loro alcuna soddisfazione, -Non mi fai paura! Fatti sotto!-
Gli occhi dorati del nano dalla barba rossa cambiarono immediatamente ed il peso di quello sguardo, mi fece sentire piccolo piccolo, ma ancora ostentai: petto in fuori, occhi miei nei suoi.
-Il rispetto è qualcosa che non si dona, ma si guadagna- Fu così che sganciò un'ascia dalla schiena, posandola su un banco.

waraxe

Vai sui monti a nord e portami la pelliccia dell'Orso bianco. A questa richiesta, il vociare attorno aumentò, tutti che scommettevano sulla mia morte e nel modo in cui l'orso bianco mi avrebbe divorato. Tutti che lo chiamavano "L'orso" e non un orso. Capii allora che non si trattava di un orso a caso, ma probabilmente del dominatore delle montagne. L'istinto mi gridava con forza di fuggire, ma non potevo scappare da quegli occhi.
Raccolsi l'ascia e la saggiai in mano. Non era di certo l'arma che mi era più congeniale, ma non battei ciglio. Ormai non potevo tirarmi indietro.
Il nano si mise ad abbozzare su una pergamena il percorso che avrei dovuto seguire per raggiungere la montagna dell'Orso. Mi diede qualche razione di cibo, acqua ed accennò con un'otre pieno di acquavite.
Allungai tremolante la mano per afferrarla (ed era tutto il corpo a volerlo) ma all'improvviso, quando le dita si avvolsero attorno al cuoio e sentii il liquido agitarsi alla presa, Gorlin fece un sorrisino.
Le dita si aprirono e mi voltai.

In quel momento decisi di non bere fino a che non fossi tornato vincitore...


Edited by Kralizec - 9/6/2017, 16:55
 
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view post Posted on 16/2/2017, 17:39
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Il vortice ai confini dell'Universo

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I detti vengono sempre a galla quando la realtà aderisce pienamente al concetto che vuole esprimere.
Fu così che compresi per la prima volta cosa significa "fra dire e il fare v'è di mezzo il mare", ed il mio, era un mare di neve e vento gelido che non sembrava voler mollare la presa sul mio corpo.

Non ricordo neanche per quanto salii, ma avanzai imperterrito, quasi per inerzia, reagendo ai tremori che m'attraversavano.
Se fossero a causa del gelo o della sete cronica che offuscava il pensiero come una nebbia, non saprei dirlo con certezza, tuttavia so che se non avessi trovato un solco all'interno di una quercia, forse ora non potrei neanche rimembrare quella terribile scalata.
Mi gettai dentro e mi lasciai andare, stremato e sull'orlo del tracollo.

Ricordo che feci uno strano sogno quella notte: ero in piedi sull'orlo di un baratro dove pendeva una fune dinnanzi a me, proseguendo sul vuoto, andando ad inghiottirsi nella foschia.
Un piede sulla fune e dopo qualche passo, la caduta...
Fortuna che nei sogni non si muore, e fortuna che il risveglio mi salvò dall'assideramento certo!
Ancora adesso non so cosa mi spinse a non lasciarmi andare.
Non avevo molto dalla mia se non la volontà di tener fede alle spavalde dichiarazioni a Mirabar, ed in quel momento la crisi d'astinenza sembrava divorarmi da dentro, eppure, non mi arresi.

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L'incavo divenne un ventre materno, crudele, ma accudente.
Accendevo il fuoco poco fuori per scaldarmi e mangiare qualche galletta e poi tornavo a dormire.
Chissà se gli ululati che accompagnarono quei giorni erano reali, oppure erano il verso dei miei demoni interiori...
Giorno e notte si susseguirono in ordine sparso.
La realtà che percepivo era un'enorme confusione fra dentro e fuori, come se fossi in crisalide e non capissi che forma stavo assumendo.

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Poi una mattina, mi svegliai con qualcosa di diverso dal solito.
Ero debole, affamato, ma una cosa era certa: la mano....era ferma.
Dopo così tanto tempo, finalmente, non potendo rifugiarmi nel bere, accadde una cosa di cui avevo davvero bisogno: piansi tutte quelle lacrime che finora erano sigillate nell'inconsapevolezza di quel che provavo davvero.

Piansi per quello che avevo perso, piansi per la mia debolezza..
Piansi singhiozzando senza sosta, fino a che, dalla tasca, cadde lei, la moneta di rame, la Sua moneta.
Mi calmai, focalizzando l'attenzione sulla sfida che ero venuto a sostenere: la battaglia con l'orso.
Era chiaro però che in quelle condizioni non ce l'avrei mai fatta.
Stringendo l'ascia, ragionai sul da farsi e quel pensiero mise in moto i ricordi legati a tutti quegli anni di addestramento, quelle sessioni noiose che tutti i giorni dopo cena mio padre mi costringeva a sopportare.
Seguii i ricordi e cominciai ad allenarmi, saggiando l'ascia e le sue possibili traiettorie.
Era un'arma decisamente diversa da una spada.
Ricordo che mio padre diceva che "uccidere di punta non ha stile", per questo mi insegnò a giocare con il filo della spada e sulle sue possibilità.
Ma un'ascia non segue le stesse dinamiche di una lama.
Passai giornate intere a riflettere, provando varie combinazioni, prendendomela con qualche albero, mangiando qualche ghianda qua e la, razionando il poco cibo che avevo.
Dopo una settimana, dovetti per forza abbandonare il rifugio per procurarmi da mangiare, se non volevo morire, e di tornare indietro non se ne parlava.
Che figura avrei fatto?
Sentivo dentro di me il desiderio di farmi lodare da Gorlin, ed avrei dimostrato a tutte quelle facce irridenti quello che sapevo fare, io: Reclef Shezaar, figlio di Harald Shezaar!

Quanto è facile rifugiarsi dietro le parole.

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I giorni passavano ed ormai ero diventato abile nel sopravvivere alla montagna.
Imparai a capire quali erbe erano commestibili, quali no ( rischiando spesso di morire intossicato ) ed ogni tanto riuscivo a scovare qualche leprotto, ma dell'orso, nessuna traccia.
Di notte, i lupi si facevano vivi, ma conscio di ciò, escogitavo sempre un giaciglio sopraelevato, legandomi spesso a dei tronchi d'albero.
Non potevo di certo rischiare di finire sbranato.
In un certo senso, la montagna divenne il mio maestro...

Dopo un mese abbondante senza avvistamenti, cominciai a sospettare che forse mi avevano preso in giro, ma gli occhi di Gorlin non erano quelli di qualcuno che mente, no.
Era serio, dannatamente serio.

Perseverai, continuando la ricerca e alla fine, un pomeriggio come tanti altri, lo intravidi oltre un bosco di conifere: da una piccola grotta sul crinale ovest, spuntò un gigantesco orso bianco.
Sarà stato alto due metri sulle quattro zampe e forse quattro se si fosse messo sulle due: bene, pensai.
Ed ecco che in quel momento tornò vivida, presente come non mai, la paura che portava con se tutta quella vita stagnante, affogata nel vino.
Ero davvero così piccolo e misero?

Si, lo ero, lo sono, lo siamo, ma cosa altro potevo fare?

Era chiaro che davanti a me avevo solo due vie: fuggire e dimostrare d'esser il piccolo cagnaccio che ero, oppure andare ed affrontare la bestia per cui ero li da più di 50 giorni.
Due possibilità, due facce, una moneta: Testa.
Dimostrarsi deciso quando Tymora decide per te non è così semplice come sembra, eppure, non esitai un secondo.
Dopotutto bisogna pure aver fede in qualcosa.
La mia fede era quella moneta, che azzardo...

Riuscii quasi a specchiarmi negli occhi di quell'orso mentre ci studiavamo a vicenda.
Serrai le dita sull'impugnatura dell'ascia e l'alzai all'altezza del viso, muovendomi piano, a circa sei metri di distanza dall'enorme ammasso di muscoli e pelo.
Furono attimi sospesi dal tempo, dove un uomo può cercare il significato della propria vita....o della propria morte.

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Un ramo appesantito dalla neve cedette al peso, ed il tempo liminale divenne un presente dannatamente reale.
L'orso si gettò verso di me a piena velocità caricandomi a testa bassa.
Con mia grande sorpresa, la paura ed il timore sembravano ancora stagnanti la, nel tempo sospeso, così riuscii ad evitarlo per un soffio, scattando di lato con una rapidità che non ricordavo nemmeno di possedere.
Per due volte vi riuscii, fino a che l'orso non cambiò approccio, avvicinandosi lentamente.
Sapevo che non sarei potuto scappare ed allora le parole di mio padre tornarono vivide "non perdere mai l'iniziativa".
Già, non potevo permettergli di prendere il tempo per l'attacco, così fui io a scagliarmi verso di lui.
Scattai in avanti, scartando prima a destra, poi a sinistra, stringendo l'ascia con entrambe le mani, puntando alla zampa posteriore: che errore.
Non appena fui alla sua portata, l'orso menò una zampata terrificante, colpendomi su un fianco.
Gli artigli ricurvi si conficcarono nel costato, ma riuscii contemporaneamente a piantargli l'ascia nella zampa.
Il colpo mi fece sbalzare per qualche metro, lasciando una scia di sangue sulla neve.
Il terribile urto ed il dolore della lacerazione mi fecero mancare il fiato per qualche secondo.
Potevo udire l'orso lamentarsi e con sforzo immane, mi girai per osservarlo.
Era furioso e con le zanne staccò l'ascia dalla zampa, mentre il sangue imbrattava il suo chiarissimo pelo bianco.
Provai ad alzarmi, ma le gambe sembravano non avere manco la forza per mettermi a gattoni.
L'orso zoppicava e lentamente, si avvicinava al mio corpo prossimo al dissanguamento.
Senza arma e in quelle condizioni, cosa potevo fare?
Lo guardai avvicinarsi e l'ombra della morte mi avvolse lentamente.
Il corpo era freddo, le palpebre pesanti...
Quando chiusi gli occhi, pensai che morire così, mi andava bene dopotutto..
Sorrisi, o credetti di farlo, poi...
Il Buio.



Edited by Kralizec - 9/6/2017, 21:45
 
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view post Posted on 5/3/2017, 12:31
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Quanto tempo rimasi sospeso fra la vita e la morte, non so dirlo.
Galleggiando in quel mare scuro, si susseguivano delle immagini, persino ricordi, ed uno di essi era così nitido che pareva fossi davvero li:


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Eravamo io e mio padre, seduti sulle rive del Chondath, in silenzio.
Era stata una mattinata particolare, avrò avuto più o meno dieci o undici anni.
Ricordo che ero incazzato come non mai con lui.
Per l'ennesima volta si era dimostrato un codardo!
Eravamo andati in giro per la città a fare compere ed avevamo incontrato alcuni suoi commilitoni. Ricordo perfettamente quel loro sguardo superbo, divertito e crudele.
Tutte le volte così.
Lo deridevano perchè lui era Harald, la feccia, il ragazzo del porto che si era arruolato nell'esercito. Una scelta inusuale per chi, come lui, era cresciuto ai margini della legalità.
Anche quando lo schernivano, lui proseguiva, senza dar loro peso, con una semplice fierezza che all'epoca non potevo comprendere.
Provavo rabbia perchè sapevo quanto valeva.
Oltre ad addestrarmi, lo osservavo allenarsi da solo ed una volta ero persino presente quando atterrò tre briganti con una facilità disarmante, ed invece nessuno riconosceva il suo valore.
Pareva che non gli desse manco fastidio.
Persino i suoi vecchi amici del porto lo avevano abbandonato.
Figuriamoci! Come potevano fidarsi di un traditore?!
Nonostante questo, non lo vidi mai una volta lamentarsi o pentirsi della sua scelta.
Anche mia madre non batteva ciglio su questa faccenda.
Lei, Lavidia Weight, figlia di Starkemar Weight, una delle Prime Spade del 19°.
Scelse mio padre, preferendo l'amore all'agio economico.

Sulla riva del fiume, osservando lo scorrere dell'acqua, meditando proprio su queste cose, mio padre d'un tratto aprì bocca:

" So perchè sei arrabbiato. Mi credi un debole."

Mi girai a guardarlo con attenzione. Non era tipo da lasciarsi andare a simili discorsi.

" ...ti ho mai raccontato la storia di Zrailong, il Drago a due Teste? "

Rimasi in silenzio, intedetto da quella domanda ed allora continuò il racconto.

" Zrailong nacque con due teste: una in grado di vedere il futuro, l'altra il passato.
Una feroce, l'altra compassionevole.
Si dice che la prima volta che incontrò gli umani, secoli e secoli fa, era incerto sul da farsi.
Una testa voleva mangiarseli in un sol boccone, mentre l'altra provava pietà per quei piccoli esseri.
Le due teste cominciarono a litigare, continuando ad inveire l'una contro l'altra, e si narra che il loro battibecco lo si possa udire ancora oggi, fra le pieghe del vento che grida nella tempesta."


Tacque, osservandomi.
Non capivo dove volesse andare a parare.

" Vedi Rec, io sono come Zrailong.
Non posso decidere fra violenza o pace, non posso decidere quale sia il bene o il male.
Sono entrambi e nessuno dei due...come questa."


Con una schicchera mi lanciò una moneta di rame.

"...non sceglie se esser testa o croce, è semplicemente quello che è: una moneta".

Poi si alzò, stagliandosi in controluce.
Fu la prima volta che notai quanto fosse grande la sua schiena...
Lo osservai allontanarsi e volevo seguirlo, ma non riuscivo ad alzarmi.
Tesi le mani a raggiungerlo...

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" Padre!"

D'improvviso le stelle della notte sopra di me e lo scoppiettio della legna che ardeva nel falò, mi portarono alla realtà.
Avevo la gola secca ed il fianco bruciava da morire.
Dove diamine ero finito?

"Ah, ti sei svegliato finalmente....Ragazzi! E' vivo!"

A malapena riuscii a distinguere il volto della sagoma in piedi che mi stava parlando.
Aveva degli strani occhi affusolati e delle orecchie a punta.
Provai a mettermi seduto, ma scoprii di non aver abbastanza energie per farlo.

"...calmati, devi rimetterti in forze o non sapremo come venderti!"

Una risata diabolica proveniva da quella figura quasi aggraziata.
Vidi l'ascia a poca distanza da me, assieme al resto delle mie cose.
Nonostante il dolore, mi avventai su di essa, o almeno, credetti di farlo...
La figura si mosse rapidamente, consegnandomi le nocche sul mento.
Mentre ripiombavo nell'incoscienza, sentii la stessa voce..

"...diamine che tipo, stavo scherzando.."

Fu questo il primo incontro con Ghersh.



Edited by Xatax FL - 16/7/2018, 19:13
 
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view post Posted on 7/6/2017, 20:03
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Il Lord Maresciallo Sthavar lo osservava allontanarsi da Castel Dragone.
Difficile capire cosa passasse nella mente del comandante dopo quella lunga chiacchierata.
Di certo vi era una sorta di rispetto verso quel Cavaliere
che sembrava guidato da un forte senso del dovere:

Dal momento stesso in cui varcò il cancello,
Reclef Shezaar era sollevato dai suoi incarichi verso il 93° plotone,
venendo assegnato alla guarnigione delle Terre di Pietra,
con il compito di aiutare il più possibile il Barone Philip Barden.

Trovarsi in quella situazione non era una cosa nuova per Reclef, anzi,
ogni giro di boa del destino era una benedizione che lo metteva alla prova,
portandolo a conoscere nuovi lati di sé stesso.
Solo che stavolta erano in gioco questioni più importanti della sua personale etica.
Sapeva di dover agire nel rispetto di tutto quello che era accaduto in quegli ultimi tre anni di vita.
Lo aveva capito chiaramente il giorno che avevano eretto quella statua con inciso il suo nome.
Ormai ciò che rappresentava, andava oltre la sua volontà, oltre la sua persona: era un Simbolo,
qualcosa che sarebbe potuto sopravvivere anche dopo la sua morte.
(Certo, poi c'era anche il piano che avevano messo a punto in mesi e mesi di riflessioni con Phil
e Ralas, ma questa era un'altra storia...)


Mentre sgomberava le cose più importanti dalla caserma, sotto lo sguardo incuriosito e preoccupato dei soldati,
Reclef si trovò a ricordare le innumerevoli volte in cui si era trovato a preparare uno zaino come quello,
prima di un nuovo capitolo della sua esistenza.
Inevitabilmente, le immagini del passato cominciarono a scorrere nella mente, come uno spettacolo teatrale:


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Quel gancio mi aveva steso, ma non fu un sogno a svegliarmi,
quanto il crine del cavallo al quale ero stato legato, a mo'di salamella.
Mi agitai con tutta la forza che avevo nel tentativo di liberarmi.
Inutile.
Contai attorno a me una decina di persone e tutti se la ridevano di gusto nel vedermi dimenare senza successo.

“Che tipetto che sei”

Era lì, Ghersh: il mezzo-coso bastardo, losco, opportunista, truffatore, immorale, viziato, promiscuo.
Cercate pure tutti gli aggettivi degradanti che una persona può avere in un paio di vite,
e li troverete tutti combaciare perfettamente con lui, eppure,
se in quel momento mi avessero detto quanto sarebbe stato importante quell'incontro, non gli avrei creduto manco per 1000 tricorone...

“ Tu sei Reclef, giusto?”

Rimasi zitto, visibilmente sopreso e riprese:

“ Ci ha mandato Gorlin....è un vecchio amico.
Dopo due settimane che non ti vedeva, ci ha reclutati.Fortuna che ti abbiamo trovato!”


Sentii la verità nelle sue parole e la sconfitta crescere dentro,
soffocante, palese, quando notai la testa dell'orso appesa alla sella di un cavallo,
poco più avanti.
Volevo fuggire, sprofondare, diventare la seconda pelle dell'equino che cavalcavo,
ma cucii la bocca; solo questo.
Quanto avrei voluto bere un goccio.
Vedendo la mia reazione, Ghersh mi slegò e proseguimmo la marcia.

Ci fermammo a mezza giornata di distanza da Mirabar e in poco tempo,
prepararono un accampamento.
Ricordo ancora il loro vociare e quell'allegria immotivata che guidava ogni gesto, anche il più piccolo.
Me ne stavo in silenzio, in disparte, a consumare quel poco di cibo che ancora mi era rimasto, rifiutando di mangiare il loro.
Uno dei miei “accompagnatori”, un uomo dal mento volitivo, cominciò a suonare una bella canzone ritmata, pizzicando le corde di un liuto.
La melodia non fece altro che acuire il disagio che provavo,
abbastanza da non accorgermi della donna che si seddette al fianco.

“ Vieni anche tu al fuoco dai! Che ci fai li tutto solo?”

La guardai e mi chiesi come avessi fatto a non notarla prima: una mezzelfa dai capelli biondi,
lentiggini sulle guance ed un sorriso che sembrava accogliere anche il più bieco disgraziato.
Sheela,la mezzelfa, la sorella di Ghersh: bella, simpatica, sensibile, sensuale
e con quello sguardo fiero, che non lasciava scampo.

“No, grazie. Preferisco rimanere qui...”

Il resto della notte lo passai a meditare su quanto era accaduto da quando ero partito da casa.
Cosa stavo combinando della mia vita?
Cercai nella notte il giusto consiglio.
Il giorno dopo raggiungemmo Mirabar.
Ghersh e la sua banda mi portarono alla fucina dove lavorava Gorlin.

“Eccotelo qua il pivello: sano e salvo...”

Gorlin levò le lenti e si mise a guardarmi.
La fuliggine sulle sue guance, rendeva ancora più affilato quel suo sguardo rincagnato dietro le folte sopracciglia rosse:

“Phef!” esclamò “ vedo che sei ancora vivo ragazzo!"

Alcune persone, fra le quali riconobbi alcuni volti che avevano assistito alla mia dichiarazione di Vittoria,
accorsero incuriositi dalla scena.
Quando Ghersh buttò a terra la testa del potente orso ai piedi del nano,
e vedendo l'eloquente espressione sul mio volto, tutti cominciarono a ridere.
Mai risa seppero ferirmi così a fondo, come quella volta.
Ci volle un grosso sforzo per non cedere ad un pianto disperato.

Gorlin e Ghersh si appartarono e si misero a discutere,
lanciandomi qualche occhiata di tanto in tanto.
Tutto ciò che riuscivo a pensare era la totale inutilità di ogni mia azione,
in quel mondo che sembrava non avere un posto per me.
Poi il nano si avvicinò con passo pesante:

“Hai perso la sfida ragazzo e mi è toccato pure pagare quel balordo_recchie_a_punta”
lo bonfonchiò adirato, quasi
"quindi adesso, muovi quelle chiappe attaccate a quelle gambelunge e ti vai a dare una ripulita.
Per ripagarmi del tempo e dell'oro perduto, sgobberai per me, intesi?!"

Obbedii, incurante di tutto.

Ghersh, Sheela e gli altri, rimasero a Mirabar ancora qualche giorno, poi ripresero il loro cammino.
Li osservai dalla soffitta della catapecchia che mi aveva rifilato Gorlin.
Seppi qualche tempo dopo che erano un gruppo di “recuperatori”,
marinai di Luskan che venivano pagati per recuperare oggetti o particolari reagenti nei luoghi più sperduti.
A detta di Gorlin, quegli uomini di mare,
erano stati fondamentali in alcune battaglie contro i Duergar,
ma anche questa informazione, trovò il tempo che trovava nell'angoscioso stato in cui versavo.

Il vuoto venne riempito dal tempo e dall'incessante lavoro con cui Gorlin mi teneva impegnato,
abbandonando ogni problema nelle scintille di un'incudine e al calore di una forgia.

Passarono due anni da quell'episodio sulle montagne...

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Rimase qualche minuto ad osservare il Forte Baronale, incorniciato da tiepide nubi sul calar della sera.


arrived_in_terredipietra



Edited by Kralizec - 8/6/2017, 11:24
 
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Ancora una volta la vita sapeva soprenderlo,
e stavolta, verso una direzione che non credeva neanche più possibile:
Una casa, una donna, la sua donna.
Dilwen, la sua Dilly.
Quella matta di Dilwen...
Aveva scelto di averla al suo fianco non solo per amore, no,
ma per la fermezza dimostrata nel voler condividere con lui il bene ed il male,
con l'incoscienza del sentimento e la chiarezza del voler essere una metà di “qualcosa”.
L'osservava riposare mentre i primi raggi del sole filtravano dalle tende.
Sorrise.
Senza disturbarla, si diresse verso il balconcino.
L'aria fresca lo salutò in viso.
Inspirò lentamente, godendosi quel momento,
uno dei pochi che si sarebbe potuto godere prima della partenza.
Il diario era li, sul comodino.
Il dannato diario che aveva recuperato nelle profondità di quel vulcano assieme a Martin.
Avevano finalmente una traccia per rintracciare il Culto.

Il Sole sorse per metà, illuminandogli il volto,
riscaldando la determinazione che si poteva leggere nello sguardo.


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Le albe di Mirabar avevano una varietà di colori che è difficile spiegare per chi non ha mai vissuto al Nord.
Le giornate in fucina passavano una dietro l'altra, accumulandosi come neve sopra altra neve.
Avevo ormai perso del tutto il vizio del bere, ma una strana malinconia era rimasta a strascico, nel profondo.
La mattina si andava in miniera a trasportare i metalli,
il pomeriggio si passava a sgrezzarli e fino al tramonto si lavorava sull'incudine.
Poi verso sera ci si riuniva tutti assieme, nani e uomini della Valle,
desinando e concedendosi un poco di svago fra risate e racconti.
Stavo sempre in disparte, introverso e taciturno,
ma non potevo negare che erano quei pochi momenti a scaldarmi davvero il cuore.

Due anni, come dissi, li passai così, senza rendermene neanche conto
e probabilmente sarei ancora li se una mattina, come tante altre, non fosse apparso un messaggero da Luskan.
Era qualcosa di estremamente raro, sopratutto il fatto che andasse a bussare direttamente alla porta di Gorlin.
Dalla soffitta dove stavo, ascoltai il discorso.

“ Mi manda una donna, una mezzelfa da Luskan.. è urgente”
sentii il rumore di un foglio che veniva porto.
Lo vidi allontanarsi di fretta e furia per poi sparire all'orizzonte.
Scesi le scale ed incontrai il volto crucciato di Gorlin.

“ Quei ragazzotti si sono cacciati nei guai.
A quanto pare il mezzo è stato fatto prigioniero da una banda di umani di mare...”

quasi un brontolio.
“ ...umani...”
un borbottio vero e proprio.
Rimasi interdetto.
Fino ad allora il mio spirito era di pietra, sintonizzato con il nulla,
colmato solo da piccole soddisfazioni nel lavoro e dalla vita morigerata che conducevo.
In quel momento però, sentii un nodo nel basso ventre.
Gorlin, che non era rinomato per la sua sensibilità, mi guardò e disse.

“ Vuoi andarli ad aiutare? “
La domanda sembrò come uno schiaffo mentre si è ancora mezzi addormentati.
“Si”
Dissi con un filo di voce, senza neanche rendermene conto.

Partimmo in cinque, tutti umani.
Nella lettera (che seppi poi esser scritta di pugno da Sheela) si accennava ad un'isola e nessun nano sembrò bramoso di abbandonare la terra ferma,
ma non ve ne fu uno che non si mise a disposizione per fornirci il necessario per aiutare Ghersh.
A quanto pare, era vero che quei "ragazzotti" di mare avevano aiutato Mirabar in passato...
Sellai il cavallo, assicurando l'ascia e lo scudo che avevo forgiato io stesso.

“Sei sicuro ragazzo?”
Volle sincerarsi Gorlin prima della partenza.
Lo guardai limitandomi ad annuire.
Dei cinque, ero il più giovane ed il meno esperto, mentre fra di noi vi erano Ubber e Skard,
due feroci combattenti della Valle del vento gelido che non vedevano l'ora di menar d'ascia.
Nessuno mi considerava un guerriero.
Ero il pivello che viveva con Gorlin, l'incapace che non era stato in grado di uccidere l'orso.
Lo leggevo nei loro occhi e nei loro discorsi,
dove ogni loro tattica probabile non mi prevedeva nemmeno come esca.
Come dargli torto? Anche io non mi consideravo tale e nemmeno ero sicuro del perchè fossi li.
L'unica cosa che sentivo è che dovevo pareggiare i conti con Ghersh e la sua gente
e li avrei aiutati al meglio delle mie possibilità.

Arrivammo a Luskan in poco più tre giorni, galoppando a perdifiato.
Rivedere quella città dopo due anni fu davvero strano.
Tutto era uguale, ma non lo era.
Poi capii che non era la città ad esser cambiata, ma io.
Non era però il momento per le riflessioni e in un attimo giungemmo al molo dove trovammo Sheela assieme agli altri.
La preoccupazione era visibile sul suo volto, facendo però una strana espressione,
quando mi vide assieme agli altri.

“Ce l'avete fatta, molto bene. Bisogna partire subito, immediatamente!”

Non riuscimmo neanche a lasciare i destrieri in stalla che salpammo verso ovest.
Fu la prima volta che salii a bordo della Ozymar, il veliero che dava il nome alla ciurma di Ghersh e gli altri.
Durante il viaggio Sheela ci raccontò l'accaduto:

Nella ricerca di una reliquia in un piccolo arcipelago misconosciuto,
erano stati assaliti da un gruppo che la ciurma conosceva bene: i pirati del Corvo.
Il loro Capitano, Krallan,
considerava Ghersh suo acerrimo nemico per via dei numerosi tesori ed affari che gli aveva soffiato sotto il naso,
e già in passato si erano scontrati,
vedendo la ciurma dell'Ozymar sempre come vincitrice.
Stavolta però, qualcosa era cambiato:
Il Corvo nero aveva assoldato due dozzine di mercenari proprio per l'occasione.
Lo scontro impari li costrinse alla ritirata e Ghersh venne fatto prigioniero,
per permettere ai compagni di fuggire.
Sheela sapeva che non lo avrebbero ucciso o almeno,
non prima che avesse sputato fuori le informazioni su chi commissionava loro i lavori,
una cosa che pareva stare molto a cuore al buon Krallan.
Il vento soffiava con forza, assicurando un viaggio favorevole, ma in nave si respirava una forte tensione.
Stavolta non c'erano canti e risate.
Tutti erano seri e decisi a salvare il loro Capitano.
E io?
Io mi chiedevo che cosa ci facessi li.

Verso il calare della sera,
raggiungemmo un promontorio che dava l'ingresso all'arcipelago che era stato scenario della battaglia e base momentanea dei Corvi.
Attraccammo e vennero messe in acqua delle piccole scialuppe con le quali saremmo arrivati all'isola centrale,
dove supponevano che li avremmo stanati.
Eravamo consapevoli che si aspettavano l'arrivo di qualcuno,
ma se li avessimo presi da tre lati, come un tridente, forse saremmo riusciti a sopraffarli e liberare Ghersh,
o almeno, questo era il piano.
Ci avvicinammo pagaiando lenti, sfruttando la foschia che ammantava la zona.
Raggiungemmo l'isola principale, dove i segni della passata battaglia erano ancora evidenti.
La spiaggia ci accolse nel silenzio, mentre alcune luci, forse un accampamento,
si intravedevano nel fitto della boscaglia di pini marittimi.
Ero nel gruppo con Sheela e Skard, ed ero stato messo nelle retrovie.
Avanzammo a passi leggeri, mentre Sheela sembrava calcolare la distanza,
valutando il tempo necessario per far si che tutti e tre i gruppi giungessero all'accampamento nel medesimo istante,
per giocare sull'effetto sorpresa-nella non sorpresa.
Attendemmo il segnale e ci lanciammo all'attacco.

Fu così che cademmo nella trappola.

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Edited by Kralizec - 29/8/2017, 13:11
 
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Il vortice ai confini dell'Universo

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Accadde tutto rapidamente, eppure,
quei pochi minuti, potrei riviverli mille volte nella testa,
ricordando perfettamente ogni particolare, anche a rallentatore:

Eddard era riuscito a portarci nella palude indicata sulla mappa rinvenuta nel diario,
e non ci volle molto prima che tutto ciò che si muoveva,
attentasse alla nostra vita.
Una schiera di arcanisti, drider e persino due draghi neri,
ma riuscimmo comunque ad uscirne vivi.
Pensai di poter cantar vittoria, se non che,
notammo uno strano ingresso nella montagna a ridosso della palude,
abbastanza grande da far passare due giganti uno sopra l'altro.
In quel momento capimmo che quella affrontata, era solo un'avanguardia.

Si pensa che dopo averne viste di cotte e di crude ci si abitui a tutto,
ma a certe cose non ci si abitua mai.

dragone

Un Dragone dalle scaglie come la notte, tendenti al violaceo, si issò sulle
sue mastodontiche zampe quando arrivammo nel cuore della grotta e non era solo.
Altri draghi, un branco e con loro, un manipolo di uomini.
Bandane rosse abbinate a tuniche argentate.
Non c'erano dubbi: Il Culto era li.
Finalmente, dopo tanto cercare, avevamo qualcosa di concreto.
Immagino che sia stata questa euforia, o forse l'eccessiva sicurezza nel combattere,
a farmi abbassare la guardia, lasciando che la zanna acida del dragone
portasse via il mio braccio sinistro.
Caddi a terra, immerso in quella fanghiglia,
privo di qualsiasi energia, mentre i miei compagni continuavano a combattere.

Il mondo attorno ovattato.

rec_copy

Forse il dolore lancinante che provavo,
forse il fango che copriva le orecchie.
Tutto giungeva da distante, da un luogo indefinito.
Solo il battito del cuore.


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Avevo percepito con chiarezza quella stessa sensazione
quando ci chiusero da ogni lato, nell'accampamento su quell'arcipelago sperduto.
Sheela non aveva inteso che Krallan aveva assoldato non solo semplici mercenari,
ma persone che a Luskan erano conosciuti come i “cacciati”:
Maghi e stregoni che erano stati espulsi dalle accademie per aver dimostrato
una tendenza eccessiva per sangue e distruzione.
Li conoscevo bene, li avevo visti girare per il porto quando
vivevo da quelle parti.
Avrei voluto avvisare gli altri, quando li notai, ma non ve ne fu il tempo.
Fulmini e palle di fuoco piovvero verso di noi.
La battaglia prese piede e, se non fosse stato per Skard,
saremmo tutti morti all'istante.
Il nordico si scagliò con una velocità incredibile, gettando a terra
un manipolo di uomini che bloccava la fuga dalle retrovie.
Mentre le fiamme avvampavano in ogni dove,
ci separammo nuovamente nei gruppi di partenza,
ed ognuno prese strade diverse.
Seguii Sheela e Skard, mentre gli inseguitori non accennavano a desistere.
Le urla della battaglia si innalzavano nella notte e la nostra corsa si fermò
in breve, su un dirupo roccioso a ridosso del mare.

“Non ci resta che combattere!” incitò Sheela.

Eravamo in cinque e i nostri inseguitori: almeno una dozzina.
Leggevo nei miei compagni la determinazione a non cedere,
nel dare il tutto e per tutto.
Solo io mi sforzavo di non tremare per non soccombere al terrore.

Non voglio morire!
non voglio morire!


Cercavo di imbrigliare questa frase mostrandomi coraggioso,
anche se le ginocchia non volevano collaborare.
Ancora una volta, fu il sangue del nord, poco incline alla resa,
a scatenare il violento scontro.
Skard si scagliò ad una velocità che non credevo possibile per un'essere umano.
Qualche dardo lo colpì in quell'avanzata forsennata, ma non bastò.
In un attimo la sua ascia gigante ne dilaniò un paio,
costringendo qualcuno di loro a rientrare nella foresta, per affrontare
quella belva con maggior astuzia.
Sheela nel frattempo non era rimasta con le mani in mano ed aveva
innalzato una preghiera, facendo apparire un'enorme essere fatto d'acqua.

Immobile, riuscivo a tener d'occhio ogni singolo scontro e non rimasi sorpreso
nel vedere due assalitori correre verso di me, ad armi sguainate.
Vedevo bene, ma il resto del corpo era cieco.
Alzai lo scudo e strinsi l'ascia.
Non potevo andare da nessuna parte.
Rimasi sul posto.
Li vidi a pochi passi da me.
Volevo muovere le gambe: niente da fare.
In un estremo atto di sopravvivenza, alzai lo scudo per parare il colpo del primo,
barcollando indietro, mentre il secondo scartò di lato,
colpendomi sul fianco con un maglio.
Venni sbalzato per diversi metri e ruzzolai, finendo disteso su un lato.

In quel momento, sentii nuovamente quella strana sensazione.

rec_copy1

Il mondo vero ad eoni di distanza,
mentre un nitido e costante battito, scandiva l'oscurità.

Quando ripresi i sensi, ero incredulo d'esser ancora vivo.
Forse non avevano dato importanza ad un ragazzino messo fuorigioco al primo colpo.
Misi a fuoco ciò che stava accadendo: dei nostri,
erano rimasti solo Sheela e Skard contro quattro,
ma erano stremati e con evidenti ferite.

Il gioco del Destino reclamò un giro e dovetti scegliere.

Sentivo ancora il terrore bussare, ma ero stanco di aver paura.
La situazione di certo non sarebbe migliorata anche scappando e poi,
non avevo ancora saldato il mio debito.

Mettersi in piedi con qualche costola rotta non è facile,
ma vi riuscii, andando oltre il dolore.
Davanti a quella situazione senza vie di scampo, la paura fluiva via,
lasciandomi una strana lucidità nella testa.
Tutto era chiaro, le gambe erano pronte e le braccia
ancora in grado di tendersi.
Se dovevo morire, tanto valeva lottare.

Vidi Sheela in difficoltà contro due, che indietreggiava
sempre più verso il ciglio del dirupo.
Scattai e con una spallata, spinsi entrambi lontano dalla ragazza.
Ruzzolammo a terra e quando balzai in piedi,
li ritrovai addosso.
Ero lucido al punto che intuii subito la direzione dei loro colpi.
Come erano lenti...
Non dovetti fare molto per sbilanciare il primo e farlo cozzare sul
fendente del secondo.
Feci un guizzo rapido, con la stessa intensità dell'incontro con quell'Orso
sulle montagne innevate, ma stavolta era diverso.
Senza la paura ad assillarmi, pronto al cieco divenire,
calai l'ascia sul cranio di quello rimasto, con semplicità,
ponendo fine allo scontro.
Osservai il sangue che lentamente si allargava dal cadavere,
andando a bagnare la punta dei miei stivali.

Eravamo sopravvissuti.
Avevo le mani ancora sporche di sangue e le guardai.
Da dove proveniva tutta quella sicurezza nei movimenti?
Come era possibile?

La battaglia contro il Corvo Nero, si concluse con l'ennesima vittoria degli Ozymar.
Nonostante la superiorità del nemico, anche gli altri erano riusciti a prevalere.
Ubber ed altri marinai, erano riusciti persino a catturare Krallan e riuscimmo così a
liberare Ghersh.
Lo avevano torturato e malmenato, ma l'unica cosa che seppe dire con il suo solito tono fu:

“Ce ne avete messo di tempo bifolchi...che ne dite di andare a farci un goccio?”

Dopo quella notte, nessuno sentì più parlare del Corvo Nero, che venne
legato ad una roccia, pronto a venir inghiottito alla prima alta marea,
(se non fosse morto prima).

Salimmo tutti a bordo dell'Ozymar e non appena toccammo il ponte,
le gambe che poco prima erano agili e forti,
cedettero e venni sorretto da Sheela.

“Resisti...vedrai che presto starai meglio”


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“ Resisti! Vedrai che presto starai meglio”

Sorrisi alla preoccupata Dilwen, sulla via del ritorno da quel luogo infernale.
Nonostante tutto, avevamo davvero qualcosa...



Edited by Kralizec - 22/9/2017, 21:26
 
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view post Posted on 5/3/2018, 20:31
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Nelle Terre di Pietra in un luogo non ben definito,
ben celato e tatticamente controllato, un gruppo di cinque purpurei senza insegne,
attende appostato in silenzio, evitando di farsi notare,
lasciando che sia solo il vento a dominare la zona e non la loro presenza.
Reclef aveva scelto accuratamente gli uomini per quella missione delicata.
Era fondamentale non dare nell'occhio ed attendere il momento propizio,
anche se erano ormai diversi giorni che non si vedeva nessuno.

Poi, all'alba dell'undicesimo giorno,
videro giungere nella loro direzione un piccolo carro trainato da un mulo,
seguendo un sentiero poco battuto appena sotto di loro.
Era quello che attendevano?

“Dobbiamo fermarli signore?”

Reclef fece segno di attendere.
Aguzzò la vista sui due uomini alla conduzione del carro traballante.
Sembravano due semplici viandanti ed era difficile capire che cosa vi fosse al suo interno,
ma ormai da troppo tempo dava loro la caccia per lasciarsi fermare alle apparenze.
Il suo istinto affinato da battaglie mortali gli diceva che era quello che stava attendendo.

“No, Javier, non ancora. Lasciate passare una ventina di minuti.
Dopo di che, tu ed Hestor mettetevi al loro inseguimento.
Non fate gli eroi, è importante che non vi scoprano...
Tenete queste”


disse porgendo loro una sacca con alcune pozioni.

“Bevetele durante il pedinamento.
Sono quasi sicuro che quelli all'interno del carro siano capaci di usare la magia,
ma con quelle pozioni starete al sicuro.
Capirete da soli quando l'effetto finirà e dovrete continuarle ad assumere fino a fine scorte.
Nel caso doveste finirle prima di scoprire dove stanno andando, tornate indietro.
Tutto chiaro?”


Sperava vivamente che quelle pozioni preparate da Ralas avrebbero funzionato davvero.

Javier annuì e si preparò assieme ad Hestor ad eseguire il compito assegnato loro.

Quando Reclef li vide partire, si sentì quasi in colpa nel metter in pericolo quei due giovani guerrieri,
ma non poteva fare altrimenti.
Il dispaccio giunto da Kaia richiedeva la sua presenza a Suzail per una questione che pareva davvero importante
ed in cuor suo, pregò Tymora affinché assistesse i suoi uomini in quell'impresa:

Dopo la furiosa battaglia nella tana del Dragone nero nello Shaar,
Reclef aveva recuperato alcuni documenti appartenuti ai cultisti che avevano sgominato
ed aveva scoperto la movimentazione di forze e materie prime verso il nord,
attraverso un vecchio sentiero bedine che attraversava le Terre di Pietra fino all'Anauroch per poi chissà dove.

Ecco cosa Javier ed Hestor avrebbero dovuto scoprire.
Ancora e come sempre, molto di ciò che doveva avvenire, era affidato al Destino.


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Quando ripresi conoscenza, dopo lo scontro nell'arcipelago contro Krallan e i corvi neri,
mi ritrovai su una branda nella stiva dell'Ozymar.
Solo dei piccoli raggi filtravano da un oblò che rimandava un paesaggio che ben conoscevo: Luskan.

“Finalmente ti sei svegliato dormiglione”
il volto sorridente di Ghersh apparve dalle scale che davano verso il ponte.
“Hai dormito quasi un giorno e mezzo.Sheela mi ha raccontato...”
lasciando cadere la frase.
Mi rimisi in piedi e nonostante un paio di costole incrinate, mi sentivo benone.
Salii sul ponte e dovetti coprirmi gli occhi per la luce.
Era una bellissima giornata di primavera seppur una lieve brezza pungeva le narici.
Notai immediatamente Skard ed Ubber che giocavano a dadi con alcuni della ciurma
mentre Sheela era intenta a dare indicazioni sul posizionamento di alcune casse.

Quando i primi mi notarono, tutti seguirono lo sguardo e mi sentii al centro dell'attenzione:

“Ragazzi il nostro asso nella manica si è svegliato!”
disse Richard, il nostromo, con un tono fra lo scherno e (strano a dirsi) l'affetto.
“E pensare che avevo scommesso che sarebbe morto..”
si misero tutti a ridere.

Sheela mi sorrise con dolcezza avvicinandosi

“Sono felice di vedere che stai bene! Ah...”
arrossì appena ed aggiunse con voce più bassa
“grazie..”

Mentre accadeva ciò, una grossa sagoma sovrastò quella della giovane ragazza.
Era Skard che mi guardava con severità, nonostante una ferita evidente gli addobbasse la spalla sinistra :

“Skard pensava che Reclef gattino.
Gorlin no crede che tu guerriero, ma sbaglia!”

mi diede una pacca sulla spalla che mi spezzò quasi a metà.

Fu un susseguirsi di pacche e per la prima volta nella mia vita, qualcuno riconosceva il mio valore.

Ero incredulo.

Scendemmo dall'Ozymar ed andammo a festeggiare in una bettola del porto,
per onorare i compagni morti nel salvataggio e il ritorno del Capitano.

Quando ormai le luci della sera erano entrate nel vivo,
metà della ciurma era ubriaca,
mentre io continuavo ad arrovellarmi sul ricordo di quel cranio aperto a metà e di quell'inaspettata fluidità nel combattimento.

Come era possibile? Dove avevo imparato a muovermi a quel modo?
Non avevo ricevuto nessun addestramento se non qualche rudimento con la spada da mio padre e...
[....]
Un lampo squarciò la mente.
Fu una doccia ghiacciata ed un'insieme di sensazioni si mescolarono in un attimo.
Come avevo potuto non capirlo prima?
Perché ero rimasto così a lungo a nascondermi dietro un dito?
La sua figura si stagliò limpida quando osservai il mio sguardo riflesso alle finestre.

Haraldshezaar_copy

Compresi in quel momento l'enorme debito verso quell'uomo taciturno, quello straniero proveniente da Zakhara.
Chi avrebbe mai creduto che Harald Shezaar avrebbe addestrato il proprio figlio.....facendolo GIOCARE?!

In un attimo cominciavano ad aver senso quei giochi che facevamo alla sera,
che spesso mi procuravano tagli e contusioni,
ma che erano stati anche e soprattutto,
i veri momenti di gioia e di risa con mio padre.
Ecco a cosa servivano quei percorsi ad ostacoli, quelle nuotate ostinate,
il trasportare quei secchi d'acqua senza farli stabordare, i sassolini che usavamo nelle nostre battaglie,
il raccogliere il maggior numero di foglie che cadevano da un albero scosso prima che toccassero il suolo,
quel rincorrerci lungo il Chondath.

Nonostante tutto questo mi avesse affinato i riflessi e potenziato la mobilità articolare,
l'unica abilità che avrei davvero voluto in quel momento, era quella di poter tornare indietro
nel tempo per potermi prendere a calci per esser stato un tal pezzo d'idiota.

Cominciai a ridere e a piangere allo stesso tempo.
Sussurrai nel clamore della locanda,
come se quelle poche parole avessero potuto viaggiare attraverso i confini
ed arrivare fino a lui.

“Grazie...papà”

Da quel momento, non avrei più perso la fiducia in me stesso, nonostante le avversità.
Io ero Reclef Shezaar, il guerriero addestrato da Harald Shezaar,
il mio Eroe.

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Edited by Kralizec - 8/3/2018, 11:55
 
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view post Posted on 16/7/2018, 14:40
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Il Santo, con tutte le sue macchinazioni,
stava costringendo Reclef a rimanere a Suzail
per poter dare una mano quando sarebbe stato necessario.
Era una faccenda che non poteva risolvere con la sola forza,
ma sapeva rendersi utile anche in altri modi.
Le numerose esperienze al limite fra la vita e la morte,
le trame occulte nelle quali si trovò invischiato negli ultimi anni,
avevano limato ed affilato qualcosa in lui.
Vista la sua fama da veterano e temibile guerriero sul campo di battaglia,
spesso la gente si fermava alle apparenze,
ignorando che oltre quelle asce, vi era una mente acuta
capace di cogliere anche i più piccoli dettagli.
Era stata quella più di una volta un'arma ben più efficace e temibile
del metallo.

Per questo stava dando la caccia al Culto.
Di certo non si sarebbero aspettati che uno come lui
fosse in grado di scoprire o tantomento,
intralciare i loro piani.
Ovviamente era conscio che non sarebbe stato semplice,
ma quando il rapace messaggero giunse al suo podere,
sentì di aver fatto un'ulteriore passo avanti.
Il messaggio recitava così:

"Signore, avevate ragione. Le persone che ci avete chiesto di pedinare,
stanno facendo qualcosa a nord, in un crepaccio incastonato nella Valle del Vento Gelido.
Come da voi ordinato, abbiamo già preparato una mappa.
*firmato*
Javier"

Poteva essere sicuro dell'autenticità del messaggio perchè sull'angolo della carta,
vi era una piccola macchia di cera purpurea,
un'espediente che solo lui e gli uomini del Forte conoscevano.

Reclef accartocciò il messaggio e lo diede in pasto alle fiamme,
osservandolo consumarsi,
mentre i pensieri cominciavano a snocciolarsi per imbastire una linea d'azione...



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Dopo quella festa al porto, tornai a Mirabar assime a Skard ed Ubber.
Gorlin non fece alcun segno di apprezzamento al racconto delle mie gesta in quell'arcipelago,
ma non mi sorpresi.
Capì subito quel che volevo dirgli senza parlare e con un gesto secco,
mi lanciò un sacco con un'armatura, un'ascia ed uno scudo.
"Vai, ragazzo, stai con la tua gente".
sbofonchiò con il suo solito tono burbero.
Avrei voluto dirgli tante cose, ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per me,
per avermi strappato dall'apatia alcolica nel quale ero affondato,
per quello che mi aveva insegnato in quei due anni.
Lo abbracciai come un figlio abbraccia un padre.
[Nanico] Grazie, maestro.
"Non mi toccare gambelunghe!" sbottò,
"Vai! La carovana sta per ripartire!"

Mentre il carro procedeva verso Luskan, osservai a lungo Mirabar stagliarsi all'orizzonte,
sempre più piccola e distante, con i comignoli delle fucine in perpetua attività,
e realizzai che una parte del mio cuore sarebbe sempre rimasta laggiù.
Pregai Tymora e Moradin affinchè preservassero quella città e il vecchio Gorlin.

Fu così che entrai effettivamente nella ciurma dell'Ozymar.

ozymarfamily_copy

Nel giro di un anno, avevo trovato in quegli scapestrati di mare, una vera famiglia.
Così come cresceva il legame con la ciurma,
cresceva anche la mia abilità con le asce ed era come se con il tempo e la pratica,
venissero a galla tutti gli insegnamenti "occulti" di mio padre.
Ero in grado di affrontare tre o quattro avversari contemporaneamente,
e per questo la mia fama cominciò a crescere fra chi viveva il mare.
Alcuni mi chiamavano "il boia", altri "il serpente",
ma la verità è che tutta la mia forza,
derivava dal desiderio di proteggere i miei compagni e non solo.
Fra di loro, vi era anche la donna della quale mi ero perdutamente innamorato...e si,
non è difficile immaginarsi chi fosse:
Sheela, la sacerdotessa di Tymora,
aveva conquistato il mio cuore ed aveva accresciuto la mia fiducia nella Dea della Fortuna.
Fu lei che instillò dentro di me la convinzione che tutto avviene per un motivo
e sul ruolo del "Destino" in tutto ciò che accade e considerando le pieghe della mia vita,
non potevo che accettarlo con rispetto e riverenza.

Passarono così cinque anni e probabilmente,
sarei ancora a solcare i mari se non fosse stato per quel giorno,
il giorno in cui compresi davvero quale sarebbe stata la mia strada...


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Sentii aprirsi la porta mentre il foglio era ormai diventato cenere.
Si voltò ad osservare quegli occhioni verdi che erano diventati la sua casa.
"Sono tornata!!"
Reclef sorrise alla donna e per un po', poteva accantonare la caccia ed i problemi,
abbandonandosi alla fortuna che sentiva nell'avere Dilwen al suo fianco, sua moglie,
l'unica persona al mondo in grado di restiturgli la semplicità ed il piacere di una vita che valeva la pena vivere.



Edited by Kralizec - 15/10/2018, 16:46
 
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>||Underdark, in un luogo non ben specificato||<

Era la prima volta che si trovava in una situazione così disperata:
tutti i compagni fuori gioco, il sottosuolo attorno,
e dinnanzi Azmaer Dhuurniv pronto ad attaccare.

Reclef sapeva che non c'era altro modo ormai, sia per sè stesso,
sia per coloro che si erano avventurati con lui nell'oscurità
e che ora giacevano a terra in chissà quali condizioni.
Erano giorni che vagavano per cercare di riacciuffare Mourngrym Amcathra,
che era stato preso di forza dalla sua, apparentemente inespugnabile, Torre Contorta.

Azmaer Dhuurniv, il colpevole,
la grossa mummia drow avvolta da ragnatele,
lo fissava con le sue orbite vuote, fiammeggianti.
Stavolta non aveva alcuna illusione di vedere arrivare un Philip con le sue daghe
o una Kaia, o un Ralas che potessero dargli una mano.

Stavolta il peso del destino era tutto sulle sue spalle.

Reclef contro Azmaer,
la vita contro la morte,
la speranza contro la disperazione.

Nel buio si poteva udire un gocciolio, ostinato, cadenzato.
Il guerriero cormyreano strinse leggero Dain,
l'ascia infuocata in mithral che creò ad Adbar con l'aiuto dell'amico Dwinbar e Masir,
l'ascia che Martin aveva intriso con la benedizione di Kelemvor: rallentò il respiro.

Per un attimo sentì una parte del suo animo gridargli di fuggire, di salvarsi la pelle,
di andare dalle braccia della moglie e dimenticare tutto quell'orrore che lo circondava;
ma quella parte scivolò come farebbe un fiocco di neve nel Calim:
quello era l'unico posto in cui poteva ed aveva deciso di stare.

Non era altro che il frutto di una scelta.



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I cinque anni con i ragazzi dell'Ozymar,
mi insegnarono molto del mondo e della vita.

Dirvi di come ero diventato, bhè, forse mi farebbe sembrare un po' folle.
Ogni giorno mi sottoponevo a pesantissimi allenamenti,
per essere sempre più rapido, sempre più forte,
per difendere i miei compagni da qualsiasi avversità.
Riassumendo, potrei dire che l'indeciso Reclef,
era ormai il pericoloso guerriero di una banda di scapestrati.

Mi piaceva quella vita.
"Il mare è un immenso foglio di carta dove non potranno mai finire le frasi che vi potrai poggiare",
diceva spesso il mio eroe.
In effetti la libertà diventa davvero palpabile quando non hai la terra sotto i piedi.
Se riesci a superare gli attimi di smarrimento e timore,
si possono scoprire silenzi istruttivi che possono aiutarti a capire te stesso
ed il te che è a contatto con il mondo...

Gli affari della ciurma non erano di per sé leciti,
ma mai una volta Ghersh ci ordinò di uccidere per piacere.
Eravamo persone con una vita difficile alle spalle
e che cercavano di sopravvivere con i mezzi che avevano a disposizione,
ma avevamo un'etica, ed era Ghersh a rappresentarla con il suo modo di fare.
Anche se all'apparenza era un dannatissimo guascone,
nei momenti in cui contava,
riusciva ad essere deciso come non mai, soprattutto davanti alla crudeltà.
Quando ne scorgeva,
allora diventava implacabile e noi tutti avevamo un po' appreso questo modo di reagire al male.
Se ci penso, talvolta le mie risposte erano state a dir poco esagerate,
come il giorno in cui fermai un assassino di giovani donne e in cui
sperimentai la prima volta il combattimento con due asce.
Scoprendolo,
scoprii anche quanto può sanguinare un'essere umano mutilato in più punti...

Per la gran parte del tempo, per fortuna,
vivere con loro era un costante ridere e divertirsi.
Vi stupireste di cosa si può fare con una candela,
un mazzo di carte e qualche moneta..
Oltre tutto questo, c'era anche lei, la mia musa: Sheela.
mi chiedo se sarei l'uomo di oggi se non l'avessi incontrata,
ma ormai, mi piace credere che sia stata Tymora stessa ad averla mandata.
Le raccontai tutto di me, di mio padre, della mia infanzia,
di ciò che provavo e lei, mi insegnò ad osservare il passato sotto una luce nuova:
Tutto ciò che accade, accade per un motivo e non per forza deve avere una logica.
Ci sono momenti in cui non puoi far altro che accettare, altri, dove tu, persona,
uomo o donna, puoi scegliere fra una Testa ed una Croce,
e bisogna farlo con fermezza e coraggio e allora, solo allora, la fortuna ti potrà sorridere.
Presi questa nuova consapevolezza e la feci mia.

Furono anni di crescita importante
ed è strano come il fato agisca per farti intraprendere nuove strade.
Con me lo fece in modo così insolito, che a raccontarlo anche solo nella mia testa,
pare assurdo, ma come negare la verità quando la osservi?

Fen de Yul, un nobile di Luskan amico di Ghersh,
ci aveva assoldato per esplorare un piccolo santuario
in un crepaccio poco a ovest delle coste fra l'Amn ed il Tethyr.
Fen era un collezionista di rarità ed aveva ottenuto delle informazioni (a caro prezzo)
circa questo piccolo anfratto dedicato a Myrkul, che nessuno conosceva,
ma che (alla luce della caduta del suo credo),
poteva possedere al suo interno oggetti dal valore inestimabile.
Partimmo con grande tranquillità ed allegria,
consci che a parte qualche possibile tempesta,
sarebbe stato un lavoro facile.

Arrivammo senza problemi nel luogo indicato sulla mappa
che Ghersh aveva ricevuto dal de Yul,
e subito mi colpii la conformazione del luogo:
la roccia, a picco sul mare,
sembrava richiudersi su se stessa,
sconsigliando a chiunque si fosse avvicinato a quelle zone, di soffermarsi.
Sembrava non esserci alcun attracco, ma incredibilmente,
superando alcune file di rocce a spuntoni alte come giganti,
scoprimmo una piccola insenatura.
Sbarcati su quel poco di pietra calpestabile, notammo in alto,
a circa trenta metri, un'apertura che a conti fatti,
sembrava visibile solo da dove eravamo noi.
Non tutti erano in grado di arrivarci, così decidemmo di cimentarci in quattro.
Ghersh, Sheela ed io, eravamo fra questi.
Arrivati in cima, lo spettacolo che ci accolse non prometteva nulla di buono:
ossa nere erano poste ad adornare una piccola grotta, al cui centro,
svettava un piedistallo (con il simbolo di un teschio racchiuso dentro un triangolo)
su cui era posta una gemma nera, esagonale, grossa quanto un pugno.

Ghersh, che era l'esperto di meccanismi e affini,
controllò meticolosamente che non vi fossero trappole meccaniche,
mentre Sheela, attraverso le capacità divine,
se vi fossero auree magiche,
Dopo diversi minuti, conclusero che il luogo era sicuro.
Cominciammo così a cercare delle possibili reliquie,
ma ben presto risultò evidente che l'unico cimelio era quella grossa gemma nera.
Non so neanche spiegarvi perchè o per come, ma quando Ghersh la prese,
un brivido corse veloce lungo la schiena,
come un sesto senso che mi avvertiva di un pericolo.
Ma nulla accadde:
Ghersh prese la gemma e con un grosso sorriso si diresse verso noi
"Stavolta quando torniamo vi porto a bere e mangiare d'alta classe!"

Forse per via dei successi che avevamo inanellato negli ultimi tempi
o forse solo per ignoranza,
nessuno aveva valutato l'opzione di una trappola che agisse ad area:
nel momento in cui Ghersh terminò la frase, posando il piede sull'uscita,
l'intero santuario fu scosso da un tremito e
dal piedistallo sul quale era poggiata la gemma,
partì un raggio nero in direzione di Ghersh.

Lo avrebbe preso in pieno se non mi fossi frapposto fra lui ed il raggio.
L'impatto fu totale, ma non percepii alcun dolore, anzi.
Una sorta di tepore cominciò ad avvolgermi,
mentre i sensi lentamente cominciavano ad abbandonarmi.
Ebbi la sensazione di cadere in basso, a velocità costante,
fino ad un attimo dove tutto sembrava soffice ed etereo,
un'enorme distesa di nebbia,
un mondo....grigio

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Azmaer fece il primo passo con una rapidità incredibile,
che non ci si aspetta da una mummia di quelle dimensioni,
ma Reclef non fu da meno.
Scartò di lato con tutto il peso e sfruttando lo slancio,
riuscì ad evitare la carica e a contrattaccare
con un rapido movimento semi circolare sul piede perno.
L'ascia mancò di poco il bersaglio ed i due si ritrovarono nuovamente faccia a faccia.
Azmaer incalzò, aumentando la frequenza e la rapidità dei colpi,
costringendo Reclef ad una chiusura difensiva.
Non aveva mai affrontato un'essere così abile nel combattimento corpo a corpo
e nel giro di pochi secondi (che a lui sembrarono un'eternità),
dovette accusare un paio di colpi ben assestati, di quelli che ti fanno mancare il fiato.
Se non fosse stato per il giaco in mithral,
probabilmente l'artigliata lo avrebbe aperto come burro.

Nonostante la superiorità del nemico,
non vi era ombra di cedimento nello sguardo di Reclef.

reclefimmortal

Aveva troppe cose per cui non morire, non li,
non contro quell'essere....
Raccolse tutta la concentrazione,
allontanando il dolore e tese tutti i muscoli del corpo all'unisono,
nel modo in cui Gael gli aveva insegnato anni prima.

Era talmente concentrato che non si accorse del rivolo di bava che scendeva dal labbro.

In quel momento era penetrato nel luogo che chiamava "palco della fortuna",
dove conta solo l'immediato che si prepara all'istante successivo.
Era così tristemente abituato ad affrontare sfide mortali, che in quello stato,
si sentiva persino a suo agio...

Lo scontro diventò sempre più intenso ed Azmaer,
sembrò spazientito da quel piccolo umano
che continuava a resistergli e a contrattaccare,
riuscendo persino a ferirlo con quelle dannate asce.

Poi, sembrò deciso a chiuderla in breve e
slabrando appena le tele che coprivano ginocchia e gomiti,
s'appiattì, acquisendo maggior mobilità e si scagliò con tutto il corpo verso Reclef.
Quando lo vide arrivare,
il cormyreano fendette l'aria con ambo le asce nella sua direzione,
ma riuscì solo ad arginare la sua irruenza, finendo sbalzato indietro.
Era l'occasione perfetta per Azmaer di dargli il colpo di grazia,
ora che quella feccia di superficie era scoperta.
Ma aveva sottovalutato il suo avversario:
venendo sbalzato indietro, Reclef agì d'istinto,
assecondando il movimento e compiendo una mezza piroetta all'indietro,
finendo con le suole degli stivali a ridosso del muro della caverna.
Questa mossa gli permise di attenuare la forza del colpo ricevuto e di scaricarlo,
scattando fulmineo verso il drow.

L'artiglio sfiorò il collo di Reclef,
mentre Dain si piantò saldamente nel petto della mummia,
scatenando le sue fiamme arcane.

Fu così che Azmaer Dhuurniv conobbe la sua sconfitta.



Edited by Kralizec - 19/11/2019, 15:25
 
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Il vortice ai confini dell'Universo

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>||*Suzail 1389*||<

Come ogni pomeriggio le reclute dei vari plotoni si allenavano appena fuori Castel Dragone,
nella sua spaziosa e famigerata piazza.
Reclef li osservava seduto su una delle guglie, immerso nei suoi pensieri.

Dopo la Guerra, tutti i suoi compagni avevano fatto delle scelte,
mentre lui aveva ancora dentro di sé il retaggio dello "stare insieme",
come un Destino condiviso.
Ma la vita avanza inesorabile e la sorte viene plasmata dalle proprie mani:
Ralas era diventato un punto fermo fra i Maghi della Guerra,
Kaia s'era ritagliata la una posizione attraverso le sue innumerevoli doti,
Philip era il Barone delle Terre di Pietra ed ormai si era insediato saldamente,
forse grazie anche al suo aiuto, ma in ogni caso aveva deciso la sua strada.
E Reclef Shezaar?

Questa domanda lo accompagnava da parecchio, e senza trovare risposta,
si sentiva come inerme e talvolta in balia delle scelte altrui.
Poi, dopo le vicende delle Valli, qualcosa era mutato nel profondo e al ritorno dalla lunga convalescenza,
capì cosa doveva fare.
Carta ed inchiostro per sancire la sua volontà.
Mandò una missiva al Lord Maresciallo Sthavar...

Era li quel pomeriggio nella Piazza, in attesa, paziente, quando un volto del passato gli arrivò incontro,
facendogli comprendere già prima che parlasse, che Tymora era dalla sua.

"Ma guarda chi abbiamo: l'Eroe!"
Urald Strongstag, il vecchio Capitano del 93° che reclutò lui e Philip diversi anni prima, gli si parò davanti.

"Devo preoccuparmi o esser felice?!"
accolse calorosamente quel vecchio guerriero che stimava dal profondo del cuore.


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Un mondo Grigio può esistere?

Il raggio di energia negativa mi aveva travolto completamente.
Ero sicuro d'essere morto,
ma una leggera tensione mi fece provare il desiderio di aprire gli occhi.
Le palpebre non collaboravano granchè, ma una tenue luce mostrò allo sguardo qualcosa che ancora oggi non saprei spiegare:
una distesa a perdita d'occhio, un'orizzonte abbacinante, il tutto ricoperto da un velo grigio, fumoso.
Guardai le mie mani ed erano grige, dai contorni sfocati, smarrite.

Ero li da un attimo o forse una vita intera?

Nell'immensità di quel mondo che pareva cenere, strane figure danzavano sopra la testa.
Il perché non le notai subito, difficile dirlo.
Avevano una forma umanoide, indefinita, d'un pallido trasparente, etereo.
Sentivo i loro sguardi addosso, ma non un solo rumore.
Solo il grigio ed il silenzio.
Ad un tratto mi sentii attratto da qualcosa e come la rapidità d'un riflesso,
mi trovai dinnanzi ad un muro invalicabile.

waal

Alto a perdersi nel cinereo cielo, largo da ricordare il mare.
Fu allora che il terrore cominciò a materializzarsi,
capendo che presto sarebbe arrivata la mia fine.
Lamenti e figure oscure vorticarono attorno a me.
La disperazione fu così profonda che arrivai persino a sentirmi sollevato nella consapevolezza che tutto si sarebbe concluso li.

Un mondo grigio esiste anche dentro.

Ed una mano mi trasse indietro, ed il muro sparì.
Fui di nuovo in mezzo alle fosche nebbie di quella distesa infinita.
Mi voltai e rimasi scioccato nel vedere la figura ondeggiante di Harald Shezaar: mio padre.
Volevo abbracciarlo, ma non riuscivo a muovermi.
Volevo parlargli, ma non avevo voce.
Mi sorrise ed indicò il petto, all'altezza del cuore.

...

"Reclef!"
la voce preoccupata di Sheela mi destò da quello strano sogno.
Ero disteso sul fianco, sulla spiaggetta dove avevamo attraccato.
Stavo bene, anche se privo di qualsiasi energia.
Mi raccontarono ciò che era accaduto:
il raggio mi aveva privato della vita o qualcosa del genere.
Solo Sheela, grazie al potere divino delle sue preghiere a Tymora, era riuscita a potarmi indietro.

Indietro da dove?

Quello che avevo vissuto era fantasia o frutto di qualche strano sortilegio?
Nessuno dei miei compagni aveva una risposta.
L'unica cosa che non riuscivo a dimenticare era la presenza di mio padre e quel gesto.
Mi aveva indicato il cuore.
Che significato poteva avere?

Dopo quella spedizione, decisi di rimanere a Luskan qualche settimana.
Sheela e Ghersh non si opposero, anche se erano evidentemente preoccupati.
Sapevo che mi stava sfuggendo qualcosa ed inutile furono i tentativi di riposare, distrarmi o gozzovigliare.
Il rimbombo di quello che avevo vissuto era costantemente con me.
Stavo per ricominciare a rivivere un'altra giornata piena di dubbi quando, nel destarmi dal dormiveglia,
un riflesso balenò negli occhi ancora assonnati:
dalle stecche delle persiane, un piccolo raggio dell'Alba appena giunta,
colpì la moneta di rame che portavo sempre con me,
ma che in quel momento era semplicemente adagiata sul mio petto.

Il rigirarsi nel letto l'aveva sicuramente fatta uscire dalla tasca dove la tenevo,
ma come avevo imparato, le cose non accadono per caso.
Per me assumeva tutto un altro significato.

Dopo anni compresi il mio Destino.
A Sheela bastò un'occhiata per capire cosa stessi per fare.
Le chiesi di venire con me, ma sapevo che il suo posto era li, con i membri della Ozymar,
a dar manforte con la parola di Tymora a suo fratello Ghersh.
Proprio a quest'ultimo comunicai la mia decisione davanti l'intera ciurma:

"Ti avevo giurato fedeltà, ma ancora prima di essere un membro della tua famiglia,
sono figlio di mio padre ed il mio posto è nelle terre dove lui ha dato la sua vita."

Dirlo svuotò il cuore da ogni peso, caricandolo della leggerezza di una verità che da troppo tenevo taciuta in me.

"Se è questa la tua decisione, possiamo solo sperare che tu sia felice.
Ti salvai la vita in quelle nevi anni fa,
ed ora sei stato tu ad aver salvato la mia.
Il tuo debito è saldato".


...

Banchettammo fra risate e malinconia, fra ciò che avrei perso e quello che avrei trovato.
Fu brindando alla mia partenza che tornai a bere per la prima volta qualcosa di alcolico.

Il mattino seguente sellai il cavallo e raggiunsi le porte della città.
Non avevo svegliato nessuno. Non avrei retto all'addio ufficiale.

"E così te ne vai senza salutarmi?"
Sheela mi attendeva appoggiata al portone.

"Sapevo che non ti avrei fregata...".
La abbracciai: la mia salvezza, la mia musa, il mio amore.

"Buona Fortuna Reclef Shezaar".
...

*Toc toc*

Lavidia Shezaar andò alla porta di casa e per poco non rimase secca sul colpo.

"Ciao mamma, sono tornato...".

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Chiuse la porta dell'ufficio,
lasciando Urald Strongstag a sistemare i fogli che avevo appena firmato.

*Stavolta l'ho combinata grossa*

Sorrise soddisfatto mentre camminava per la piazza di Castel Dragone.

Così cominciò la giornata del Lionar Reclef Shezaar.



Edited by Kralizec - 17/12/2019, 14:07
 
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Un passo leggero, quasi invisibile.
Il Sole caldo che cala ad ovest nelle terre di pietra.
La sagoma che si delinea all'orizzonte sembra quasi un'ombra che incede.

Ken-il-Guerriero-Anime-Opening-1

Erano ormai diversi mesi che aveva intrapreso quel viaggio, che più di un viaggio,
era un'altra tappa del suo destino:
una sorte che ormai non condivideva più da diversi anni con quelle persone che avevano costituito le fondamenta della sua esistenza.
S'era allontanato dalla sua Dilwen, la sua dolce metà,
che nel Flamerule 1389, aveva dato alla luce il loro unico figlio,
Harald J. Shezaar, e che ormai mal tollerava la totale mancanza di Reclef
nella vita di tutti giorni ed il costante stato di pericolo in cui li faceva vivere.
Fu così che lei, assieme ad Harald, decisero di andare a vivere ad Eveningstar assieme a Lavidia, la madre di Rec.
Capiva perfettamente che forse era la scelta giusta affinché potessero star sereni ed in pace,
ed accettò senza remore la decisione della moglie.

Se pensava all'altra fetta della sua famiglia: Lat Nam era partita ormai da tempo, Kaia era scomparsa,
così come Philip.
Ralas era ormai diventato troppo importante per l'istituzione dei Maghi della Guerra da esser sempre irreperibile.
Tutti avevano intrapreso una propria via e Reclef sapeva che lui stesso aveva imboccato strade che appartenevano solo a lui.
Ripensandoci ad oggi, capiva perfettamente (o gli piaceva pensare così)
che Tymora li aveva voluti assieme in tutti quegli anni per uno scopo condiviso:
difendere il Cormyr e comprendere a fondo il proprio posto nel mondo.
Quindi era assolutamente normale che ad oggi Reclef ne sentisse il profondo distacco,
ma non poteva negare al suo cuore una certa malinconia di quei tempi andati.
Forse l'unico successo attuale era certamente l'aver addestrato
il suo plotone in maniera impeccabile (e quasi maniacale) alla difesa del Cormyr,
instillando in loro la sua esperienza nel rendere concreto il senso del dovere che ogni Drago Purpureo dovrebbe avere.

Sentendosi sospeso in una specie di limbo, sentì quella stessa spinta che lo aveva portato, anni prima,
a viaggiare nelle Valli e a dar il suo contributo decisivo nella guerra.
Comprese che era tempo di cambiare.
Del Cavaliere Reclef Shezaar, il nobile di Suzail,
nonostante ne avesse un profondo orgoglioso,
sarebbe rimasta la statua che lo ritraeva ad ispirare future
generazioni di cormyreani, a Piazza del Re.

Adesso era tempo per lui di viaggiare e seguire l'ispirazione del Destino:
vendette tutto, accumulando tutti i capitali che aveva,
ad eccezion della casa (che non avrebbe mai tolto alla moglie e al figlio)
e li investì nella sistemazione del suo equipaggiamento ed il resto in un fondo per Harald.

Sellò un robusto cavallo, viveri e partì.


¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤¤
>||3 mesi Dopo. Baldur's Gate||<

Incrociare lo sguardo con Lat Nam dopo così tanti anni fu qualcosa di molto intenso.
“Cavalier Reclef Shezaar è un'onore...”
stava cominciando ad intonare con il solito modo distaccato la barda, quando Rec la fermò immediatamente.
“...per favore, Nam, non chiamarmi così. Sono solo un viandante oramai. Tutto il resto non conta...”
L'attraente dama, in tutta risposta, si mise ad intonare una piacevole canzone che sembrò far sospendere il tempo, per un attimo:

canzonelat-tot


Reclef prese quella parole come un segno, soprattutto se pronunciate da una persona come Nam.
Da quell'istante decise che sarebbe cominciato il cammino di Shez, il Viandante.




Edited by Kralizec - 13/2/2024, 18:24
 
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