Faerûn's Legends

Il Cerchio, il Salice, la Bestia.

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view post Posted on 4/2/2024, 18:08
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Squartatore di Troll

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L’aria le passava addosso con una rapidità tale che perfino respirare risultava difficile.
L’orizzonte era un arco immenso che le si stagliava davanti, frastagliato di monti e colorato di boschi, tagliato fra fiumi e crepacci.
Un unico immenso che accarezzava tutto ciò che vi si trovava all’interno con la gentilezza dell’abbraccio di una madre e, come aveva scoperto solo negli ultimi mesi, la forza inespugnabile e irremovibile dell’abbraccio di un padre.
Il Cerchio era tutto davanti a sé.
Poteva vederlo.
Poteva sentirlo.
Poteva percepire la sua forza scorrere dentro ogni cosa, perfino dentro se stessa.
Quel passaggio attraverso un numero così incredibile di esistenze era come un flusso all’interno del quale le era stato insegnato a muoversi. Almeno così credeva.
Per del tempo aveva guardato con ammirazione il sentiero della propria madre.
Sempre severa, sempre irremovibile.
Una predatrice feroce per chi si opponeva al cerchio ed una nutrice benevola per chi al Cerchio si fosse abbandonato senza opporre resistenza.
Ora che l’incontro con i Tre del suo destino l’aveva costretta a guardare in faccia la realtà, non poteva fare altro che ammettere come lei fosse stata gettata nel flusso del cerchio quando era ancora un piccolo pesce, e non esitata più a percepire il sadismo di sua madre, l’intento predatorio di farne solo, soltanto altra carne per nemici del Cerchio o per Guardiani più forti di lei.
Le esperienze con Adelaide, la sua bruciante voglia di sentirsi accettata.
La vibrante presenza di Zara, l’enorme mole di fiducia concessa che poteva solo sperare non essere stata mal riposta.
L’ombra di quella Figlia del Giardino di Pietra che la seguiva in ogni dove, ansiosa di apprendere la saggezza del Cerchio per uno scopo che ancora le sfuggiva.
Era tempo di smettere di essere figlia del volere degli altri.
E di decidere per conto proprio.

Il Giardino di Pietra chiamato Saerloon era ancora distante.

L’aria le scivolava attorno e le scivolava sotto sibilando come un covo di mille serpi.
Nel bosco sottostante, che si stendeva ad oriente a perdita del suo occhio d’aquila, era tutto un fremere di vita, frenetica e brulicante.
Prede e predatori, perfino i fili d’erba competevano per accaparrarsi un raggio di sole in più degli altri.
All’ingresso d’una radura, il corpo spezzato di un cervo.
Poco distante, le carcasse decomposte di una coppia di orsi.

Piegò la punta dell’ala sinistra per virare a nord, seguendo una truculenta mappa di cadaveri e sentieri battuti dagli uomini.
Mancava ancora molto all’imbrunire quando vide.
Vide una sagoma scura china e incatenata, patetica e possente al tempo stesso, che si dimenava feroce e indomita sotto il peso del metallo che la costringeva a terra.
Schioccare di mascelle, i tonfi sordi di una coda scagliosa e velenosa.
Una viverna.

L’aquila mutò.
Il flusso delle esistenze scorreva così forte in una terra così selvaggia che poteva quasi sentirlo vibrare nella punta delle sue dita.
Si fece cunicola e poi cerbiatto, per avvicinarsi timida e saltellante al campo degli uomini.

*Sarà una grande caccia per quei signorotti!* -disse uno-
*Ma davvero pagano per correre il rischio di farsi ammazzare? -chiese timidamente un altro-
*Io penso che questo ed un altro paio d’affari e ci togliamo dal giro.* -aggiunse un terzo-
*Dovremmo prendere il malloppo e scappare, altrochè. Hai visto cosa ha combinato l’altra che abbiamo liberato? Non c’è più nemmeno un ratto fra la radura a sud e il fiume: ha divorato ogni cosa.* -concluse l’ultimo, pavido ma accorto-

Il cerbiatto sparì nell’ombra del bosco.
Il cuore greve perché sapeva di dover diventare predatrice.
L’animo pesante perché sapeva di dover condannare creature innocenti ad una morte ingiusta.
La determinazione ferrea di chi sa di possedere la saggezza necessaria a decidere della giustezza della vita o della morte degli altri.
Fu di nuovo nei suoi stivali quando mise piede in quel luogo accogliente degli uomini.
“Il Rifugio” lo chiamavano, della famiglia di un tale Phil.
Giunta al piano superiore, aprì la finestra e allungò la mano per richiamare un suo Animale Messaggero.
Non era la prima volta che si concedeva del tempo presso un Giardino di Pietra o una delle strutture degli uomini: non disdegnava nemmeno quel suo trastullo.
Inoltre, essere in un luogo riconoscibile avrebbe permesso alla sua ombra di trovare i piedi ai quali apparteneva.

*passò del tempo*

Quando l’umana figlia del Giardino di Pietra Fellibylur mise piede nel rifugio di Phil, molto sangue era già stato versato per dissetare una terra che veniva violentata dai suoi aguzzini.
Molto sangue.
Ma non quanto era necessario.
L’obbediente umana giunse ancora, ansiosa di conoscere, di sapere, di apprendere.
Ran si fece piccola nelle spalle, guardandola distratta mentre faceva rotolare degli ossi levigati sul piano di legno del tavolo.
La donna, affamata di conoscenza sul Cerchio, le si fece vicina.
Era bella, dannatamente bella. Dannatamente donna.
Ran abbassò lo sguardo, consapevole che nulla di buono o piacevole sarebbe nato da quella situazione, e che lei, come sua madre o perfino il liutaio prima di lei, si trovava a commerciare del destino di altri esseri in cambio di premi risibili.
Fellibylur l’avrebbe aiutata in cambio di questa lezione, ne era certa.
Era il pagamento dovuto.

*La lezione del Cerchio in quella occasione fu la Lezione della Forza: un insegnamento con il quale Ran, la maestra Salice, induceva a riflettere sulla natura multiforme della forza stessa, intesa più come capacità che non come caratteristica. La lezione fu piacevole, per la grande sintonia fra le due. Ma il tempo non è un padrone benevolo, e così Ran, senza neppure chiederlo, si alzò, seguita dalla pronta e capace Figlia del Giardino di Pietra*

Il sentiero moriva al lato di un ponticello che portava decisamente a meridione, infilandosi fra le gole che conducevano alla pianura davanti Saerloon. A oriente del ponticello e del sentiero che se ne partiva, una radura s’apriva e si chiudeva a seconda della volontà del bosco.
Le due non dovettero camminare molto, per incontrare i primi uomini armati, briganti e bracconieri, che gli si pararono contro minacciosi e furenti, sicuri del fatto di trovarsi dinanzi due donne perse in un bosco, alla mercè della loro viirlità.

Ma furono artigli.
Furono zanne.
Fu la magia della Figlia del Giardino di Pietra.
E furono le urla.

I bracconieri fuggivano a gambe levate, le loro frecce inutili e lente rispetto alle saette incantate della Strega, le loro gambe lente e molli rispetto al feroce scatto della Pantera.

E fu silenzio.

Le due donne si riunirono, la strega cullò la bestia con le sue mani preziose.
La bestia leccò quelle dita, ansimante e con il sangue che le pulsava nel cuore animale con una forza nuova.
Ma non potevano arrestarsi.
La bestia si fece orso, e la strega la seguì.
All’accampamento dei bracconieri si erano già mobilitati dopo aver udito le urla dei loro compagni, e non si fecero trovare impreparati. Sia pure si vedessero avanzare contro una donna così bella accompagnata da un orso così domesticato.
Al sibilare delle prime frecce, la bestia partì inarrestabile, sollevandosi sulle zampe posteriori e dilaniando con gli artigli i malcapitati bracconieri che riusciva a raggiungere.
Questi, colpiti dalla magia della strega, incespicavano e cercavano la salvezza in ogni dove; una salvezza che sarebbe stata loro negata.
Viscere, sangue e carne lacerata, chiare schegge d’osso furono il manto con cui le due donne ricoprirono ogni cosa dell’accampamento.
Al termine del massacro, Ran si chiuse nei suoi pensieri, meditando sull’accaduto e su quanto l’agire per il necessario fosse più importante che l’agire per buon cuore.
Come se un buon fine fosse improvvisamente diventato subordinato ad un fine buono.
Le facevano male i denti per quanto aveva morso e lacerato.
E ne era fiera.

Fu interrotta dalla voce della sua amica, che aveva già ripagato di molto il debito contratto per la nuova lezione ricevuta; ma la sua attenzione fu salvifica per la buona riuscita dell’intento della maestra del Salice.

-Ran, leggi qui…..-
 
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view post Posted on 6/2/2024, 00:31
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Squartatore di Troll

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* Un falco si dirige a tutta velocità tra i Monti Cenerini appollaiandosi sul più basso sperone vicino alla nordica, il quale nota le zampe un messaggio e con delicatezza lo prende e lo srotola leggendo con sguardo attento*

La Maestra chiama e devo correre da lei, non posso assentarmi se voglio accogliere i suoi insegnamenti se voglio riacquistare autocontrollo e avvicina al Mare

Fellibylur durante il viaggio aveva molte cose che galoppavano nella sua mente, forse un po' troppo... e senza fare i conti con l'oste! Arrivata a Il Rifugio di da indicazioni, si prese del tempo per ricomporsi mettendo più evidente il suo miglior Lato, le vesti di pelliccia la rendevano più formosa del solito tenute sotto la sontuosa veste, da lì entro con gli sguardi addosso dei viandanti di passaggio, appena varcata la soglia il suo sguardo ferino posava i suoi occhi sulla Maestra, di li iniziò la sua immersione nel mondo lontano dalle mura civili che conosceva, da lì notarono che le parole si Ran si erano indurite, qualcosa di diverso aleggiava in quella stanza, nel mentre Tifone intenta ad ascoltare e a far domande, alcune venivano poste nella sua mente

Forse sarà quella Signora dei Porci ad averla incupita? O c'è dell'altro? Spero solo che non mi sbatta fuori dal suo Cerchio o che abbia percepito qualcosa? Nel dubbio il gabbiano vola basso in tempesta. La Dea... La Mia Signora... Che mi assisti fuori dagli abissi

Quel fiume di parole si cominciava ad ornarsi di enigmatico e la comprensione per la bellissima nordica cominciava, così per allentare la tensione di quella severità, smosse quel fior lucente facendo riassestar la situazione.
Le parole erano solo un'intricato labirinto a cui facevano solo che sbattere la mente della strega in inutili cunicoli e vicolo senza uscita, i fatti era cio che intuiva più facilmente probabilmente a causa del rapporto con il Capitano.
L'Illuskan armata di pazienza a comprendere il Cerchio segue la mezzelfa come una sinuosa vecchia murena al suo amato scoglio, ma chi delle due era lo scoglio e la murena? Fatto sta' che la stregona non aveva la forza fisica perciò in quelle lezioni poteva impepare con la Trama la druida e folgorare quei maledetti banditi!
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( Theodor Kittelsen - Kvitebjørn kong Valemon)

La mano di Fellibylur accarezzava quel pelo intriso di sangue e di membra dei nemici, quel contatto umano che rendeva la Bestia mansueta in quei momenti di respiro, ma la caccia e quella mattanza di budella e corpi carbonizzati, tra le urla strazianti degli avversari alimentavano, fomentavano quel silente Desiderio, nella sua dolce calma al suo interno tempeste furenti, chiome dall'odor di salsedine in gloria alla fede.
Fellibylur e Ran assediarono quello che sembrava il primo avamposto dei bracconieri, e da lì trovarono un diario dove cominciarono ad apparire chiari come i pallidi raggi lunari le direttive di un disegno più grande, attraverso quelle pagine disordinate e masticate da chissà cosa, di li a poco le cose avrebbero avuto una piega diversa, uno schema definito per ripristinare il Cerchio e il dubbio dissiparsi.
La strega lasciandosi leccare da quel muso selvatico della Bestia, come l'allieva inerme che nutre la Maestra, lasciandosi divorare da quelle attenzioni, la mente ancora una volta viaggiava.

Non so cosa troveremo durante questa proverbiale "passeggiata nel bosco", Lei é qui.... Gustosamente qui con me... Sono certa di tornare viva o... Forse direi quasi viva.

 
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