“La fragilità del corpo umano.
La mente annebbiata.
L’anima annerita.
Il respiro sempre più rarefatto.
Il cuore che batteva a mille.
La gelide dita ossute intorno alla vita.
Il caldo raggio di sole sul viso.
La risata armoniosa.
La voce spettrale che risuona nella testa.
Il profumo pungente della rosa. L’unica rosa, cresciuta vicino un fiume.
La notte che diventa il giorno.
Le mani intrecciate tra i capelli neri.
Gli occhi verdi. Intensi. Lontani.
Guardatemi.
Guardatemi.
GUARDATEMI.
Prendete la mia mano.
Ricominciamo da qui.
Facciamo finta che…
Guardatemi, vi prego.
L’eco sconcertante dentro la testa.
Una mano evanescente stretta intorno al cuore.
Un senso di angoscia.
La voce che muore in gola.
Sprofondando in un abisso dentro di sé.
Prendete la mia mano.
Il sapore del sangue sulle labbra.
La felicità della semplicità.
Il dolore delle parole.
Guardatemi.”
Lyra posò il pennino nel calamaio.
Prese un sorso dalla tazza di tè che aveva accanto. Il calore del fuoco scoppiettante dal camino, sulle gambe nude.
Rilesse quelle parole scritte sull’antico tomo.
Forse non erano il massimo, parole sconclusionate, scritte di getto, ma almeno era tornata a scrivere. Dopo tutto quel tempo finalmente era tornata a scrivere, quella storia che aveva iniziato appena arrivata al Gate e che a lungo aveva abbandonato. Il libro lasciato a impolverarsi nella libreria. L’inchiostro quasi sbiadito. L’eco di una battaglia senza esito, la sua protagonista incastrata tra le pagine, senza la possibilità di liberarsi. Ora le dava nuova linfa. L’inchiostro scorreva tra le pagine come il sangue tra le vene.
Parole di cuore. Di pancia. Sensazioni comuni, sensazioni sue, sensazioni di amore e di morte. Della vita di tutti e di nessuno. La pece nera che marchiava ogni brivido.
Rilesse le pagine con estrema felicità.
